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I leader alla prova degli industriali a Cernobbio. Le metamorfosi di Giorgia. Gli applausi per Calenda

Il palco di Cernobbio è la prova che il voto non sarà un duello tra due poli. Il centrodestra è così unito che manda i tre leader divisi su Europa e sanzioni. Letta rassicura e fa “il garante”. Conte resta collegato da Napoli

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Ambrosetti Forum in Como
Ambrosetti Forum in Como (Foto Ansa)

Il palco del Forum Ambrosetti, in quel di Cernobbio, è la prova plastica che il voto del 25 settembre non sarà una sfida a due. Ma, almeno, tra sei leader e sei diverse forze politiche. E colpisce che mentre Enrico Letta sta lì seduto da solo in quanto leader del centrosinistra, il centrodestra ne ha mandati tre di leader, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani. Il terzo polo non è un’invenzione dei media come dicono da sinistra ma è qui seduto in carne ed ossa e nelle sembianze di Carlo Calenda. Dipendesse dagli applausi sarebbe lui il vincitore di quello che rischia di essere l’unico vero confronto tra le forze politiche in campo. Ma gli applausi non sono voti. C’è Giuseppe Conte che non è tanto a suo agio nei panni di novello Che Guevara - così si rappresenta l’ex premier in campagna elettorale, “l’unico leader di sinistra” - davanti all’imprenditoria italiana che di tutto vuol sentire parlare tranne che di reddito di cittadinanza e altra forme di statalismo.

Sei e non due

Sono sei, appunto. E poi si parla di voto utile: se è vero che un terzo dei seggi sono assegnati con il sistema maggioritario, i 2/3 sono assegnati con il proporzionale. E qui i sei leader intendono giocarsi la partita della governabilità.
Intanto sul lago di Como, al Forum Ambrosetti, ci si occupa da tre giorni di un’altra partita: la sopravvivenza del sistema produttivo nazionale piegato dal caro energia. Sabato, dopo l’appello del Presidente Mattarella perchè “l’Europa dia subito una risposta sul caro energia”, ha parlato il ministro Franco che ha voluto rimettere in fila alcuni concetti chiave: rispetto al 2021, “abbiamo speso 60 miliardi in più per acquistare energia; sono tre punti di pil, vuol dire che trasferiamo fuori dall’Italia una parte el nostro potere d’acquisto”; in questi anni “abbiamo sbagliato a ridurre l’estrazione di gas” e abbiamo fatto “poco sulle rinnovabili”. Ciò detto, il nostro sistema industriale ha saputo ben reagire nei primi sei mesi dell’anno (pil +3,5%) ma non c’è dubbio che adesso siamo di fronte ad un rallentamento mondiale dell’economia.

Le metamorfosi di Giorgia

Ieri è stata la giornata riservata ai leader politici. E al di là degli applausi a Calenda, ha certamente colpito la metamorfosi - assai prevedibile - di Giorgia Meloni. Quale è la vera leader di Fratelli d’Italia? Quella che un mese fa, aizzava le folle dal palco di Vox in Spagna? “Non ci sono mediazioni possibili - diceva parlando alla convention della destra spagnola - o si dice sì o si dice no. Sì alla famiglia naturale, no alla lobby Lgbt, sì alla identità sessuale, no alla ideologia di genere, sì alla cultura della vita, no a quella della morte, sì ai valori universali cristiani, no alla violenza islamista, sì alle frontiere sicure, no alla immigrazione massiva“, concludendo poi con un inno ai “patrioti” spagnoli, italiani e del mondo. Oppure quella di ieri, rassicurante, atlantista, persuasiva e comprensiva (ad esempio con Matteo Salvini)? Mantenere le sanzioni alla Russia, aiutare famiglie e imprese a pagare le bollette dell’energia ma senza fare nuovo debito, accelerare il Pnrr ritoccandolo appena qua e là. E solo per farlo essere più funzionale alla crescita del paese. Ieri Giorgia Meloni è stata rassicurante su tutto e non ha sbagliato una parola davanti a quella platea così esigente, assai delusa per la caduta del governo Draghi e curiosa di sentire cosa hanno da dire quelli che hanno mandato a casa il premier che mezzo mondo ci invidia trascinando il paese nel caos di una crisi di governo. La platea è esigente, imprenditori e professionisti si aspettano rassicurazioni e ricette dai chi si candida a governare il Paese. E allora Carlo Calenda, Giuseppe Conte (unico in collegamento, sicuro che non è quello di Cernobbio il suo elettorato di riferimento), Enrico Letta, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani ci provano, intervenendo rigorosamente in ordine alfabetico e illustrando le loro proposte per il futuro con qualche frecciatina polemica. Di persona però sembrano meno “cattivi” rispetto a quando sono a distanza e sui social.

Le sanzioni alla Russia

Diciamo che Salvini ha provato a fare marcia indietro rispetto alle ultime 48 ore in cui il suo hashtag è diventato: stop sanzioni alla Russia. Affermazioni assai in linea con il sentiment dominante in alcuni talkshow dove commercianti e anche qualche imprenditore comincia a dire: “Il prezzo del gas è tutta colpa della Russia”. Quando invece il gas e le materia prime quei carri armati che Mosca ha pianificato da anni di lanciare contro le democrazie occidentali. A cominciare dall’Europa. Ieri Salvini, seduto tra Tajani e Meloni (in blusa di seta color panna e corpispalla), ha dovuto fare marcia indietro aggrappandosi ad una specie di scudo. Ma il danno ormai è stato fatto. E Meloni non sembrava contenta. In mattinata, prima del confronto e giusto per far capire in che modo avrebbe impostato la cosa, Letta era andato giù duro: “Le parole di Salvini di ieri (“basta sanzioni, danneggiano solo noi”) sono state chiarissime: se vincesse la destra la strada dell'Italia sarebbe al fianco di Putin” e “brinderebbero in primo luogo Putin, poi Orban e infine Trump”. Per l'Italia “significa retrocedere dall'Europa di serie A all'Europa di serie B” ha detto il segretario del Pd. ”, secondo il segretario del Pd.
Salvini è costretto ad una inversione ad U sotto la sguardo severo di Meloni. “Andiamo pure avanti con le sanzioni - ha detto - ma mi aspetto nelle prossime settimane che a Bruxelles si vari uno scudo europeo”. Di qualunque genere e forma: un “cappello”, un “tetto” e la differenza tra il prezzo di mercato e quello imposto, la deve mettere ovviamente lo Stato. Vuol dire fare debito. Poi arrivano le parole rassicuranti e atlantiste di Giorgia Meloni. “Se domani l'Italia si sfila dai suoi alleati e si gira dall'altra parte, per l'Ucraina non cambia niente ma per noi cambia tantissimo, perché l'Italia perde una postura seria e credibile", avverte.

Contraddizioni? Ma no, solo sfumature

I due alleati di centrodestra sono dunque in disaccordo sulle sanzioni? Niente affatto. Per la leader di Fdi nel centrodestra “ci sono sicuramente differenze e sfumature ma sulla visione siamo fondamentalmente d’accordo. Io dico che poiché tutti gli Stati difendono i loro interessi, è giusto che anche l'Italia lo faccia”. Salvini, armato di slides e occhiali da lettura, torna a difendere la flat tax, propone di spostare a Milano il ministero dell'Innovazione e soprattutto, la mette così: “Io, Giorgia Meloni e Antonio Tajani abbiamo detto la stessa cosa. Chiediamo quel che ha chiesto Mattarella: un intervento europeo, uno scudo, un ombrello. E’ chiaro che le sanzioni non stanno funzionando”. E’ già pronto così il prossimo “colpevole” da mettere sotto accusa: l’Europa. Non possono farlo adesso. E’ chiaro che lo faranno un attimo dopo aver vinto. Salvini cerca anche lui di essere rassicurante ma è difficile rimangiarsi quanto detto poche ore prima. Cerca però di chiudere la polemica facendo anche lui il pompiere: con un governo di centrodestra “non cambierà la collocazione internazionale dell'Italia. Staremo coi paesi liberi, occidentali. I miei modelli non sono la Russia e la Cina, io voglio la democrazia”. La chiosa arriva da Tajani: “Il centro destra non è una caserma, si discute”. Però la linea che esce non è certo quella di Forza Italia.

Il caro-energia

Il tema dominante, la questione vera, è quella del caro-energia e delle bollette. Secondo Conte (anche lui in modalità rassicurante) “l’extra-deficit come obiettivo in sé non va perseguito, ma può essere uno strumento per proteggere il tessuto imprenditoriale e sociale”. Peccato che i candidati del Movimento chiedano oggi così come ieri “lo sforamento di bilancio”, soldi cash da mettere sui conti correnti degli italiani. Tajani chiede “un'azione dell'Europa cui da mesi abbiamo chiesto un secondo Recovery plan per affrontare tutto ciò che ha provocato la guerra”. Meloni è contraria - in linea con Draghi e rigorosa come piace alla platea di Cernobbio - ad "un nuovo scostamento di bilancio” ma “penso si possa provare a parlare con l'Ue per utilizzare le risorse della programmazione europea”. Salvini invece scalpita per un intervento subito: “Mettiamo un tetto al costo del gas e la differenza la mette lo Stato”. Insomma, tre sono i leader del centrodestra a Cernobbio e tre sono le linee guida su temi chiave.

Il Pnrr

Anche il Pnrr divide. “Sfumature” si banalizza. Per Meloni “non può essere un'eresia dire che il Pnrr possa essere perfezionato” e comunque “il problema più grande non sarà rivederlo o sistemarlo ma i ritardi che ci ha lasciato il vecchio governo” (che nonostante sia stato messo alla porta realizzerà entro metà novembre 35 dei 55 obiettivi del semestre necessari per prendre la terza rata di venti miliardi). “C'è poco da promettere, come la flat tax e altro, qui c'è da implementare il Pnrr” replica Calenda, seguito da Letta che dice “no alle rinegoziazioni, si può ridiscutere certo ma se ci mettessimo in un confronto con Bruxelles perderemmo quei soldi e perderemmo un’occasione”.

Applausi per Calenda

Per il resto, i leader lanciano richiami al “fare”, al creare le condizioni per superare la crisi e rilanciare l'economia, sembrano positivi e con le idee chiare. Il “No” scompare dalle loro affermazioni. “C'è il rischio che la politica ambientale ideologica porti alla desertificazione manifatturiera, non si può dire no a nucleare, no ai rigassificatori, no a tutto” è l'esordio di Calenda. Per il leader di Azione e del terzo polo “in Italia non credo si possa parlare di pericolo fascismo, ma di pericolo anarchia. Non si riesce a fare nulla”. E’ Calenda che spariglia le carte. D'altronde la sua missione dichiarata è “spezzare il bipopulismo che spacca l’Italia”, pronto a fare “il governo più largo possibile”. Salvo dire che Forza Italia non può candidarsi ad essere “una forza centrale e liberale” perché “ha sfiduciato Draghi”; attaccare il “trasformismo di Salvini” che se ne andava “per il Parlamento europeo con la maglietta di Putin”. Definisce “confuso chi pensa che la continuità con Draghi sia una persona che non lo ha mai votato” ovverosia Giorgia Meloni. Certo non c'è pericolo di “fascismo ma di anarchia” e invece ora ci vuole una “agenda di buon senso”, perché stanno arrivando “gli tsunami energia e tassi”. Il convitato di pietra è il premier uscente Mario Draghi, con la sua agenda e il suo metodo. Rispetto al quale Letta rivendica che “il nostro partito è stato il più lineare. La scelta di far terminare prima l'esperienza è una scelta grave ma noi siamo lineari e affidabili sempre per il Paese”.

Conte resta a distanza

Sul lato opposto Giuseppe Conte, unico in videocollegamento da Napoli, non perde occasione: “Sul 'metodo Draghi' ho detto che trovo pericoloso che le forze politiche si rifugino in un cosiddetto metodo che è emergenziale: non si può governare un Paese senza confronto e dialettica politica”. Come se lui non avesse governato quasi tre anni con Dpcm firmati nelle ore tarde della sera. Per il resto ha difeso a spada tratta di reddito di che Meloni definisce “un fallimento” e che invece per lui sarebbe “folle abolire”perché ne va della coesione sociale. “Cancellarlo - aggiunge - è fare la guerra ai poveri”. Il solito trucco di parole: una cosa è la povertà per cui servono strumenti ad hoc; diverse devono essere le politiche attive per il trovare lavoro. Conte chiede anche che l'inflazione non sia una scusa per “politiche di austerity” e considera l'extra debito un'arma per “proteggere il tessuto sociale e imprenditoriale”. Sa che non sarà un suo problema governare e può cavalcare così temi facili e populisti.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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