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Cuperlo: "Le radici del crollo del PD? Ha fatto esplodere diseguaglianze indecenti"

"Quando si perde tanto e male la prima reazione di una comunità politica è interrogarsi sulle radici di quel crollo. Rimuovere le cause profonde di una crisi di fiducia tra noi e il paese è la premessa non di una riscossa, ma di nuove possibili delusioni"

Paola Pintusdi Paola Pintus   
Cuperlo
Cuperlo

Il Pd, dopo la batosta elettorale e la scelta di assistere "con i pop corn in mano" alla formazione del governo giallo-verde non sembra ancora aver trovato la "linea" da cui ripartire per riallacciare il dialogo col paese. Ci saranno (in data da stabilirsi) le primarie del partito, giocate ancora una volta sul prestigio dei leaders in campo più che sul tema dell'identità e dei contenuti. Manca invece l'idea di un congresso fondativo, un grande momento di chiarimento interno che finora non c'è stato. Perchè il Pd fa così tanta fatica a guardarsi dentro, a riconciliare le sue diverse anime che sembrano allontanarsi sempre più?

"Per tentare una risposta ho scritto un libretto uscito alcuni mesi dopo il 4 marzo. Data che, lo ricordo, è coincisa con la peggiore sconfitta della sinistra nell’intera storia repubblicana. Quando si perde tanto e male la prima reazione di una comunità politica è interrogarsi sulle radici di quel crollo. Rimuovere le cause profonde di una crisi di fiducia tra noi e il paese è la premessa non di una riscossa, ma di nuove possibili delusioni. In questo senso esiste un’epica della vittoria ma esiste anche un’epica della sconfitta. In quel libro ho provato a indicare alcune di quelle cause. La subalternità culturale del riformismo all’idea di una globalizzazione che si poteva gestire come un passaggio indolore mentre la realtà è stata l’esplodere di diseguaglianze indecenti fino dentro il cuore del’Europa e dell’Occidente. Un cambio radicale di scenario indotto dall’impatto della tecnologia sulla produttività e sul mercato del lavoro. La crisi peggiore che abbia investito le democrazie mature dopo gli anni ’30 del vecchio secolo con una vittima illustre rappresentata dalla classe media. Il sentimento di paura indotto da fenomeni come le nuove migrazioni lasciati a lungo privi di un governo adeguato. E poi i limiti dell’ultima stagione. Avere usato quell’incredibile 40 per cento alle europee del 2014 non per rinsaldare il centrosinistra nel suo legame col paese, ma per alimentare la divisione e la rottura, nel nostro campo e persino dentro il nostro partito. L’arroganza del potere contro i “professoroni”, i sindacati e qualunque voce in dissenso liquidata come dei gufi. Un po’ per volta si è spezzato un rapporto di stima con quella parte che avremmo dovuto rappresentare e adesso il congresso ha un senso solo se rimette al centro questi temi, però bisogna farlo col coraggio di una discontinuità. Non servono abiure ma dopo una sconfitta del genere bisogna trovare l’ambizione per ridefinire un pensiero, categorie e strumenti attrezzati alla sfida nuova che oggi è contro una destra aggressiva e pericolosa, qui e in Europa. Meno di questo e non si capisce il capitolo del racconto dove siamo precipitati". 

Renzi alla Leopolda rivendica la stagione riformista, dichiara guerra al M5S e lancia i suoi Comitati Civici.  Zingaretti, con l'investitura di Gentiloni, pensa ad un recupero del rapporto con le esperienze associative e civili della sinistra di base e non esclude il dialogo col popolo del M5S. Con presupposti così diversi come si fa a trovare una linea unitaria? 

"Ma il problema non è mettere d’accordo singole persone. Aspetto che francamente interessa il giusto. Il tema è quale rotta intendiamo seguire. Il Pd nato dieci anni fa ha perso in un decennio la metà dei suoi voti: da 12 a 6 milioni. Vogliamo partire da qui? Vogliamo prendere atto che un partito sorto in un contesto bipolare e con una legge elettorale maggioritaria oggi fa i conti con un sistema politico a tre poli dove si vota con il proporzionale? Vogliamo mettere al centro la sfera di interessi e bisogni individuali che non trovano più una rappresentanza nella sinistra tradizionale per come l’abbiamo conosciuta e ereditata? Certo che questo governo è una rassegna di errori, incompetenze, promesse senza fondamento, ma è una illusione pensare che il loro eventuale fallimento conduca automaticamente a recuperare i voti che abbiamo perso in direzione di Grillo e persino della Lega. Quel consenso lo riprenderemo solo se sapremo costruire una alternativa credibile in termini di soluzioni per la vita delle persone, parlo di lavoro, reddito, servizi, diritto a curarsi senza liste d’attesa lunghe mesi. Le alleanze sociali con pezzi organizzati e resistenti dentro la società nascono da questa chiarezza. Se invece il confronto tra noi si rinchiude nelle logiche di partito con filiere mobilitate dietro questo o quel candidato noi rischiamo di accentuare la distanza di questo simbolo dalla sensibilità di tanti". 

Non è sfuggita la costituzione dei "comitati civici" renziani alla Leopolda, che somigliano molto al preludio di qualcosa di diverso dal Pd, in caso di sconfitta congressuale. Lei cosa ne pensa?  L'unità del partito va preservata ad ogni costo o a questo punto è meglio pensare ad una federazione di forze distinte ma unite da alcuni valori fondanti, come quello europeo, ad esempio? 

"L’unità è un valore ma è soprattutto un processo che va coltivato. In questo senso l’unità in un partito è frutto del confronto tra opinioni diverse. Non si litiga quando si discute troppo. Si litiga quando si discute poco o non si discute affatto. Io ho scelto con altri di restare nel Pd anche quando un pezzo della mia storia – compagni di una vita – ha scelto di andarsene altrove, quindi l’unità del progetto e di questa comunità mi sta a cuore forse più che ad altri. Ma oggi sento che questa unità deve fare i conti con la chiarezza di cosa vogliamo essere e di chi intendiamo rappresentare. La radice di “partito” è “parte”. Certo che dobbiamo parlare a tutti, ma devi anche aver chiaro quale parte della società scegli di rappresentare, promuovere, emancipare". 

E qual è il perimetro della sinistra oggi? Basta il tema dell'Europa a ricompattare il fronte della sinistra italiana? Ha senso pensare ad un fronte ampio, "da Tsipras a Macron", oltre i confini del Pse?  

"Lasciamo stare le formule. Il perimetro della sinistra deve allargarsi perché mai come adesso il Pd non basta a sé stesso. Direi che nessuno basta a sé stesso. In questo quadro l’Europa è naturalmente il teatro di un conflitto aspro con una destra che ha tratti e natura molto distanti da quella liberista degli anni ’90. Ma proprio per questo dev’essere chiaro che se ci mettiamo a difesa dell’Europa che c’è e degli errori gravi che ha compiuto negli anni del rigorismo e dell’austerità noi da quella destra rischiamo di essere travolti. Tocca alla sinistra ripensare, fuori da ogni retorica, un’Europa politica e sociale che metta di nuovo al centro la dignità dei suoi popoli, non cedendo al nazionalismo di ritorno ma ripensando alla radice il percorso degli ultimi anni e decenni, compresi i trattati costitutivi, le regole, una dimensione più comunitaria e meno intergovernativa".  

In Baviera i Verdi con un programma pragmatico e basato sui temi dell'ambiente sconfiggono i partiti tradizionali e riescono ad arginare l'avanzata delle destre. In Italia invece il centro-sinistra ha fatto un passo indietro su quello che pure era stato in passato un punto importante e distintivo del suo programma. 'è un messaggio anche per noi in questo?  

"Posso sbagliare ma la mia sensazione è che il voto in Baviera non sia frutto solo e tanto di una preoccupazione per le emissioni di CO2. O meglio, ci sarà stata anche una componente più programmatica ma quel consenso impennato ai Verdi – che, ricordiamolo, in Germania sono storicamente cosa molto diversa rispetto a noi – deriva da una spinta etica. È un voto che rivendica la dignità di una linea alternativa all’irruenza di una destra nazionalista e xenofoba. In questo c’è un ammonimento anche per noi e lo riassumo così. Il grande sconfitto di questa stagione è il vecchio “centro” politico, l’elettorato moderato senza aggettivi. Piaccia o meno esiste una domanda di radicalità che alimenta le dinamiche più innovative anche dentro la sinistra. Prendiamone atto presto anche perché una legge della politica è che gli spazi lasciati vuoti non restano vuoti a lungo. Prima o dopo qualcuno o qualcosa tende a riempirli e io vorrei che quel qualcosa fosse una sinistra ripensata nelle sue forme e nella sua identità". 

Lega e Movimento Cinque stelle non arretrano davanti alla bocciatura europea della manovra. E a dispetto di tutto tengono nei sondaggi. Perché? 

"Per le ragioni accennate. Perché è una destra che rovescia lo schema degli ultimi vent’anni. Parlano alle fasce più fragili e colpite della popolazione ma combinano le loro riforme, solo annunciate, ai valori più reazionari sul terreno della democrazia e dell’accesso alla cittadinanza. Quel loro consenso è destinato a diminuire perché molte di quelle promesse resteranno scritte sul contratto ma non avranno alcun effetto sulla vita di chi li ha votati. Questo però da solo non basterà per far camminare l’alternativa da sinistra che oggi appare sempre più necessaria. Loro governano come se la campagna elettorale non fosse mai finita. Producono una bolla e indicano sempre un nemico da abbattere che di volta in volta può avere il volto del migrante o dell’Europa matrigna di Bruxelles. Sta a noi spezzare la saldatura di quei due elettorati e provare a disancorare una parte di quel consenso dalla prospettiva peggiore: la nascita nel cuore dell’Europa di una moderna forza radicale, di destra e di massa. Qualcosa che non è più esistita dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Spero che il congresso del Pd saprà discutere anche di questo".  

Ricolfi oggi in un'intervista dice che se il governo cadrà sarà a causa dei suoi errori, non certo per merito dell'opposizione. È così? 

"L’opposizione deve attrezzarsi a indicare una politica diversa. Che poi questo governo cada presto sarebbe un bene per l’Italia. Come diceva quello, “non conta che il gatto sia bianco o nero. È importante che acchiappi il topo”. E allora a Ricolfi dico che prima questi se ne vanno meglio sarà per l’Italia".

 

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