“Sempre al fianco di Kiev ma la storia ci sta sfidando”. Meloni all’Onu “corregge” l’ambiguità di questi giorni
Sono tutti qua, al palazzo di Vetro, c’è la delegazione del Cremlino, c’è Zelensky, c’è il nuovo presidente iraniano, c’è Nethanyau, la delegazione libanese, siriana, per non parlare di quelle africane teatro di guerre dimenticate e che vengono combattute da anni nella quasi totale indifferenza del resto del mondo se non fosse che poi ci sono le ondate migratorie e allora anche l’occidente dice “non devono essere costretti a partire”. Sono tutti qua i grandi protagonisti della “storia con scenari molto complessi e carica di nuove sfide che ci troviamo a vivere”. Tutti qua a portata di pace, siedono vicini, a volte di fronte. E’ questo il luogo e l’organizzazione nata ormai 79 anni fa proprio per risolvere i conflitti nel mondo. Ma “la pace” è forse l’unico ospite a lungo evocato e rimasto senza sedia alla 79 assemblea generale delle Nazioni Unite. Per dire che poi la diplomazia tanto invocata ha percorsi lunghi e inaspettati.
Il baratro
“Il pianeta è sull’orlo del baratro” ha detto ieri aprendo l’assemblea il Segretario generale Antonio Guteress. “Il mondo è in un vortice e sta affrontando sfide mai viste. In Ucraina è l’ora di una pace giusta, il Libano rischia di diventare una nuova Gaza. I conflitti di oggi per l’Onu sono peggio della Guerra fredda”.
Non si fa la pace al palazzo di Vetro. Però se ne parla tanto, tra mille polemiche ma anche questo può essere utile. Così succede che Israele abbia attaccato l’Onu dicendo che “il dibattito è una farsa”; che i russi abbiano fatto finita di non sentire e si siano molto agitati quando Zelesnky (è successo all’alba di questa giornata, la sera tardi a New York) ha detto che “la Russia deve essere costretta alla pace in base alla carta delle nazioni Unite” e che “Putin non sa difendere il suo popolo e il suo paese”.
Giorgia Meloni è intervenuta, sempre nella notte, subito dopo il presidente Usa Joe Biden, “è il mio quarto e anche ultimo intervento davanti a questa assemblea”, un lungo e appassionato commiato segnato dalla consapevolezza di non aver saputo/potuto portare la pace in Ucraina e in Medioriente. E’ chiaro che ormai è tutto rinviato a dopo il 5 novembre, data dell’electron day americano.
I tredici minuti di Meloni
La premier italiana ha parlato per tredici minuti, un intervento in cui ha ribadito il sostegno dell'Italia a Kiev e il dovere della comunità internazionale a “non voltarsi dall'altra parte”. Un buon intervento, incentrato sulle
nuove sfide imposte da un mondo sempre più complesso e conflittuale, con l’aggressione russa all'Ucraina che ha messo in discussione i principi della Carta dell'Onu con il rischio di un "effetto domino”. Tutto questo, ha detto, richiede “un cambio di paradigma” che mal si concilia con una riforma del Consiglio di Sicurezza che prevede la creazione di nuove gerarchie”. Tredici minuti in cui ha attraversato i principali scenari di conflitto mondiali e ha posto l'accento su due temi che sono il cuore della presidenza italiana del G7: la necessità di una governance globale sull'intelligenza artificiale, senza la quale si rischiano conseguenze devastanti per la tenuta delle democrazie e per il mondo del lavoro, e il Piano Mattei, che la premier ha posto come esempio del “modello di cooperazione del tutto nuovo” necessario a rilanciare un multilateralismo entrato in crisi.
Secondo Meloni, la ricetta per uscirne non può essere la proposta statunitense di riforma del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, che prevede l'introduzione di nuovi seggi permanenti. L’Italia vuole invece l'istituzione di seggi regionali permanenti con membri a rotazione. “L'Italia è convinta che qualunque revisione dell'architettura di funzionamento delle Nazioni Unite, a partire dal Consiglio di Sicurezza, non possa prescindere dai principi di eguaglianza, democraticità e rappresentatività, sarebbe un errore creare nuove gerarchie, con nuovi seggi permanenti. Siamo aperti a discutere la riforma senza alcun pregiudizio, ma vogliamo una riforma che serva a rappresentare meglio tutti, non a rappresentare meglio alcuni”. I problemi del Sud Globale sono anche i problemi del Nord del mondo e viceversa, non esistono più blocchi omogenei e l'interdipendenza dei nostri destini è un fatto. “Per questo siamo chiamati a ragionare fuori dagli schemi che abbiamo conosciuto nel passato”. L’Italia lo sta facendo con il Piano Mattei per l’Africa il cui intento “non è imporre ma condividere” per garantire a quei popoli il diritto a non migrare.
Al fianco di Kiev, il diritto di Israele
In Assemblea, quasi a voler spengere le polemiche che hanno accompagnata in questi giorni, Meloni ha ribadito anche l'invito a “non voltare le spalle all'Ucraina e al suo diritto di difendersi”, un diritto riconosciuto anche a Israele chiamato però a “rispettare il diritto internazionale e tutelare i civili” e a non negare ai palestinesi il diritto a un proprio Stato. “L'imperativo è raggiungere, senza ulteriori ritardi, un cessate il fuoco a Gaza e l'immediato rilascio degli ostaggi israeliani” ha continuato Meloni, "non possiamo più assistere a tragedie come quelle di questi giorni nel Sud e nell'Est del Libano, con il coinvolgimento di civili inermi, tra cui numerosi bambini”. Così come non si può restare a guardare la “brutale repressione delle opposizioni in Venezuela”. Davanti ai delegati ha citato Carlo Pisacane, eroe del nostro Risorgimento: “Ogni ricompensa la troverò nel fondo della mia coscienza”
Poi la cena con la staff e subito in volo per Roma dove arriverà nel primo pomeriggio. Ha anticipato il rientro dal 25, come previsto, al 24 e così non sarà presente al vertice sull’Ucraina organizzato da Joe Biden per la giornata di mercoledì, presente Volodymyr Zelensky. O meglio ci sarà, ma collegata da Roma. E salterà, ancora una volta, il tradizionale ricevimento al Metropolitan Museum offerto dal Presidente degli States ai partecipanti all'Assemblea generale delle Nazioni Unite: lo scorso anno lo mancò per trascorrere la serata con la figlia Ginevra, una scelta che venne travolta dalle polemiche.
Tre indizi
Insomma: Elon Musk per il premio; no alla cena e no anche al vertice con Biden sull’Ucraina. Tre indizi possono fare una prova e alimentare sospetti su un possibile cambio di direzione nel sostegno a Kiev. Che Meloni, prima dell’intervento e all’arrivo al Palazzo di Vetro, ha cercato di smentire con forza facendosi immortalare in varie foto con Zelensky a cui ha ribadito “il convinto sostegno dell'Italia"- smentisce con forza. Il leader ucraino a sua volta ha postato sui social vari messaggi per “ringraziare Meloni per il prezioso appoggio e supporto che l’Italia ha sempre saputo e continua a dare”.
In un punto stampa nel quartier generale delle Nazioni Unite, prima dell’intervento in Assemblea, la premier ha risposto con fermezza a chi le domanda se dietro l’assenza al vertice di sostegno a Kiev ci sia un cambio di linea dell'Italia: "No, poi io capisco che si cerchi di sostenere tesi anche contro l’evidenza. L'incontro sull'Ucraina è stato spostato su richiesta in particolare degli Stati Uniti a domani, parteciperemo lo stesso e, al di là del tentativo di dimostrare cose che non sono dimostrabili, la posizione italiana non cambia e non sta cambiando, come dimostra l'incontro di questa mattina con Zelensky”. Poi la solita stoccata stizzita: “Penso che non sia utile per la nazione, che ha il pregio che tutti riconoscono al mondo della chiarezza e determinazione nel sostenere l'Ucraina, cercare di raccontare un'altra storia. Non dico per il governo, ma per l'Italia che per una volta è considerata seria, affidabile, e che non cambia posizione come cambia il vento”. Tutto vero. Basterebbe non farsi premiare da Elon Musk, il più grande amico di Putin e di Trump ed essere presenti al vertice di oggi dove molto probabilmente il dossier pace sarà affrontato con presupposti diversi. Anche parlando dell’uso delle armi. L’Italia non ci sarà. E l’Italia ha la presidenza del G7.
Nessun incontro con Trump
Meloni, sempre nel briefing con i giornalisti, ha smentito di aver incontrato Donald Trump né tantomeno membri del suo staff. Il tema del sostegno a Kiev è legato a doppio filo alla partita delle prossime elezioni statunitensi, accompagnate dal timore diffuso che una vittoria del candidato repubblicano possa cambiare le carte in tavola. Portando con sé un riposizionamento di diversi Paesi, Italia compresa. Da qui, le “letture” sulla sintonia della presidente del Consiglio con Elon Musk, notoriamente filotrumpiano, che la stessa Meloni ha voluto fosse con lei sul palco della Ziegfeld ballroom per la consegna del premio dell’Atlantic council.
“La scelta di Elon Musk - ha spiegato la premier infastidita per le insinuazioni che hanno accompagnato la sua missione a New York - era la scelta di una delle personalità più interessanti del nostro tempo, una scelta che abbiamo fatto mesi fa ma che non c'entra niente con la campagna americana”. Del resto, ha aggiunto, “ho spiegato mille volte di non essere una sostenitrice dell’ingerenza straniera nelle questioni interne delle nazioni sovrane, non sono tra quei leader che pensano di avere la facoltà di dire ai cittadini di un'altra nazione cosa sia meglio per il loro futuro, queste sono quelle cose che piacciono tanto alla sinistra ma a me non sono piaciute mai”. Dire agli americani come votare no, prepararsi ad ogni evenienza sì. Se dovesse vincere Trump diciamo che Giorgia Meloni è molti passi avanti rispetto alla maggior parte dei leader europei. Anche Bruxelles e Ursula von der Leyen hanno osservato con attenzione le mosse della nostra premier. Perchè il pragmatismo è una cosa, l’ambiguità è un’altra. E in politica estera non è una buona compagnia.