Da Ita al Pnrr, dai migranti ai conti pubblici e il Commissario di peso: Meloni aveva già ottenuto tutto
Non si capisce perché la premier abbia denunciato l’esclusione e la marginalità dai tavoli delle scelte. Politicamente e numericamente i Conservatori e le destra sono cresciuti ma non hanno vinto. Ed è lunga, invece, la lista dei riconoscimenti ottenuti dalla Commissione di Ursula von der Leyen. Adesso si rischia lo scontro e di perdere molto

Come minimo ingrata. Comunque, incomprensibile. Dice Giorgia Meloni - che non ha votato Costa e Kallas e sta tenendo in freezer la von der Leyen - che lo ha fatto perché contesta il metodo e il merito. Perché è stata esclusa dai “caminetti” e dai “tecnocrati”. Lei, che rappresenta l’Italia, paese fondatore e unica leader ad essere uscita “vincitrice” o almeno “più forte” dalle urne europee tra i 27 capi di stato. Dice questo la premier e per essere conseguente ha combinato un bel guaio. Che non è chiaro dove ci porterà. E con quali conseguenze.
Lavorando un po’ di archivio su cosa è successo in questi due anni - da quando Meloni è premier - emerge in modo chiaro che il governo italiano ha ottenuto molto da Bruxelles, chiedendo, spiegando, argomentando, andando ben oltre le regole e la burocrazia. La realtà quindi non è quella della “piccola fiammiferaia” (cit. Renzi). Se è vero che l’Unione europea era stata concepita per includere e tenere insieme, risolvere problemi ai singoli stati e ai rispettivi leader e non certo crearne di nuovi, Ursula von der Leyen ha saputo interpretare al meglio questa filosofia facendolo diventare approccio e poi metodo. Il “metodo Ursula”, ovvero fare il possibile per offrire ai governi ciò che vogliono, anche a costo di fare compromessi con gli interessi o le regole dell’Ue. E in cambio avere il necessario sostegno. Gli stessi colleghi del partito Popolare parlano di lei come la protagonista di una vecchia pubblicità degli anni ottanta che risolveva sempre tutto ed era sempre perfetta e rassicurante, della serie “ci penso io”. Anche Giorgia Meloni, pur non essendo i Conservatori, la famiglia politica da lei presieduta, nella maggioranza Ursula, ha beneficiato molto in questi due anni del metodo von der Leyen.
Concessioni e benefici
Il Piano di ripresa e resilienza, ad esempio, è utile per permettere a un capo di stato e di governo di rivendicare successi in Europa e alla Commissione e soprattutto in casa. I 750 miliardi di euro di NextGenerationEu sono una montagna di soldi. Subito dopo il 9 giugno, la Commissione ha approvato diverse rate dando giudizi positivi sulle riforme e gli investimenti realizzati. Il 12 giugno è stata approvata la quarta richiesta di pagamento della Spagna per 10 miliardi di euro e la quinta della Croazia per 821,7 milioni. Il 14 giugno è stato dato il via libera alla quarta richiesta di pagamento della Grecia per 2,3 miliardi. Il 24 giugno la Commissione ha sbloccato gli esborsi per Portogallo e Romania che erano stati congelati per non aver realizzato target e milestone (rispettivamente 714 milioni e 37,2 milioni). L’Italia è in attesa del pagamento della quinta rata e del via libera alla sesta. Meloni e Fitto hanno annunciato entrambi nei giorni scorsi in pompa magna e va tanto primati. Roma chiama. Bruxelles però non ha ancora risposto. Inutile dire che i ritardi o la sospensione dei pagamenti da parte della Commissione sono sempre imbarazzanti per i governi nazionali. Nello specifico, le nostre casse hanno bisogno come fossero aria dei 13 miliardi della quinta rata.
Vediamo nelle prossime ore e giorni cosa succederà. Il ministro Fitto è molto ottimista e dunque lo siamo tutti. Di sicuro Fitto, cui Giorgia Meloni ha insegnato le chiavi del Pnrr, ha ottenuto veramente tanto dalla commissione guidata da Ursula von der Leyen. Il 31 maggio, ad esempio, a ridosso del voto, la Commissione ha pubblicato le nuove linee guida sulle modalità di attuazione dei piani nazionali di ripresa e resilienza. All’interno c’è molta più flessibilità ai governi sulla spesa e assai meno controlli sull'uso dei fondi. Una battaglia, in primis, del governo italiano visto che è il più importante beneficiario dei fondi con quasi duecento miliardi.
Dal Pnrr all’immigrazione
Sull’immigrazione abbiamo avuto anche di più. La presidente della Commissione è volata a Tunisi la corsa estate per firmare il memorandum d'intesa sui migranti e ha dato la sua benedizione all'accordo dell'Italia con l'Albania sull'esternalizzazione delle procedure di asilo. Entrambi gli accordi sono stati contestati da altri stati membri o da esperti giuridici. Eppure von der Leyen ha ascoltato, compreso e ha detto: “Proviamoci, tentiamo anche questa strada” visto che i paesi di Visegrad, cioè Orban e coloro che Meloni considera amici, impediscono ogni vera riforma dei trattati.
Al vertice del G7 in Puglia di metà giugno c'è stata una fuga di notizie dalla Commissione sul via libera all'acquisizione di ITA da parte di Lufthansa. Dopo quasi due anni di attesa. Una coincidenza. O forse un segnale di attenzione speciale proprio al “governo di destra” di Giorgia Meloni. Nei cassetti di von der Leyen è rimasta chiusa una procedura di infrazione sulle concessioni balneari. Per non parlare dei taxi: l’Italia ha superato ogni limite e ignora totalmente i fondamentali delle leggi sulla concorrenza. Tutti ci dicono che siano fuori legge. E però la Commissione alla fin fine tace. Guardiamo alla procedura d’infrazione per deficit eccessivo, arrivata il 19 giugno, con i vincoli per i nostri conti pubblici. Praticamente non se n’è parlato. La Commissione ha fatto capire i nodi saranno affrontati a settembre.
Da Ita al Rapporto sullo stato di diritto
Grande scalpore ha fatto la notizia che la pubblicazione del rapporto annuale sullo Stato di diritto nella Ue - dove pare ci siano severe critiche all’Italia per la libertà di stampa e di informazione - è stata spostata dal 3 al 24 luglio. Il 18 luglio l’europarlamento dovrebbe chiudere il pacchetto nomine e, se tutto va bene, von der Leyen chiuderà a sua volta il discorso commissari. Su cui sta già lavorando, anche con Meloni, ma di cui giustamente non si può parlare adesso. Non prima che sia conclusa la sua elezione. Cioè quando sarà ratificata dal Parlamento.
Il giorno prima del Consiglio europeo, von der Leyen ha scritto la tradizionale lettera ai leader europei. Quattro pagine dedicate in sostanza all’immigrazione che indicano i metodo Albania come modello da seguire. L’esternalizzazione della gestione dei migranti come possibile soluzione. Von der Leyen ha risposto immediatamente “sì” alla richiesta del presidente cipriota, Nikos Christodoulidīs, di un accordo con il Libano sui migranti. Anche la Spagna del socialista Sanchez sta pensando a dove creare i campi per la gestione dei migranti. Al momento ha ottenuto la firma della Commissione su un accordo con la Mauritania sui migranti. Macron ha preteso e ottenuto da von der Leyen di non firmare l'accordo commerciale con il Mercosur. Per ora almeno. Poi si vedrà Insomma, tante piccole Turchie. In attesa del passaggio principale: sarà l’Europa a gestire i rimpatri nei paesi di origine.
Un trionfo
Un trionfo per Giorgia Meloni. Che infatti, proprio durante il Consiglio si è fatta vanto del fatto che “il nuovo paradigma per affrontare il nodo dei migranti illegali sarà al centro delle politiche europee dei prossimi cinque anni come ha ben scritto nella sua lettera programmatica la presidente von der Leyen”. Un riconoscimento importante per una leader che due anni fa ancora parlava di “muri navali” e oggi deve ogni volta spiegare perché non riesce a fermare i flussi.
L’abbaglio
Alla luce di tutto questo, che è solo una parte del tutto, non è chiaro perchè Meloni si debba sentire “la piccola fiammiferaia” e denunciare di non essere tenuta nella giusta considerazione. Lei dice di aver vinto. Il punto è che o è vittima di un grosso abbaglio politico anche numerico. Oppure sta giocando una rischiosissima partita a poker. L’abbaglio è che non è vero che “la destra ha vinto e i Conservatori anche”. Fratelli d’Italia sono il primo partito in Italia ma il gruppo europeo di cui Meloni è anche leader - i Conservatori - è arrivato terzo dopo Popolari e Socialisti. Un terzo posto che non fa maggioranza in alcun modo: non nei numeri e meno che mai nei programmi. Dall’altra parte invece, per quanto i Liberali di Macron siano stati retrocessi a quarto partito, c’è nei programmi e nei numeri una maggioranza di fatto, quella che ha deciso i Top Job. Di questo hanno discusso per due settimane, ancora giovedì pomeriggio, delegati e negoziatori. Meloni invece insiste nel pretendere un riconoscimento perché “i cittadini hanno votato, hanno chiesto un cambiamento e bisogna darglielo”. E’ arrivata anche a minacciare: “Pensate di avere la maggioranza? Lo vedremo in Parlamento (europeo, ndr) al momento del voto”. Alludendo al fatto che la maggioranza Ppe-S&D-Liberali ha 399 voti su 720 (magic number 361) ma questi numeri non danno la certezza a von der Leyen di essere eletta e di fare partire la complessa macchina europea.
Ursula a caccia di almeno 50 voti, uno per uno
Esperienza dice che va messo in conto il 15% dei franchi tiratori. Su 399 sono circa 50 voti che la Presidente designata deve assolutamente trovare prima del 18 luglio, giorno in cui sarà convocata la plenaria a Strasburgo. Il voto è segreto e cinque anni fa von der Leyen passò con uno scarto di soli nove voti pur avendone oltre cento di scarto sulla carta. A votare per lei furono anche i polacchi del Pis, del gruppo Ecr, e gli eurodeputati del Movimento Cinque Stelle.
Visti i veti di S&D e Renew ma anche la reticenza di mezzo Ppe a fare accordi con parti di Ecr e quindi con Meloni, la logica che seguirà von der Leyen è quella di dialogare con i singoli parlamentari. Si tratta di persone e non numeri, è il messaggio. Nei prossimi giorni la presidente passerà più tempo al Parlamento europeo che al Berlaymont.
La prossima settimana dovranno definirsi i gruppi parlamentari. Ci sono ancora la bellezza di 87 eletti non affiliati e non iscritti. Ecco perchè è ancora prematuro stilare classifiche sui gruppi. I liberali di Renew hanno iniziato la loro campagna acquisti per recuperare il peso specifico perduto.
Tre, forse quattro gruppi a destra
Entro giovedì potrebbero formarsi nuove compagini a destra: una attorno alla delegazione dei 15 eurodeputati di Alternative für Deutschland, espulsi da Identità e democrazia, e un altro attorno ai dieci eurodeputati di Fidesz, il partito del premier ungherese Viktor Orban, pronti a formare un nuovo gruppo. Potrebbero aderire anche i cechi di Ano dell’ex premier Andrej Babis, con sette seggi, ma anche la folta delegazione (venti seggi) del Pis polacco dell'ex premier Mateusz Morawiecki, che ha dato al 50% una sua fuoriuscita da Ecr. Ed ecco che, ad esempio, la famiglia politica europea di Meloni diventerebbe quarta e addirittura quinta. Con Ecr e ID, sarebbero quattro i gruppi a destra. Troppa fluidità. E quindi anche inaffidabilità politica.
Meloni doveva fare i conti con tutto questo prima di minacciare di far saltare il banco. Il commissario con deleghe di peso e la vicepresidenza le erano già state assicurate. Poi ha accanto uno come il vicepremier Salvini che parla di “colpo di stato” (da parte di von der Leyen). E Tajani che chiarisce: “Questo non è certo il mio linguaggio”. Insomma, da avere molto, quasi tutto, si rischia di restare a mani vuote. Sarebbe grave.
Sono attese novità anche a sinistra. Vedremo. Una partita da seguire giorno per giorno. Più o meno in parallelo agli altri Europei, quelli di calcio.