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L’intreccio elettorale e il caos delle candidature: il centrosinistra diviso su tutto (o quasi) rischia grosso

A febbraio si voterà in tre regioni: Sardegna, Basilicata e Abruzzo. A giugno le Europee e il voto in 3700 comuni tra cui tredici capoluoghi. I giochi sono chiari solo a Bergamo. Tutto per aria a Firenze, Prato, Bari, Lecce. Oggi la Direzione del Pd

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Elly Schlein (Ansa)
Elly Schlein (Ansa)

Il “campo largo” è seduto sulla dinamite. Certo, poi la politica negli ultimi anni è fatta in modo tale per cui il giorno prima accoltelli chi ti siede accanto e il giorno dopo, se il poveraccio sopravvive, ci fai un accordo. Ma tant’è: quanto sta andando in scena in questi giorni non è affatto rassicurante. E se nel destra centro saltano candidature già concordate sulla base di accordi sebbene antichi e si mando messaggi ultimativi nonostante  la sordina che Giorgia Meloni vorrebbe imporre, nel centro sinistra va tutto in scena sulla pubblica piazza dei social, della tv e della stampa locale.

Le regioni al voto

La situazione è resa più complicata dal fatto che nei prossimi mesi si voterà per il rinnovo di tre consigli regionali di peso - Sardegna, Basilicata e Abruzzo, consultazioni previste tra febbraio e marzo - con sistemi elettorali ciascuno diverso dall’altro. Tre mesi dopo, tra il 9 e il 10 giugno, si voterà per il rinnovo dell’Europarlamento con il proporzionale e con un sostanziale maggioritario anche in ben 3700 comuni. Tredici di questi superano i centomila abitanti e sono capoluoghi di provincia: Bari, Bergamo, Cagliari, Ferrara, Firenze, Forlì, Livorno, Modena, Perugia, Pescara, Prato, Reggio Emilia e Sassari. Più avanti, ma sempre nel 2024, si voterà anche in Umbria e Piemonte, due regioni in mano al centro destra con presidenti che possono tentare il secondo mandato. Cirio (Fi), in Piemonte, è ben considerato e ben voluto. Persino dal sindaco di Torino Lo Russo (Pd). Sarà difficile scalzarlo. Meno scontata la situazione in Umbria, la prima regione “rossa” conquistata dalla Lega con Donatella Tesei. Anche qui: per fare un buon lavoro e sperare in una riconquista il centrosinistra dovrebbe già avere un candidato/a su cui spingere. Ma non se ne vede traccia. 

Ora, se i problemi nel destracentro nascono dalla necessità per Lega e Forza Italia di contarsi, a quasi due anni dal voto, rispetto al dilagante consenso dei Fratelli d’Italia, nel centrosinistra è in gioco la possibilità stessa di essere coalizione e quindi di contare nel ruolo fondamentale nelle democrazie quale è quello di un’opposizione politica vigile, attenta, propositiva.  

Pd a braccetto con Conte

Lo schema è sempre un po’ lo stesso degli ultimi due anni: il Pd di Elly Schlein va a braccetto con Giuseppe Conte e il Movimento per le amministrative. Poi però il Movimento mette la distanza e attacca perché deve anche pensare alle Europee e a farsi votare. In realtà non è neppure chiaramente così perché in molti comuni i 5 Stelle devono ancora decidere cosa fare. Eppure giugno,  in politica, è adesso, e dare cinque mesi ad un candidato/a per fare una campagna elettorale solida, è il minimo sindacale. Per carità, il ritardo riguarda anche il destra centro che però sono molti abili, lo hanno già dimostrato, a sigillare accordi destinati a durare nonostante i mal di pancia.

Nel Pd la parte più progressista e riformista, quella che aderì al progetto e allo spirito del Lingotto nell’ormai lontano 2007, e quella che ha perso il congresso perché ha votato Stefano Bonaccini, si ritrova spesso messa da parte senza neppure un perchè. Oltre a questo, ci sono poi le dinamiche personale, liti, rivalsi, la pretesa di mettere uomini o donne fidate per continuare a controllare città o regioni pur non potendo più fare nè il sindaco nè il governatore.

Un caos primigenio che intreccia europee, comunali e regionali con candidature che pesano e da cui dipende la leadership di Elly Schlein. Mentre quella di Giorgia Meloni sembra non correre mezzo rischio.

Il Nazareno fa sapere che la discussione è prima di tutto sui programmi. Oggi c’è la direzione e qualcosa, forse, di più chiaro, verrà fuori. La realtà è che elettori e tesserati si stanno invece litigando sulle candidature. Le prime due regioni al voto, ad esempio.

In Sardegna la decisione di candidare l’ex sottosegretario cinque stelle Alessandra Todde senza passare neppure da un’idea di primarie hanno spinto l’ex governatore e l’ex eurodeputato Pd Renato Soru a lasciare il partito e lanciare la sua lista. “Ma da quando in qua a Roma Pd e Cinquestelle decidono cosa va bene per la Sardegna?”. La “Rivoluzione gentile” di Soru sta girando paese dopo paese la sua Sardegna. Schlein non pervenuta. Eppure Soru è un imprenditore  che ha contribuito a fondare il Pd. Non buono. In generale diciamo che non si fa così. Si aggiunga poi che il presidente uscente Solinas, quota Lega, non è più il benvoluto di Giorgia Meloni, si capisce perchè il Pd sta perdendo tempo prezioso.  

In Basilicata il titolo si scrive da solo: due centrosinistra - o magari anche tre - per un solo caos. Angelo Chiorazzo è l’imprenditore di “Basilicata casa comune” indicato dal segretario regionale del Pd Giovanni Lettieri. “Il suo profilo - ha detto - offre al tavolo del centrosinistra un fattore di novità che potrebbe aggregare elementi della società civile e allargare la base del consenso elettorale”. Peccato che Chiorazzo sia il candidato di Speranza e almeno il 30 per cento del Pd locale, capitanato dall’ex senatore Margiotta  non ne voglia sapere. E mica finisce qui il caos in Basilicata: i Cinque stelle ancora non sciolgono le riserve ma non ne vogliono sapere di Chiorazzo. Neppure Pittella, un altro potente locale e transitato a suo tempo in Azione, i lo vuole. Italia viva è “wait and see”. I socialisti chiedono primarie. Gira il nome di un altro imprenditore, si chiama Lorenzo Bochicchio. “Con lui sarebbe forse già facile unire il centrosinistra” dice un dirigente Pd locale che aggiunge: “Perché mai non si candida direttamente Speranza?” . L’unica buona notizia è che non si sa ancora bene quando si voterà: marzo, prima, dopo?

In Abruzzo le cose vanno decisamente meglio con un’alleanza già decisa tra Pd e M5s. Il candidato comune è l’ex rettore di Teramo Luciano D’Amico che se la vedrà con l’uscente Marsilio (FdI) intenzionato a bissare. Qui è nota anche la data, il 10 marzo. Per Umbria e Piemonte c’è più tempo, si va dopo le Europee ma è chiaro che la partita qui è unica. In Piemonte Elly Schlein vorrebbe mettere in campo la fedelissima Chiara Gribaudo, capogruppo alla Camera. Ma perderebbe una colonna in Parlamento.

Le comunali

La situazione non migliora se si dà un’occhiata alle comunali. Quasi quattromila comuni, s’è detto, tredici sono capoluoghi di provincia. Prendiamo la Toscana, dove a giugno si voterà a Firenze, Prato e Livorno , tre città saldamente in mano al centrosinistra. Ma se Salvetti (Livorno) sarà ricandidato per il secondo mandato, Nardella (Firenze) e Biffoni (Prato) sono entrambi a fine corsa. E gestire il passaggio sembra impresa assai ardua. Il problema è che in Toscana la posta in palio è più alta che altrove: le destre vogliono fare bene in questa tornata di giugno 2024 per poi puntare alla Regione. Fare bene a cominciare da Firenze. La segretaria non ha ancora proferito verbo sulla candidatura. “Lavoriamo ai temi” è il refrain che sembra però un po’ stantio. Anche qui ci sono vari possibili candidati, la cosa giusta sarebbe fare le primarie che però sembrano diventate un tabù. Per palazzo Vecchio il sindaco uscente Dario Nardella sta blindando la candidatura dell’assessora Sandra Funaro (dopo aver blindato in Parlamento quella di Federico Gianassi e di Cristina Giachi in Regione). Un piccolo esercito nardelliano per il post Nardella. E però c’è il terzo incomodo che si chiama Cristina del Re: alla ex assessore più votata nella storia recente di Firenze (tremila preferenze nel 2019) improvvisamente indigeribile per il sindaco che le ha ritirato tutte le deleghe, è venuta la malsana idea di chiedere le primarie. Anzi, per lei le hanno chieste circa mille e cinquecento persone che il 15 novembre si sono ritrovate al Tuscany Hall per spingere la sua corsa verso Palazzo Vecchio. Pare che Nardella, spiazzato da tanto consenso, si stia muovendo con i responsabili dei circoli per blindare Funaro. Ma nessuno sta interpellando la base. In tutto ciò Matteo Renzi osserva la scena e non esclude di mettere in campo una sua candidatura.

A Prato la situazione è se possibile ancora più intrecciate.

Come a Lecce e a Bari. E dire che si tratta di città dove il combinato disposto dell’effetto Emiliano (presidente regione) e Decaro (amatissimo sindaco di Bari), entrambi di centrosinistra, dovrebbe rendere tutto più facile nell’ottica della continuità. E invece no. A Bari la situazione sembrava cosa fatta per l’avvocato penalista Michele Laforgia scelto come candidato del fronte “Convenzione per Bari 2024” di cui fanno parte Psi, Sinistra Italiana, Europa Verde, La casa del Popolo, Verdi, Progetto Bari, Bari Bene Comune, M5S, Italia Viva, La Giusta Causa, Base Italia, associazione Luca, Stati Generali delle Donne, VoltEuropa, Verdi Italiani, Gruppo di Dem Part Picone Poggiofranco. Ora però il Pd ha pensato che sarebbe meglio fare primarie e ha messo in campo tre nomi: Romano e  due assessori della giunta De caro,  Petruzzeli e Lacarra (quest’ultima molto vicina a Schlein). Primarie di coalizione quindi? Laforgia dice no, dice che non erano questi gli accordi. Anche perchè, come dimostrato, le primarie sono troppo facilmente infiltratili e condizionabili da fattori esterni. Un po’ come successe ai tempi della segreteria Pd quando Schlein ha vinto su Bonaccini proprio grazie al voto esterno ai circoli e agli iscritti Pd.

Non vanno meglio le cose a Lecce: anche qui il Pd di Schlein vorrebbe le primarie rimettendo in gioco il  sindaco uscente Carlo Maria Salvemini, un sincero riformista,  e far posto così a nomi nuovi. Più vicini alla segretaria.

Per fortuna hanno invece le idee molto chiare a Bergamo: la candidata del centrosinistra unito (tranne 5 Stelle) è Elena Carnevali, già assessore della vincente giunta Gori.

Chissà se oggi la Direzione del Pd saprà dare indicazioni più chiare, almeno sul metodo della scelta dei candidati. Le primarie sembrano diventate un’arma per regolare in conti internamente piuttosto che un modo di selezione dal basso. Tutto tace invece sul dossier candidature per le Europee. Peccato che molti sindaci uscenti cercheranno di andare in Europa. Saperlo, potrebbe aiutare tutti nel fare scelte più lineari.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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