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Giovanni Toti dopo la liberazione: "In questa regione, fondi pubblici e privati, sono trattati con enorme rispetto". L'intervista

Nel racconto dell’ex presidente della Regione Liguria il primo punto, sottolineato in ogni modo, “e riconosciuto anche dalla Procura” è che “nessuno ha detto che ho preso un solo euro per me o avuto un’utilità per me o per la mia famiglia”

Massimiliano Lussanadi Massimiliano Lussana   
Giovanni Toti dopo la liberazione: 'In questa regione, fondi pubblici e privati, sono trattati con...
L'ex presidente della Regione Liguria Giovanni Toti

E’ un Giovanni Toti quasi sereno, rilassato, che ha voglia di combattere, quello del primo colloquio dopo gli 86 giorni di arresti domiciliari nella sua villetta di Ameglia, estremo lembo di Liguria in provincia della Spezia, “che non è lo Spielberg (la terribile fortezza austriaca dove Silvio Pellico scrisse “Le mie prigioni” ndr), ma comunque non è piacevole per chi è innocente”.

E nel racconto dell’ex presidente della Regione Liguria il primo punto, sottolineato in ogni modo, “e riconosciuto anche dalla Procura” è che “nessuno ha detto che ho preso un solo euro per me o avuto un’utilità per me o per la mia famiglia”. Anzi, la politica non è stata un affare economico per Toti che ricorda: “Certo sono molto più povero di nove anni fa, quando ho iniziato questa avventura. Da direttore dei telegiornali di un grande gruppo come Mediaset avevo più soldi e più benefit di quelli odierni, che - per carità – sono un ottimo stipendio, ma certamente molto inferiori a quelli di allora”.

Mette i puntini sulle i, il presidente uscente di Regione Liguria, ricordando che i soldi raccolti dal comitato che porta il suo nome “hanno finanziato non solo la mia campagna elettorale per le regionali, ma quella di tanti sindaci con cui abbiamo cambiato il governo di questa regione”, dove quando arrivò il centrodestra e i civici di area governavano sul 20 per cento dei cittadini liguri e ora invece la percentuale è superiore all’80 per cento.

Toti è talmente convinto che nel suo operato non ci siano fatti censurabili che ricorda “per il finanziamento della nostra parte politica abbiamo sempre seguito le norme, con pignoleria e mi viene da dire quasi con pedanteria, arrivando al punto di restituire delle cifre erogate con procedure che potevano non essere interpretate come una perfetta applicazione delle regole. Insomma, non abbiamo voluto avere il minimo dubbio sulla correttezza delle procedure”.

Non ci sono attacchi alla magistratura, ma alla politica: “Evidentemente, se ci sono leggi che sono interpretabili dalla Procura dando l’idea che io non le abbia rispettate, cosa che ovviamente nego decisamente, c’è un problema in quelle leggi che permettono una simile interpretazione”. E, ogni volta che gli facciamo una domanda sul tema, la scelta di Giovanni Toti è proprio questa: nessun attacco diretto ai suoi accusatori, ma la richiesta di chiarezza sul finanziamento alla politica.

E proprio qui arriva l’occasione per rivendicare con forza il proprio lavoro: “Tutti gli indicatori dicono che la Liguria sta crescendo, in molti settori come nessun’altra Regione in Italia. Le opposizioni contestano questi dati e forse è anche normale che lo facciano, visto che sono opposizioni, fanno il loro lavoro, ma i numeri sono numeri e sono incontestabili”. Insomma, spiega Toti: “Noi riteniamo che il buon andamento delle imprese sia un interesse pubblico, così come che una regione lavori per superare l’ascensore sociale, creare ricchezza, sviluppo, lavoro per tutti, aiutare chi è più indietro…”.

Insomma, esattamente come nel “memoriale” consegnato ai pubblici ministeri, l’ex presidente di Regione Liguria stila il suo manifesto politico, che è proprio quello per cui oggi è a processo: “Noi, io da presidente della Regione, la nostra giunta, la nostra maggioranza, i sindaci e le amministrazioni nate sulla nostra esperienza, abbiamo voluto che si sapesse ovunque che la nostra Liguria e i nostri Comuni erano amministrazioni “friendly”, per così dire, per chi porta qui ricchezza e sviluppo e sono le stesse identiche cose che ho detto in occasione dell’inaugurazione del nuovo porto di Rapallo. In questa regione, fondi pubblici e privati, sono trattati con enorme rispetto, perché rispettiamo l’uso di ogni euro dei propri cittadini”.

E c’è anche la prova del nove di questo “teorema di Toti”: “Abbiamo favorito tutti coloro che potevamo favorire se creavano ricchezza e sviluppo, chi ci votava e anche chi non ci votava, chi ci finanziava e chi non ci finanziava”. Anche l’ultima polemica, raccontata proprio su Tiscalinews, sul fatto che l’ex vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura David Ermini abbia dovuto dimettersi dalla direzione del Pd perché ha scelto di presiedere la holding del gruppo Spinelli, facendo seguito a un’ottima intuizione del suo avvocato Sandro Vaccaro, principe del foro di Genova - si presta al Toti d’attacco, come uno schermidore da “parata e risposta”: “Io personalmente sarei stato molto orgoglioso se un prestigioso esponente del mio partito le cui doti professionali sono unanimemente riconosciute, fosse prescelto per rilanciare un grande gruppo che dà centinaia e centinaia di posti di lavoro. Ma, evidentemente, quella che un tempo nel Partito democratico era la cultura del lavoro ora – con maitres à penser di un certo tipo – si è trasformata in cultura del sospetto verso chi lavora”. E non rinuncia a una stoccata nei confronti di Matteo Renzi, che ha annunciato di voler appoggiare il centrosinistra in Liguria: “Vedo che strizza l’occhio a quelli che raccolgono le firme contro il job act”.

Toti fa nomi e cognomi. Ad esempio di quelli a cui ha telefonato in questi giorni, quelli con cui si è sentito, che poi sono quelli che gli sono stati più vicini, mettendoci la faccia: “Ho ringraziato per la loro vicinanza il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, il ministro della Difesa Guido Crosetto, quella del Turismo Daniela Santanchè, lo farò con la dovuta delicatezza che il suo ruolo comporta con il Guardasigilli Carlo Nordio. E poi anche tanti esponenti della società civile e del giornalismo, anche di parti politiche lontane dalla mia, da Piero Sansonetti a Claudio Velardi, Chicco Testa e tanti altri”.

E cosa farò Giovanni Toti da grande? “Non mi candiderò a presidente della Regione o a consigliere regionale, ma la politica si fa in tanti modi, si può fare da giornalista, si può fare come ho sempre fatto fin da quando a scuola ero rappresentante in Consiglio d’istituto...Certo, darò una mano a chi porterà avanti il nostro modello di Liguria e non escludo di essere ad applaudire qualcuno in qualche iniziativa elettorale con questo scopo”. Anche perché Toti vede un bivio: “Avrei potuto scegliere di non dimettermi e probabilmente la martirizzazione personalmente mi avrebbe fatto anche bene. Ma fra il bene mio e quello della mia regione non ho avuto alcun dubbio”.

E le elezioni le vive come uno scontro fra due concezioni della Liguria: “Almeno su questo sono assolutamente d’accordo con Andrea Orlando. Mi prendono in giro perché guardo a Miami? Loro probabilmente guardano a Sochi prima delle Olimpiadi, dove c’erano le ville degli oligarchi e tutti gli altri erano in miseria”. E il tribunale? “Quello politico sarà nelle urne, con la scelta fra la continuità con quella che per me è stata la migliore giunta di sempre e chi descrive tutto questo come “Romanzo criminale”. Gli elettori ci diranno come la pensano”. 

 

Massimiliano Lussanadi Massimiliano Lussana   
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