Viaggio dentro la batosta del Pd nella Stalingrado d'Italia. Penati: "L'integrazione non è un pranzo di gala. A Sesto ha perso una sinistra superba che ha voltato le spalle alla sua gente"
L'ex sindaco di Sesto San Giovanni ed ex leader lombardo del Pd, analizza la sconfitta nella roccaforte storica del centro-sinistra. "Vince la demagogia della destra quando la sinistra rinuncia a dare delle risposte concrete, ad accompagnare i percorsi, ad affermare il rispetto della legge e delle regole"
Il monumento alla Vittoria si staglia con braccia tese contro il cielo terso di Sesto San Giovanni, in un volo di colombe che simboleggiano la liberazione dal nazifascismo proprio al centro di piazza della Resistenza, dirimpetto al palazzo municipale. Se c'è un'immagine che può definire il comune più popoloso dell'hinterland milanese è questa. Sesto, la "Stalingrado d'Italia", decorata al valor militare per la sua attività nella lotta partigiana durante la Seconda guerra mondiale, è caduta il 26 giugno ai ballottaggi delle amministrative. Espugnata da Roberto di Stefano, il candidato del centro-destra appoggiato da FI, Fratelli d'Italia e Lega, che ha vinto con quasi il 60% dei voti contro Monica Chittò, la sindaca uscente sostenuta dal Pd e da tutti i partiti della sinistra, con al fianco big come Pisapia e Veltroni. Una batosta clamorosa per il centrosinistra, che dopo 72 anni perde una delle sue roccaforti in Lombardia. Un risultato storico per il trentanovenne Di Stefano, che ha giocato tutta la sua campagna sul nodo dell'immigrazione con il "no" alla costruzione della grande Moschea a Sesto. "Ha vinto la paura", dicono dal quartier generale della candidata sconfitta. Ma è davvero così?
"Sesto in questi anni è cambiata profondamente. Il processo di dismissione delle grandi fabbriche data almeno da trent'anni a questa parte, ed ha cambiato la fisionomia della città. Oggi non ci sono più operai, l'economia punta sul terziario, sulla ricerca, sulla produzione innovativa". A raccontare la trasformazione è Filippo Penati, una lunga militanza nella sinistra lombarda, dal Pci ai Ds, fino all'approdo nel Partito Democratico e alla guida della segreteria politica di Bersani, nel 2009. Ma soprattutto una vita tra i banchi del comune di Sesto, sindaco della città per due legislature, dal '94 al 2001, poi presidente della Provincia di Milano, dal 2004 al 2009. Lo stop alla politica arriva nel 2011, con le dimissioni dalla carica di vicepresidente del Consiglio Regionale lombardo in seguito all'inchiesta sul cosiddetto "Sistema Sesto" da cui esce completamente prosciolto nel 2015.
Penati, colpisce che l' affermazione del centro-destra coincida con la perdita della "base" tradizionale della sinistra: una città di 80 mila abitanti e solo 200 iscritti al PD..
"Si i dati sono quelli. C' è una realtà che cambia, oltre il mito di una grande storia legata alla lotta per la Resistenza, all'alto tributo di vittime cadute per la liberazione e oltre le grandi lotte operaie del 900, che hanno scritto pagine importanti sulla conquista dei diritti. Tutto questo però da qualche parte rimane. Chi arriva a Sesto capisce che c'è una specificità della comunità sestese che affonda le radici nell'orgoglio di essere comunque una città che ha una storia importante per la Repubblica italiana e per la conquista della democrazia nel nostro paese. L'elezione di un sindaco di centro-destra non può cambiare la natura di questo passato e non può alterare questi valori fondanti. Il problema è che i cittadini chiedevano un'altra cosa: ovvero che ci fosse un cambio di passo rispetto ad un governo cittadino degli ultimi anni che aveva certamente prodotto cose buone ma anche, innegabilmente, qualche delusione".
Sulla gestione del tema migratorio il centro-sinistra non ha convinto e alla fine ha perso la partita.
"Hanno dato una risposta sperando che ci fosse ancora la possibilità di un riflesso pavloviano al richiamo della difesa dell'antico fortino rosso a prescindere dalle performance del governo cittadino e questo è stato l'errore. Sesto non è diventata improvvisamente intollerante. Questa era ed è una comunità accogliente e solidale: i cittadini però chiedevano un passo in avanti nel modo di gestire, interpretare e governare i problemi dando delle risposte concrete. Cosa che non è stata nel quinquennio precedente".
E' possibile conciliare la richiesta di sicurezza dei cittadini con una proposta di governo di centro-sinistra?
"Se una parte importante della comunità sente un bisogno di sicurezza non lo si può semplicemente ignorare, o peggio, stigmatizzare con l'etichetta dell'intolleranza. Non si può minimizzare il disagio dei ceti popolari che vivono nelle zone periferiche, che l'immigrazione ce l'hanno sul ballatoio tutti i giorni. Non è come per molti che il volto dell'immigrazione è il bengalese che ti viene a dare le rose al ristorante o il lavavetri all'incrocio della strada: tu gli dai un euro e ti sei messo l'anima in pace. Bisogna mettersi anche nei panni di chi la cosiddetta immigrazione di prossimità la vive sulla sua pelle, nelle difficoltà della convivenza quotidiana col vicino di casa, con chi ti sta a fianco nel quartiere. La soluzione non può stare negli slogan della Lega, ma nemmeno nel buonismo compiaciuto che rinuncia a interrogarsi sulla complessità. Non basta".
C'è stata una sottovalutazione della dinamica multiculturale?
"Bisogna metter le mani nei problemi, anche là dove capisci che c'è una resistenza eccessiva a condividere i passaggi dell' integrazione: nelle periferie dove vivono i più deboli, la gente che lavora, che sente le ansie per il futuro dei propri figli. Lì sta il popolo della sinistra. Non dobbiamo pensare che siccome votano a destra quella non è più la nostra gente. Perchè la destra li illude, li seduce con la paura ma poi li abbandona. D'altro canto, se la sinistra diventa superba e giudicante, se si limita a prescrivere il codice astratto dei comportamenti individuali, il "politically correct", anzichè dare delle risposte, accompagnare i percorsi, affermare il rispetto della legge e delle regole, beh allora la sinistra sta voltando le spalle alla sua gente. La sinistra è fatta non per le anime belle ma per il popolo. Vanno ascoltate e accompagnate le preoccupazioni dei ceti che vivono a contatto quotidiano coi problemi. Le enunciazioni di principio non bastano, sennò la politica diventa una religione. Sbaglia chi ha lanciato slogan dicendo: chi vota per noi vota per la speranza e chi vota dall'altra parte vota per l'intolleranza. Io non posso pensare che la maggioranza dei cittadini di Sesto sia intollerante. Chiedono semplicemente risposte"
Ora il nuovo Sindaco Di Stefano chiude le porte all'ipotesi della nuova Moschea, questa era una conseguenza prevedibile.
"Dice no alla grande moschea di 2500 mq affermando che quella attualmente esistente, più piccola, può essere sufficiente alla comunità locale. Il suo no riguarda la concentrazione a Sesto di un centro di raccolta da Milano e da altre zone, ma non chiude al confronto con la comunità islamica locale per quello che è il diritto costituzionale della libertà di culto. Poi quel processo andrà governato nel confronto con la lega e FdI che non hanno le stesse posizioni"
Uno sguardo in avanti alle regionali del 2018. La proposta unitaria di Pisapia, di "grande coalizione" a Sinistra può riuscire a invertire il trend che in questo momento sembra premiare le destre e la Lega in Lombardia?
"Sto seguendo il dibattito del dopo ballottaggi dentro il Pd e nel centro sinistra. Credo che la tentazione di continuare sulla vocazione maggioritaria di Renzi e tornare alla rottamazione sia una reazione sbagliata, che rischia di non trovare sufficiente consenso per dare una risposta ai problemi del paese. Dall'altra parte questa idea che esista ancora la possibilità di ricostruire un centro-sinistra fatto da accordi politici di vertice con il collante di un federatore è superata dai tempi. E guardi, la dimostrazione sta proprio nel voto di Sesto San Giovanni: il sindaco Chittò si è presentato alle elezioni con una coalizione che è simile a quella che vorrebbe Pisapia, simile a quella che propone lo stesso Prodi che è fatta dal PD più ciò che nella sinistra più ampia si può raccogliere. Ma non è bastato. Il 40% degli elettori al primo turno ha votato per le liste civiche: 2 esterne ai due poli hanno preso da sole il 30% ; un'altro 10-12% è andato alle civiche apparentate all'interno dei due schieramenti. Questo è un dato significativo, perchè questo voto civico non è assolutamente di protesta è l'espressione di un impegno e di una determinazione a contare nelle scelte di governo. Tant'è che sono tornati compatti al ballottaggio per scegliere il candidato migliore, e hanno fatto la differenza, con una dote di 7.300 voti.
Ora il centro-sinistra deve far tesoro del fatto che questo civismo espresso nel territorio è un patrimonio disponibile, insieme all'altissimo astensionismo. La regione Lombardia sarà il primo test. Se si riuscirà a costruire una rete che faccia crescere questo fermento dal basso dandogli la possibilità di poter contare sul piano dei programmi, della linea politica, della scelta delle candidature allora ci sarà una ripresa. Se si pensa viceversa di rimettere insieme la diaspora del centro-sinistra attraverso accordi che passano da diverse personalità non funzionerà, perchè sarebbe un film già visto. A Sesto, il centro sinistra allargato non è andato oltre i 30%. Ci vuole ben altro. Bisogna ricongiungere i fili e i fili si ricongiungono partendo dal basso".