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Parisi: "Prodi ha arrotolato la tenda ma la sinistra è costretta a rimanere unita"

Se si vuol tornare al governo non ci sono alternative alla prospettiva di una coalizione allargata, spiega in esclusiva per Tiscali il professor Arturo Parisi. Il Pd da solo lontano dalla soglia del 40%

Paola Pintusdi Paola Pintus   
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"Per come la vedo la posizione di Romano Prodi è quella di un'amarezza profonda che lo ha spinto ad allontanarsi dal campo piuttosto che entrare dentro il campo. Lui non ha arrotolato la tenda per passare da un partito a un altro ma è stato costretto a prendere atto che il ragionamento che sembrava essersi aperto intorno alla possibilità di dar vita a una coalizione ampia che si facesse carico della responsabilità di governo si è rivelata priva di fondamento". Arturo Parisi ritorna con Tiscali sull'intervista recentemente rilasciata al Corriere della Sera precisando meglio il senso di quel passaggio che tanto aveva creato scalpore e che lasciava intuire non solo l'idea di un disimpegno, ma di una vera e propria frattura tra il fondatore dell'Ulivo e il partito renziano ("Prodi? Ormai è lontano dal Pd. Renzi? Prigioniero del suo Io. Sembra che preferisca perdere piuttosto che provare a vincere insieme"). Le resistenze, biunivoche, nascono dal rifiuto netto del segretario del Partito Democratico a proseguire in quel percorso ma anche, spiega Parisi, da posizioni simmetriche manifestate da esponenti di altre forze: "Il 1 luglio, in Piazza S.Apostoli Massimo D'Alema aveva detto ai giornalisti che non restava che contarsi rinviando il confronto a dopo le elezioni, sulla base della forza acquisita e misurabile del voto. Non era esattamente questo lo schema su cui avevamo lavorato". 

"Noi avevamo lavorato sull'ipotesi che il PD aprisse un confronto con le forze alla sua sinistra che andavano a coagularsi attorno all'iniziativa di Pisapia e con altre che erano state ipotizzate verso il centro per condividere un programma di governo che fosse messo al servizio del paese nella prox legislatura. Invece abbiamo dovuto prendere atto che sia gli interlocutori coi quali non abbiamo interloquito (D'Alema) sia quelli che avevano manifestato un'interesse all'ipotesi di lavoro (Renzi) hanno poi chiuso questa disponibilità".

Professore, dunque c'è ancora la possibilità di invertire la rotta e di trovare la via dell'unità nel centro sinistra?

"Andiamo per ordine. La prima domanda da porsi è se il centro-sinistra ed il Pd stesso hanno in mente di continuare a governare il paese in nome di un programma. Perchè se questo obiettivo è stato accantonato con l'idea che la priorità sia la rappresentazione tout court della propria identità e delle proprie idee stiamo parlando d'altro. Se viceversa l'obiettivo è vincere le elezioni allora evidentemente si dovrà raccogliere una maggioranza significativa di voti che consenta di tornare al governo. L'attuale legge elettorale consiste in una modifica dell'Italicum da parte della Corte costituzionale che viene chiamata "Consultellum", che consente alla coalizione che raggiungesse il 40% di vedersi riconosciuta una maggioranza del 54% ancorchè solo alla Camera ma che rappresenta un punto di riferimento solido per tornare al governo. Ovviamente, se non c'è interesse a raggiungere questa soglia o se un partito ritiene di riuscire a raggiungerla da solo viene meno il presupposto di tutto questo discorso. Ma la mia valutazione in proposito è un'altra, ed è una valutazione ampiamente diffusa e avvalorata dai sondaggi che registrano la forza delle diverse posizioni. 

Di conseguenza penso si possa andare al governo soltanto attraverso un'alleanza tra quelle forze che si presentano alle elezioni chiedendo agli italiani la loro fiducia sulla base di un programma comune, a partire da uno sforzo di convergenza minima su alcuni punti di base, sapendo che su altri ci sono distanze anche ampie -sull'Europa, sull'euro, sulle alleanze internazionali ad esempio".

Quale convergenza si può trovare con Pisapia che spinge verso le primarie allargate e col Pd non disposto a riaprire il capitolo della contendibilità della leadership?

"E' evidente che una coalizione che è costituita tra "pari" dal punto di vista non quantitativo ma qualitativo deve lasciare impregiudicata la guida, perché diversamente la coalizione si configurerebbe come una relazione tra un partito maggiore e partiti minori  caudatari per definizione. Le forze della coalizione vedranno come risolvere questo problema che non può essere dato come risolto pregiudizialmente. Peraltro questa è anche la modalità con cui questo nodo fu risolto nel 2012: ci fu una competizione a cui parteciparono anche altri e alla fine Bersani venne confermato come leader della coalizione Bene Comune". Riassumendo: dobbiamo domandarci se vogliamo tornare al governo, se eventualmente pensiamo di riuscire ad andarci da soli o se, in caso contrario, sia possibile ed anche doveroso aprire un confronto con quelle forze che condividono almeno una base minima di lavoro e di prospettiva. Una volta sciolti questi nodi si può passare a decidere la modalità con cui la coalizione funziona. Ma noi ci siamo fermati molto prima: dopo che ci era sembrato che questi punti fossero stati valutati positivamente è caduta l'ipotesi di una coalizione ampia.  Viceversa è tornata in campo l'ipotesi della corsa solitaria, il chè mi ha fatto dire che sembra che a Renzi sembra che sia preferibile perdere da solo piuttosto che vincere assieme.

Insomma, non c'è una chiusura definitiva ma piuttosto un'esortazione a riprendere ancora una volta il filo del dialogo?

"Dal mio punto di vista ho detto che tanto prima o poi ci torneremo perchè non vedo alternative.  Personalmente, sono un difensore del maggioritario e della "democrazia governante" che punta affidare agli elettori l'investitura diretta del governo attraverso il principio di maggioranza. E siccome il principio di maggioranza è stato confermato dalla Corte costituzionale addirittura con un premio di 14 punti per chi raggiunge il 40%, prima di arrendersi all'idea che ciascuno vada per conto suo per poi rivedersi dopo le elezioni dico che bisogna contare sino a un milione. Il rischio, altrimenti, è quello di aggregazioni post voto in cui sono possibili tutti i tipi di combinazioni, tra i vicini e tra i lontani e persino tra quelli che fino al giorno prima si cavavano gli occhi a vicenda. Questa non è la mia idea di democrazia. Penso che gli italiani abbiano il diritto di designare il governo esattamente come gli altri paesi europei in modo tale che chi dovrà rappresentarci nelle sedi internazionali non sia un rappresentante occasionale ma un leader forte di un mandato duraturo capace di durare fino alle prossime elezioni". 

Paola Pintusdi Paola Pintus   
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