[Intervista] “Il Piano disatteso che avrebbe cambiato l’emergenza. Ora la Fase 2: servono gradualità e pompieri pronti a spegnere focolai”
Parla l’ex ministro della Salute Beatrice Lorenzin (Pd) che nel 2018 aggiornò il Piano antipandemico con obiettivi e azioni guida contro i nuovi virus. Ma non è stato applicato. “Subito una cabina di regia per dettare tempi e modi della ripartenza. Un tavolo a cui partecipano tutti i soggetti interessati. Necessaria la condivisione di ogni decisione”

Quando era ministro ha predisposto il Piano contro le epidemie. Lo ha lasciato pronto ad ex ministra Giulia Grillo (M5s) e poi a Roberto Speranza che l’hanno succeduta al dicastero. Sa che fine ha fatto il Piano?
“Non saprei e sono molto curiosa di ascoltare la risposta del governo all’interrogazione del senatore De Falco che ho letto nel suo articolo. Durante il mio mandato è stato predisposto e trasmesso alle Regioni, che poi lo dovevano effettuare secondo le linee guida. Credo siano state fatte alcune simulazioni anche recentemente. Non credo sia stato aggiornato però da parte del passato governo (Lega-M5s, ndr)”.
Anche senza aggiornamenti, così come lo vediamo, il Piano avrebbe reso questa tragedia meno tragedia?
“Avremmo avuto certamente una reattività maggiore, nonostante l’effetto sorpresa. Di sicuro nei primi giorni, nelle prime due settimane. Meno panico e più nervi saldi. Vede, questi Piani vivono e si nutrono della consapevolezza di chi li attua, sia a livello tecnico che politico, e di chi li deve rispettare. Cioè tutti noi. Dunque, se il Piano fosse stato rispettato ci sarebbe stata almeno una vaccinazione antinfluenzale di massa, molti casi in meno, meno ospedalizzazioni, percorsi dedicati, e quindi in sicurezza nei pronto soccorso.Non è poco, sa…”.
Lei quando era ministro ha comunque gestito l’allarme per due epidemie, Sars e Ebola. Il piano di oggi è infatti quello che lei ha aggiornato sulla base di alcuni precedenti del 2002 e del 2005. Era così inaspettata una pandemia di questa portata?
“Ciò che tutto il mondo sta vivendo è un fatto inaspettato e oltre ogni tipo di previsione. Non è un caso che siamo più o meno tutti nelle stesse condizioni. E che l’Italia, comunque, ha reagito prima e meglio di altri paesi. Dunque la critica che segue riguarda tutti, nessuno escluso. Una gigantesca lezione”.
Dica.
“Noi avevamo predisposto il piano per pandemie influenzali, aggiornando quelli su Sars e Merse in base agli alert dell’ Oms e all’andamento globale. Ci siamo resi conto che il cambiamento del clima avrebbe favorito l’evoluzione dei virus e che il salto di specie animale/uomo, come è successo per Covid-19, era tra le cose possibili. Da qui, con gli esperti, abbiano predisposto obiettivi e azioni, abbiamo anche immaginato 5 fasi, compresa quella in cui non accade nulla che è invece fondamentale per essere pronti se e quando arriva qualcosa”.
Il mondo evoluto e globalizzato ha sottovalutato?
“Direi di sì. La lezione principale di questa emergenza è proprio questa: certe azioni di prevenzione devono proseguire in modo strutturale e strutturato a prescindere dalle sensibilità dei vari governi o dal fatto che ‘da tanti anni non succede nulla e quindi questa spesa si taglia’. Quando scoppia una pandemia, accade all’improvviso e il mondo globalizzato che vive di interscambi scambia velocemente anche il virus”.
Quali sono gli errori da non ripetere più? A parte i tagli forsennati alla Sanità intesa come letti, macchinari, medici, infermieri, che sono stati più o meno una costante negli ultimi vent’anni.
“Dobbiamo riaprire i vecchi Uffici di igiene, il sistema territoriale della Public health che si occupa di igiene e prevenzione. Tutto questo non c’entra nulla con la ospedalizzazione. E poi serve un’Agenzia centrale - tecnica e non politica, non soggetta voglio dire allo spoil system - che coordina e monitora l’attività di questi uffici a cui tocca controllare l’andamento dell’igiene e delle virologia sul territorio. Vede, i medici ci stanno dicendo che già a dicembre c’erano state numerose polmoniti anomale. Casi “strani” che avremmo dovuto poter segnalare secondo prassi e canali definiti. Il Piano anti pandemia parte proprio da lì, dal sistema di alert che arrivano dal territorio e dai medici di base. Possiamo dire, sulla base delle informazioni in nostro possesso, che il sistema degli alert questa volta non ha funzionato perché non c’è stato flusso dalla periferia al centro”.
Il Piano pianifica anche quella che noi adesso chiamiamo Fase 2?
“Certo, la Fase 2 e anche quelle successive, fino al momento in cui l’emergenza sarà finita ma non per questo bisogna sbaraccare perchè non succede nulla. La Fase 2 necessita di una cabina di regia tra varie istituzioni, mi riferisco ad associazioni di categoria e soggetti imprenditoriali ma anche i cittadini per organizzare un nuovo modello di organizzazione sociale per la fase di transizione. Questa cabina di regia deve essere in grado di immaginare, partendo sempre del potenziamento forte dei Dipartimenti di prevenzione sul territorio, nuovi modelli per il lavoro e per la vita in comune . Anche a livello sanitario servono misure di sicurezza, prevenzione e monitoraggio adeguate per ogni filiera produttiva. E per ogni fase del nostro quotidiano. Quindi: come si usano i tamponi, chi li fa, quando, tempi certi nel loro processo; come fare i contact tracing, utilizzo di app e altri risorse tecnologiche. Tutto questo va coordinato in linea verticale in modo che poi ci sia il confronto e la verifica con le braccia e le gambe di questo nuovo sistema che sono i territori”.
Le chiedo alcuni esempi. Iniziamo dalle filiere lavorative. Ad esempio una fabbrica.
“L’immagine migliore da usare credo sia quella dei pompieri alle prese con un vasto incendio. Una volta che è stato domato, ma non spento del tutto, occorre che i pompieri tengano d’occhio e spengano immediatamente eventuali e ulteriori focolai. Quindi, se devo riaprire la mia fabbrica, è necessario avere un protocollo che dica come la apro, chi deve far rispettare la fasi del protocollo, come metto in sicurezza i miei operai, chi deve fare il tampone, chi l’indagine sierologica per capire chi ha già sviluppato anticorpi, ogni quanto vanno ripetuti questi esami. Se c’è un positivo chi fa il contact tracing. Come si isola il nuovo positivo e chi deve fare la quarantena. Tutto questo deve essere veloce ed efficace. Come i pompieri che devono, appunto, spegnere un focolaio. Dopo il grande incendio, e tanti ustionati, noi adesso abbiamo a che fare con le braci. Servono quindi tanti pompieri sul territorio pronti ad isolare nuovi focolai. Serve una struttura verticistica ed elastica”.
La Fase 2 per gli anziani?
“Anche qui, serve un piano simile tarato per gli over 60, per i soggetti più a rischio, per le Rsa e per chi è assistito a casa. Immagino più visite a domicilio e più assistenza domestica. Bisogna arruolare medici e infermieri per questa funzione specifica”.
In questa fase stanno soffrendo molto anche i pazienti No- Covid.
“Infatti dobbiamo immaginare modelli di assistenza separati, Covid e no-Covid. Ci può aiutare molto anche la vigilanza attiva tramite app. Insomma, quello che voglio dire è che la Fase 2 deve avere come obiettivo soprattutto quello di evitare un nuovo lockdown. Non ce lo potremmo permettere”.
Il presupposto di tutto ciò è che ci siano certezze sui tamponi, il tempo del loro processo che non può essere come talvolta è ancora oggi di 6-7 giorni, sui test sierologici, chi li fa, come e perchè, soprattutto quali. Lei sa che purtroppo ancora oggi ci sono molte, troppe variabili in proposito.
“Infatti. Tutto questo settore va normato in fretta e con certezza. Bisogna rafforzare i laboratori sui territori. Se mancano i reagenti, vanno prodotti in Italia. Come abbiano incentivato il settore tessile per produrre mascherine, dobbiamo investire sulla filiera chimico-farmaceutica e riportare in Italia queste produzioni. Dobbiamo essere autonomi. Questo può essere un pilastro della ripartenza. Tra l’altro questo è un settore di eccellenza in cui l’Italia ha grande tradizione”.
La vita è fatta anche di cose ordinarie: scuola, cinema, teatri, sport, ristoranti, viaggi, vita sociale. Il governo e i tecnici continuano a dire: “State a casa”. Non crede che i cittadini, e non da oggi, vogliano ascoltare anche altro? “Finora è stata l’unica cosa da dire. Perchè l’unica cosa da fare, il nostro unico strumento valido per fronteggiare il virus. D’ora in poi la parola d’ordine, accanto a sicurezza e distanza sociale, sarà gradualità. Sarà più difficile nel settore della ristorazione e del turismo. Però anche qui dobbiamo poter immaginare percorsi graduali di riaperture in sicurezza: più turni, orari più lunghi, divisori in plexiglass tra i tavoli, meno tavoli, mascherine. Protocolli rigorosi saranno necessari nelle cucine. Immagino che nello sport specie quelli individuali, nei cinema e nei musei possano essere programmati dei turni. Dobbiamo reinventarci”.
Chi sta facendo tutto questo?
“I singoli ministeri sono al lavoro. Anche le università. Il Pd ha chiesto una Cabina di regia perchè in questa fase il processo decisionale deve essere organizzato e condiviso con tutti gli attori e tutti i protagonisti. Solo in questo modo saranno accettate le inevitabili modifiche e, anche, le rinunce”.
Che effetto le fa condividere queste scelte con la componente 5 Stelle che è No-vax ed è stata sua acerrima avversaria nella nuova legge che lei ha imposto sui vaccini?
“Per fortuna credo che i 5 Stelle non siano più No-vax. La malattia dei No-vax si chiama antiscienza. E’ la stessa malattia che mi obbligò, quando ero ministro, a fare la legge sui vaccini. E’ anche la stessa malattia che ha colpito leader mondiali che hanno sottovalutato questo virus. Allora vorrei dire che l’evidenza scientifica deve essere d’ora in poi il convitato di pietra di ogni tavolo decisionale”.
Fiduciosa?
“Mi guida l’ottimismo della volontà. Spero che ci si metta tutti intorno al tavolo per fare questo lavoro. E deve succedere subito. La politica deve guidare. I tecnici devono essere al servizio della buona politica”.