Le inchieste su Morisi e Fidanza (fdi), cartellino rosso alle destre di Salvini e Meloni

L’ultima settimana ha messo a nudo i destini paralleli dei due candidati premier del centrodestra. Mentre Berlusconi spiega che senza Forza Italia Lega e Fratelli d’Italia non posso ambire a guidare il governo. Il Pd si schiera con l’ex sindaco di Riace e contro la sentenza. Un voto che non decide solo i sindaci

Selfie Meloni-Salvini
Selfie Meloni-Salvini (Foto Ansa)

Era difficile immaginare un finale di campagna elettorale così impegnativo. Si è sempre detto e saputo che la posta in gioco è cosa ben diversa - purtroppo - dai singoli sindaci che andranno a governare le rispettive città, 1291 per l’esattezza. Che i risultati saranno un capitolo importante di quella storia nuova di partiti e alleanze che si sta scrivendo in Italia da quando Mario Draghi ha giurato come Presidente del Consiglio. Tutto vero. Ma non fino a questo punto. Non fino al punto di ipotecare il futuro politico - almeno come premier e leader del centrodestra - di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. E di legare il Pd a posizioni antimagistratura e a favore dei migranti.

Tutto in una settimana

E’ capitato tutto in questa settimana. Vale la pena rimettere in fila i fatti. Lunedì mattina su La Stampa Giancarlo Giorgetti, numero 2 della Lega di Matteo Salvini, ministro per lo Sviluppo economico, in Parlamento dal 1996, politico senza social e avaro di interviste e tra i più “vicini” allo stile Draghi, dice alcune cose esplosive: i candidati del centrodestra sono sbagliati; Draghi è bene che vada subito al Quirinale e il Paese a votare perchè da febbraio in poi, una volta eletto il Capo dello stato, la tensione tra i partiti della larga maggioranza sarà tale che diventerà difficile gestire l’impegnativa agenda di governo. E’ la certificazione dell’esistenze di due Leghe distinte e la messa in mora di Salvini.

La doppia morale

Nello stesso giorno, sempre lunedì, alcuni quotidiani hanno una notizia bomba: Luca Morisi, il guru della propaganda del Capitano, è coinvolto in un’inchiesta dove ci sono droga, festini, escort omosessuali. Il castigatore - sui social - di tossici, omosessuali, immigrati clandestini è parte attiva proprio di quel mondo che ha umiliato e offeso. Si parla di “nemesi”, “doppia morale”, in due parole una figuraccia al cubo che svela l’ipocrisia di tanti cavalli di battaglia leghisti. O meglio: salviniani. Per il Capitano, nome coniato da Morisi, sono giornate durissime. I dettagli dell’inchiesta, giorno dopo giorno, lo mettono sempre più in difficoltà. Si tenta una reazione, scontata: “Giustizia ad orologeria”. Ma la magistratura stavolta conta poco o nulla. E’ in atto un regolamento di conti politico il cui obiettivo finale è il logoramento lento del segretario e lo smantellamento del suo cerchio magico. Dettaglio, ma forse no: Giorgetti nell’intervista non sa nulla di quello che sta capitando addosso a Morisi e quindi a Salvini.

Giorgia e Matteo? Unfit per palazzo Chigi

Giovedì mattina, sempre su La Stampa, esce un’altra intervista, questa volta a Silvio Berlusconi (che poi la smentirà). L’anziano Presidente non ha dubbi: “Meloni o Salvini alla Presidenza del consiglio? Ma non scherziamo”. Postilla: “Senza Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia non vanno da nessuna parte. Siamo noi la loro assicurazione per guidare un paese fondatore dell’Europa”. Che c’entra Meloni che cresce nei sondaggi e contende a Salvini il posto di primo partito italiano? Sembra quasi un veggente, Berlusconi. Giovedì sera infatti il quotidiano on line Fanpage pubblica un’inchiesta devastante per Fratelli d’Italia. In un video si vede e si sente Carlo Fidanza, capodelegazione di Fdi a Bruxelles, volto pulito e moderato di una nuova destra, uno che a livello di confidenza sta a Meloni un po’ come Morisi stava a Salvini, discutere con alcuni militanti (un giornalista infiltrato da supporter) su come finanziare il partito a Milano, con canali ufficiali o in nero. Il video poi racconta di ritrovi al bar in cui si fa largo uso di saluti fascisti, ironie sul Covid, commenti su immigrati ed ebrei. La procura di Milano ieri mattina ha aperto un’inchiesta per finanziamento illecito e apologia di fascismo. Una botta tremenda per Giorgia Meloni. Fidanza si autospende, dice che è tutta una montatura, che si affida agli avvocati. Meloni può solo dire: “Ci voglio vede chiaro, a due giorni dal voto, mi capirete no?”.

Sentenza “mostruosa”

Nel pomeriggio sempre di giovedì arriva da Reggio Calabria (la Calabria è l’unica ragione dove si vota), un’altra notizia che stavolta casca piena nella metà campo del centrosinistra: Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace, uomo simbolo per l’accoglienza degli immigrati e inventore del modello Riace, è condannato in primo grado a 13 anni per associazione a delinquere, peculato, falso, abuso d’ufficio, truffa. Cade l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Superato un primo momento di stordimento, il centrosinistra ignora la sentenza e si schiera compatto al fianco di Mimmo Lucano. Tredici anni sono “tantissimi, e si deve trattare di un clamoroso errore giudiziario. Ieri, venerdì, è stato l’ultimo giorno di campagna elettorale. Da oggi scatterà il silenzio. E la cronaca, a parte la conferenza stampa a Milano dove Meloni è arrivata tardi e Salvini è andato via prima e l’abbraccio riparatore tra i due leader ieri mattina a Spinaceto, periferia di Roma, non ha regalato altre novità.

Cadranno insieme?

Fino a che punto, ed eventualmente quanto, peserà tutto ciò sul voto di domenica e lunedì? Difficile dirlo. Le conseguenze si vedranno soprattutto nel medio periodo. All’interno della coalizione e nella maggioranza. Dietro l’abbraccio da fidanzatini di Salvini e Meloni - Tajani e Michetti spettatori imbarazzati - c’è la condivisone di uno status politico oltreché umano. “Simul stabunt, simul cadent”, stanno insieme e cadranno insieme. La pandemia ha messo in evidenza che i nazionalismi, con tutto quello che si portano dietro, non possono essere risorse. Le elezioni europee, prima ancora della pandemia, e in Germania adesso dimostrano che le destre non hanno sufficiente cittadinanza per ambire a ruoli di governo. Meloni è andata avanti dritta lungo questa strada. Ha rivendicato “coerenza”: è diventata presidente del partito dei Conservatori europei sponsorizzata da polacchi e ungheresi; è rimasta orgogliosamente fuori dal governo Draghi. Ora però per lei, come ha ben spiegato il medievalista Franco Cardini intellettuale curioso della destra, è scritto un destino da “perdente di successo”. Lei è brava e simpatica. Piace. Ma intorno a lei c’è il deserto di una classe dirigente che non si è mai affrancata dal milieu di una destra nazionalista, razzista e sessista. Se Fini a Fiuggi disse che “il fascismo fu il male assoluto”, Meloni non ha mai fatto questa abiura. E non ha mai fatto, tra le file degli iscritti, quella pulizia che sarebbe stata necessaria. E’ stata, in un parola, timida rispetto ad un’eredità di cui si deve liberare. In fretta.

La Lepen italiana?

Il fatto è che fare campagna elettorale ai tempi della pandemia e del governo Draghi ha messo a nudo tutti i limiti della destra di Salvini e Meloni. Loro si offendono se la definisci “sovranista" e “antieuropeista” e quindi no vax e no pass e no euro. Per Meloni, quindi, molti pronosticano un futuro da Marine Lepen italiana: 15-20% (che è sempre tanto) ma mai sufficiente per governare. Un po’ diversa la situazione di Salvini. Il leader della Lega ha capito che l’aggettivo moderato deve diventare sostanziale se si tratta di ambire alla premiership di un paese fondatore dell’Europa. La decisione di appoggiare il governo Draghi è tutto qua: un investimento per il futuro. Ma non ce l’ha fatta a lasciare da parte le scorie della destra. Sette mesi dentro ma anche contro il governo lo hanno logorato. E l’inchiesta Morisi altro non è che l’inchiesta gemella di quella che vede protagonista Fidanza: il cartellino rosso che oltre non posso andare. A meno che non cambino. A meno che non accettino l’offerta di Berlusconi che ieri sulla pagine de Il Giornale ha ben spiegato perchè “senza Forza Italia, senza la forza liberal-moderata-europeista, il Zentrum tedesco ancorato nel centrodestra ma anche nella grande famiglia del Partito popolare europeo, quei due non vanno da nessuna parte”. In politica tutto è possibile. E un anno e mezzo, se si voterà nel 2023, è un tempo infinito. Ecco che oggi potrebbe essere troppo tardi per correggere la propria storia. Da qui la mestizia dell’abbraccio di ieri tra i due leader della destra italiana.

L’asticella della vittoria

Diciamolo chiaro: in palio non ci sono solo i 1200 sindaci e relative giunte. Salvini ha già spostato l’asticella della vittoria dalle cinque grandi città (la destra non ne governa neppure una) alla coalizione che si aggiudicherà il maggior numero di sindaci. Come se Montignoso (Massa Carrara) potesse valere come Roma. O Milano. O Torino. In verità queste amministrative mettono in palio una nuova geografia tra i partiti politici. Al Nazareno, la casa del Pd, si aspettano colpi di coda dello scontro interno alla Lega, ma i più esperti ( ad esempio Franceschini) avvertono che se mai ci saranno, verrebbero regolati dopo febbraio, ovvero dopo l’elezione del Capo dello Stato.

Occhi puntati

Sono tanti gli indicatori che dovranno essere pesati da lunedì sera. A destra e a sinistra. Nel centrosinistra occhi puntati sulle percentuali del M5S a Roma e a Torino, dopo i bagni di folla richiamati dal tour di Conte: il movimento sarà ancora vivo e continuerà ad essere un interlocutore credibile per gli alleati? Che farà Grillo? Analogo confronto, sempre nel Pd, tra le liste di Roma e Torino: nella capitale sabauda si è fatto avanti un partito più autonomo e fortemente anti 5 stelle, in assoluta controtendenza nazionale; a Roma il centrosinistra è diviso in tre, Calenda, Gualtieri e Raggi. Occhi puntati sul confronto muscolare nel centrodestra a Milano: riuscirá Giorgia Meloni a battere la Lega giocando nella sua storica roccaforte? Un eventuale sorpasso di Fratelli d’Italia acuirebbe senza dubbio i problemi di Salvini. Così come la tenuta di Forza Italia oltre il 5% manderebbe all’aria i progetti egemonici di Salvini sul partito di Berlusconi. Che infatti ha sempre congelato le pretese del partito unico.

Letta tra sinistra, M5s, Calenda e Renzi

Altro quesito molto attenzionato riguarda Calenda: quale sarà la percentuale finale del leader di Azione nella Capitale? Nel caso fossero confermate le percentuali attribuite dai sondaggi, il prossimo passo dell’ex ministro riguarderebbe la costituzione di un polo centrista, con ricadute che si farebbero sentire anche dalle parti del Nazareno. Letta, infatti, per una fortuita congiuntura astrale, rischia di essere il vincitore di questa tornata elettorale. Ma per fare cosa? E andare dove? Verso la sinistra, come vorrebbero Bersani ma anche Orlando e Provenzano? O verso il centro progressista di Renzi e Calenda? Poi dipenderà tutto, come sempre, dalla legge elettorale. I fan del proporzionale stanno crescendo a vista d’occhio.