Tiscali.it
SEGUICI

Il film "Hammamet" e l’eredità di Bettino Craxi

L’uscita della pellicola di Gianni Amelio sull'ultimo periodo della vita del leader del PSI ha fornito l’occasione per ricordare e dibattere ancora una volta sulla figura e le gesta dell’uomo politico che forse più caratterizzò l’Italia degli anni '80

Alessandro Spaventadi Alessandro Spaventa   
Il film 'Hammamet' e l’eredità di Bettino Craxi

In questi giorni nelle sale cinematografiche italiane è arrivato il film Hammamet, di Gianni Amelio. L’uscita del film, che racconta, o meglio immagina, l’ultimo periodo della vita di Bettino Craxi, ha fornito l’occasione per ricordare e dibattere ancora una volta sulla figura e le gesta dell’uomo politico che forse più caratterizzò l’Italia degli anni’80.

Oltre le vicende giudiziarie

Molta parte della discussione è stata incentrata, ora come negli scorsi vent’anni, sulle vicende giudiziarie, su Tangentopoli, sul problema del finanziamento dei partiti e sul rapporto tra magistratura e politica. Poco, almeno in queste settimane, si è scritto dei risultati ottenuti come politico e uomo di governo. Dopotutto, a parte una brevissima parentesi nel 1987, il Partito Socialista Italiano di Craxi ha fatto ininterrottamente parte della maggioranza di governo dal 1980 al 1994, secondo per rilevanza solo alla Democrazia Cristiana.
Di più. Per quasi quattro anni, dal 1983 al 1987, Craxi ha guidato lui stesso il governo italiano e, dopo la parentesi demitiana, ha condizionato in modo determinante l’azione dei governi successivi in virtù del patto politico stretto con la DC di Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani. Sono gli anni del cosiddetto CAF, dalle iniziali dei cognomi dei tre protagonisti, Craxi, Andreotti e Forlani, gli ultimi prima dell’esplodere di Tangentopoli e dell’epilogo della cosiddetta Prima Repubblica.

L’eredità di un politico

Che Craxi abbia caratterizzato, alcuni dicono dominato, un decennio di storia repubblicana è quindi fuori di dubbio. Ma con quali risultati? Capire quale sia il lascito di un uomo politico non è mai facile. Tiranni e dittatori a parte, anche nel più luminoso dei profili c’è sempre qualche ombra e viceversa. Un modo per farsi un’opinione potrebbe essere quello di valutare se vi siano effetti delle politiche di quegli anni che siano durati nel tempo, che abbiano avuto effetti di lungo periodo. Ci si potrebbe addirittura chiedere se vi siano aspetti dell’Italia di oggi che derivino da quanto fatto allora.
Anche questo è un esercizio complicato, posto che ogni presente è figlio del passato. Ma un’eredità chiara del governo di quegli anni c’è, ed è un’eredità che ancora caratterizza e condiziona fortemente l’Italia del 2020: il debito pubblico.

Lascia o raddoppia

Quattro cifre, tanto per capire. Nel 1980 il debito pubblico era a circa il 56% del Pil. Un numero per noi ora inimmaginabile. Nel 1983 era già quasi al 70%, nel 1987 era all’85%. Nel 1992 era arrivato al 105%. In dodici anni era quasi raddoppiato. Dal primo governo Craxi alla fine del CAF era salito di 35 punti. Da allora non ci si è più ripresi, la spirale del debito era stata innescata. Nonostante che dal 1995 in poi, fatta eccezione per un solo anno, l’Italia abbia sempre chiuso i bilanci con un attivo al netto della spesa per interessi, il debito pubblico non è mai più sceso sotto la soglia del 100% del Pil. Troppo elevata la spesa per interessi, troppo il peso del debito sulla crescita. Oggi, complice la crisi finanziaria che ha investito il mondo dieci anni fa, veleggiamo intorno al 135%.

Il lascito che perdura

Non si tratta solo di un numero. Il livello eccessivo di debito che ci portiamo dietro, il secondo più alto nell’Unione Europea e il sesto al mondo, vuol dire meno spesa pubblica, sia corrente che per investimenti. Vuol dire meno soldi per scuole, sanità, ospedali, infrastrutture, vigili del fuoco, forze dell’ordine, strade, pensioni. Vuol dire clausole IVA da disinnescare, spread da tenere sotto controllo, manovre e aggiustamenti, tasse. Vuol dire l’Italia di oggi che paga il conto di quella degli anni’80. In quegli anni il paese si è modernizzato, la crescita era alta. Ma il prezzo per tutto ciò, a prescindere da ogni altra considerazione, è stato ancora più alto. Oggi la modernizzazione è un ricordo, la crescita un sogno. Il debito una realtà. L’unico lascito che perdura di quella stagione di governo.

Alessandro Spaventadi Alessandro Spaventa   
I più recenti
Incendio in un hotel di Abano Terme, 43 intossicati tra cui 2 bambini. Le immagini
Incendio in un hotel di Abano Terme, 43 intossicati tra cui 2 bambini. Le immagini
Teleborsa
Le Rubriche

Alberto Flores d'Arcais

Giornalista. Nato a Roma l’11 Febbraio 1951, laureato in filosofia, ha iniziato...

Alessandro Spaventa

Accanto alla carriera da consulente e dirigente d’azienda ha sempre coltivato l...

Claudia Fusani

Vivo a Roma ma il cuore resta a Firenze dove sono nata, cresciuta e mi sono...

Claudio Cordova

31 anni, è fondatore e direttore del quotidiano online di Reggio Calabria Il...

Massimiliano Lussana

Nato a Bergamo 49 anni fa, studia e si laurea in diritto parlamentare a Milano...

Stefano Loffredo

Cagliaritano, laureato in Economia e commercio con Dottorato di ricerca in...

Antonella A. G. Loi

Giornalista per passione e professione. Comincio presto con tante collaborazioni...

Lidia Ginestra Giuffrida

Lidia Ginestra Giuffrida giornalista freelance, sono laureata in cooperazione...

Alice Bellante

Laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla LUISS Guido Carli...

Giuseppe Alberto Falci

Caltanissetta 1983, scrivo di politica per il Corriere della Sera e per il...

Michael Pontrelli

Giornalista professionista ha iniziato a lavorare nei nuovi media digitali nel...