Chi guiderà la nuova Europa. Accordo quasi fatto. Von der Leyen in pole. Il bivio di Meloni
La lunga giornata e la lunga notte a Bruxelles. Nessuna fumata bianca. Si aspetta la prossima settimana. I nomi sono sul tavolo.: von der Leyen, Costa, Metsola. Patto per tenere fuori le destre. La premier deve spaccare i Conservatori e rischiare l’irrilevanza

Diciamola tutta: il menù non ha aiutato. La pissaladière - focaccia alla cipolla con crema a base di acciughe - è certamente indigesta e poco collaborativa per trattative serrate, gomito a gomito. Il merluzzo saltato in padella con carciofi e verdure mediterranee è come minimo un piatto invernale e abbastanza pesante. Il dessert con babà al rum servito con mango, frutto della passione e fragole è stato il colpo finale. Poi hanno scelto caffè o tisane: a secondo del bioritmo e dei cicli circadiani di ciascuno. E di quanto ci fosse bisogno di tenere a bada certi nervosismi. Quelli di Giorgia Meloni, ad esempio, che dopo mezzanotte ha rimontato lo staff sull’aereo ed è voluta tornare subito in Italia.
La quadriglia
Che notte, stanotte, all’Europa building casa dal Consiglio europeo a Bruxelles.Alla prima tappa dell’euroconclave i leader sono arrivati con una quadriglia giudicata essenzialmente solida: Ursula von der Leyen lanciata verso il bis alla Commissione sulle ali del trionfo alle elezioni del Ppe; il socialista portoghese Antonio Costa al Consiglio, la liberale estone Kaja Kallas al 'ministero degli Esteri' Ue. La conferma di Roberta Metsola al Parlamento, che però sceglie in autonomia. Quando sono usciti, poco dopo la mezzanotte, il presidente del Consiglio Charles Michel ha tenuto un assai informale e gremito punto stampa nella sala stampa del Consiglio per precisare che “nessun accordo era stato ancora raggiunto”.
“Prima abbiamo ascoltato la presidente del Parlamento Europeo - ha spiegato - e anche Ursula von der Leyen, che ha condiviso con noi alcune idee sul futuro dell’Ue. Poi abbiamo avuto la cena: è stata una buona occasione per scambiarsi opinioni e preparare il Consiglio Europeo della prossima settimana a Bruxelles. La conversazione va nella giusta direzione, credo, non c’è alcun accordo stanotte, in questa fase ma è nostro dovere prendere una decisione entro giugno. Stasera ci siano ascoltati come era giusto e necessario che fosse. La decisione sarà presa la prossima settimana quando ci sarà il Consiglio europeo”. La prossima settimana, quindi, “nella sede ufficiale sarà chiaro se ci sarà una maggioranza a favore del trio Ursula von der Leyen-Antonio Costa- Kaja Kallas”.
Le modalità, però, con cui Michel si è precipitato nel grande salone dove lavorano i giornalisti, tradiscono che la serata è stata affatto “cordiale” ma anzi intensa e carica di tensioni.
L’ira di Orban
Come ha lasciato ben capire un altro leader presente, quel Viktor Orban che, per quando uscito ammaccato dalle urne locali e per quanto ancora senza una vera casa (andrà nei Conservatori, come ha già detto, o in ID?), avrebbe velleità di governo in Europa. In alternativa, farà come ha sempre fatto in questi cinque anni, il guastatore. “La volontà dei cittadini europei è stata ignorata oggi a Bruxelles” ha esordito Orban che ha lanciato nell’etere un tweet che è una bomba per dire in realtà i giochi sono praticamente fatti. Anche se non come volevano le destre. “Il risultato delle elezioni europee è chiaro - si legge nel post - i partiti di destra si sono rafforzati, la sinistra e i liberali hanno perso terreno. Il Ppe, invece di ascoltare gli elettori, alla fine si è alleato con i socialisti e i liberali: oggi hanno fatto un accordo e si sono divisi i posti di comando dell’Ue”. Giorgia Meloni invece si è dileguata. Subito in Italia. Dicono, piuttosto arrabbiata. In realtà per lei partita, e quindi la decisione, è ancora più difficile. Essendo la leader vincitrice delle elezioni di un paese fondatore della Ue, potrà, se vorrà, sedere al tavolo dei vincitori che però sono, anzi restano, Popolari, socialisti e liberali. Lo stesso perimetro politico che ha governato in questi cinque anni. Meloni e un pezzo ma residuale del Ppe lavorano da tempo per lo “strappo”, ovvero allargare alla destra vagamente europeista la maggioranza includendo i Conservatori di Giorgia Meloni. Ma l’operazione è fallita: la maggioranza resta quella uscente visto che ha i voti. Giorgia meloni, se vuole e crede, può appoggiare questa maggioranza. E beneficiare, quindi, di un posto di peso nel prossimo governo europeo. Ecco perchè la nostra premier ha lasciato Bruxelles senza fiatare. Ha davanti una scelta non facile: spaccare i Conservatori e, anche, il sogno di Salvini e Orban di tenere unito il corpaccione delle destre europee (Conservatori e Id, cioè Le Pen insieme) ma prendere una poltrona di peso; restare coerente e fedele ma anche irrilevante nei prossimi cinque anni. Per essere ancora più chiare: Meloni dentro, Le Pen, Salvini,Orban fuori. E’ una partita abbastanza delicata che vede la premier impegnata in un non facile dialogo con la maggioranza europeista senza però snaturare la collocazione politica.
Decisa, ad ogni modo, ad ottenere per l'Italia il massimo possibile nella Commissione europea del futuro. Non è iniziata sotto i migliori auspici la partita di Giorgia Meloni nei top jobs europei.
Sette ore di anticipo
La premier arriva a Bruxelles con sette ore di anticipo rispetto all’orario convenuto (le 18). Si chiude nella salette riservate dell’hotel Amigo con Orban, Morawiecky, uomo forte del Pis polacco e altri leader Conservatori ma non solo. Alle 17 incontra Michel, nel suo studio all’Europa Building. Meloni è il leader più forte in questo momento in Europa. Più forte di Macron, di Sholtz, della stessa von der Leyen. Persino di Biden e del caro amico Sunak. Nei giorni del G7 non ha mancato di farlo notare e neppure pesare. “Nelle trattative per i top jobs europei (le quattro cariche più importanti della governance Ue, ndr) la nostra Nazione sarà rispetatta per quello che merita” ha detto nella conferenza stampa finale a Borgo Egnazia. mentre Sholtz faceva notare in alcune interviste che “non ci sono dubbi che Giorgia meloni rappresenta l’estrema destra”.
Prima di andare avanti nel racconto della giornata e della cena informale, occorre fermarsi un attimo su questa storia di chi ha vinto e chi ha perso. E quindi prendere in mano i numeri.
I numeri
Al gran tavolo del Consiglio al quinto piano dell’Europa building si sono seduti i 27 capi di stati e di governo così suddivisi: 13 sono di area Popolare, 5 appartengono all’area Liberale (Renew europe), 4 all’area Socialista. Per indicare il Presidente della Commissione serve la maggioranza qualificata tra i 27. Ma la maggioranza assoluta tra i 720 dell’Europarlamento che dovrà poi eleggere il Presidente . Il perimetro politico della maggioranza uscente (Popolari, Socialisti, Liberali) è uscito con le stesse forze delle urne del 6-9 giugno. anzi, un po’ più rafforzato grazie ai Popolari che sono cresciuti. Il Ppe ha 190 seggi, i Socialisti 136, i Liberali 80: totale 406 voti. Per essere eletti dal Parlamento ne servono 361 (su 720). Quarantacinque voti di scarto non sono però nell’emiciclo di Strasburgo quel margine di sicurezza che sembra. Nel 2019 Ppe, S&D e RE avevano 483 voti teorici. Von der Leyen ne perse cento per strada cento e passò per appena sette voti di scarto.
Girandola di incontri
Torniamo quindi a palazzo Europa. Prima del vertice dei 27, convocato per le 18 ma iniziato con oltre un’ora di ritardo, i leader negoziatori dei Socialisti (Sholtz e Sanchez) hanno visto gli omologhi Liberali (Macron e Rutte). E che questi ultimi abbiano incontrato, subito dopo, i negoziatori Popolari (il polacco Tusk). Incontri che nei fatti, con la orza dei numeri, hanno fatto trovare agli altri leader una tavola già apparecchiata. Facendo subito indispettire gli altri leader. Meloni inclusa che, come detto, a sua volta aveva fatto circa sei ori di bilaterali con i leader delle destre europee all’Hotel Amigo. Il summit, per questa girandola di incontri ristretti, è iniziato con un’ora di ritardo. Un metodo ce non è piaciuto a palazzo Chigi. “Zoppicante” è stata la definizione.
Meloni è arrivata a Bruxelles consapevole di trovarsi di fronte a un tavolo già apparecchiato, con Usrula von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas. E se sulla prima, in teoria, Meloni può facilmente assicurare i voti di Fdi all’Eurocamera, sul secondo qualche dubbio resta nelle file dei Conservatori. E anche dei Popolari, come ha spiegato in giornata Antonio Tajani. Roma, insomma, non ha alcuna intenzione di staccare assegni in bianco. Di certo non li staccherà senza l'assicurazione di un commissario di peso, con il titolo di vicepresidente. Sul portafoglio regna ancora l'incertezza. E a ciascun portafoglio corrisponde un possibile profilo. Daniele Franco, ad esempio, dai rumors dei palazzi romani viene dato in pole in caso di delega alla Concorrenza. Elisabetta Belloni, al momento, resterebbe il nome in generale più gettonato.
Due tavoli
Insomma, a Bruxelles la premier trova due tavoli. Uno più scomodo, con Emmanuel Macron e Olaf Scholz. L’altro, in apparenza più familiare, delle destre. Tra i vari incontri all’hotel Amico, Meloni incontra anche l’ex ministro delle Finanze belga, Johan van Overtveldt, dirigente dei fiamminghi dell'N-Va. Il Pis continua a spingere per l'unione dei gruppi Ecr e Id, tenendo un filo diretto anche con Marine Le Pen. L'ingresso del solo Orban nei Conservatori farebbe invece implodere il gruppo: i belgi sono contrari, così come la delegazione ceca del premier Petr Fiala. E Meloni non ha dato alcun placet ancora. La suggestione di un fronte delle destre unite è dominante quando i leader salgono al quinto piano dell’Europa building. I Conservatori, infatti, avrebbero voluto un po’ più di tempo per completare le caselle della nuova governance europea. Dopo le elezioni francesi, ad esempio, nella speranza di un colpaccio di Le Pen e quindi di avere una nuova leadership del club delle destre. Esattamente quello che non vogliono Popolari, Socialisti e Liberali che hanno invece molta fretta perchè “viviamo tempi difficili ed è importante sapere presto cosa succederà in Europa” ha tagliato corto Sholtz.
Il senso di urgenza è condiviso da molti al di fuori delle destre. La logica, spiegano diverse fonti, è quella del pacchetto. La quadriglia è frutto di calcoli alchemici che tengono conto dei voti, dei profili, delle aree geografiche: se si modificano gli addendi, il risultato cambia eccome.
Una premier “fredda”
Meloni viene descritta da più persone presenti in sala all'Europa Building come particolarmente silenziosa. Alcuni recenti episodi non aiutano certo il governo nella trattativa. “Condanniamo la simbologia fascista, pensiamo che sia moralmente sbagliata. Siamo molto chiari su questo” sono state le parole nette della Commissione circa la video inchiesta che racconta i gruppi giovanili di Fratelli d’Italia che inneggiano a Mussolini, a Hitler e tenta pure la truffa ai danni dello Stato provando ad incassare i soldi del servizio civile.
Meloni fredda e arrabbiata anche per la irrilevanza in cui, numeri alla mano, cercano di spingerla gli altri leader. “Non è mio compito convincere Meloni, abbiamo già una maggioranza con Ppe, liberali, socialisti e altri piccoli gruppi, la mia sensazione è che sia già più che sufficiente", aveva sottolineato all’ora di pranzo il premier polacco Donald Tusk, uno dei due negoziatori popolari. “È chiaro che in Parlamento non deve esserci alcun sostegno per il presidente della Commissione che si basi su partiti di destra e populisti di destra” aveva ulteriormente chiarito Olaf Sholtz per cui le elezioni europee “hanno portato una maggioranza stabile” delle stesse forze politiche che finora hanno lavorato a stretto contatto in Parlamento. “Ora dobbiamo lasciar marinare le cose” ha salutato nel cuore della notte il presidente francese Emmanuel Macron. Ma l'accordo finale è “vicino”.