La guerra ha spezzato la crescita. L’appello di Draghi alla politica: “Unità per dare le risposte necessarie”
Approvato il Def. Nei primi quattro mesi, 20 miliardi di aiuti senza ricorrere a nuovo deficit. La crescita fissata al 3,1 contro il 4,7 previsto in ottobre. “Alzare bandiere di partito in questo momento è uno schiaffo ai cittadini disperati”. Il governo vuole comunque dare fiducia
Poi a molti non piacerà perché si troverà a mani vuote e non potrà dire ho vinto io e ha perso l’altro. Se però uno guarda i provvedimenti economici del governo negli ultimi tre mesi, deve prendere atto del fatto che sono stati spesi 15,5 miliardi e stanziati altri per far fronte all’emergenza rincari. E senza fare nuovo debito. Senza il tanto auspicato e acclamato, da destra e da sinistra, scostamento di bilancio. Hanno iniziato a dicembre Lega e 5 Stelle a chiedere un “nuovo scostamento di bilancio per far fronte ad inflazione e caro energia”. Almeno 20-30 miliardi dicevano Salvini e Conte a cui sono andati appresso nei mesi successivi anche Forza Italia e Pd. Intanto ne sono arrivati venti di miliardi. A disposizione di famiglie ed imprese. E senza fare ulteriore debito che, parlando dell’Italia nel contesto europeo, è un titolo di merito. E’ chiaro che questi soldi non basteranno, ne serviranno altri. “Il governo farà tutto ciò che è necessario per aiutare famiglie ed imprese” ha promesso Draghi ai ministri riuniti per approvare il Def.
Altri 5 miliardi per famiglie e imprese
Non bastano certamente i 5 miliardi individuati dal Documento di economia e finanza e che un decreto dopo Pasqua destinerà ancora a famiglie e imprese. Gli scenari sono chiari, anche quelli più nefasti. Così come gli strumenti per affrontare quello che arriverà. Ma intanto, come ha voluto precisare Draghi in avvio di conferenza stampa, “questo governo ha già speso 15,5 miliardi nei primi tre mesi dell’anno per far fronte all’emergenza. E’ un governo che sa muoversi quando è necessario”. Senza sprechi, avventure o debito cattivo. A chi, in cabina di regia, ha chiesto al ministro dell'Economia perché il deficit non superasse l'asticella del 5,6% il responsabile di via XX Settembre ha risposto facendo notare che siamo uno dei Paesi europei con deficit più alto. Se lo facciamo ancora più alto - è stato il ragionamento - rischiamo di pagarlo in termini di spread. Quindi, va bene fare più deficit “se ci saranno gli strumenti europei o il consenso a farlo tutti a livello europeo”. E’ il Recovery di guerra, un nuovo fondo europeo per la ricostruzione e la ripartenza, che aleggia da un mese nei vertici europei il punto di caduta per uscire dal tunnel della guerra che ha spezzato la crescita. Così come è già successo per la pandemia.
Crescita al 3,1%
E’ filato via tutto liscio. In cabina di regia nella prima parte del pomeriggio. E, a seguire, in Consiglio dei ministri Stranamente perché la vigilia portava con sé i soliti tuoni, fulmini e saette. La guerra fa tante vittime. Tra queste, per quanto non così drammatica, anche la competizione politica. Dividersi sulla guerra e sulle armi fa fare figuracce davanti alle fosse comuni di Bucha, ai bambini uccisi a Irpin e agli uomini e alle donne lasciati cadaveri per strada con le mani legate dietro la schiena. Eppure il Def, il Documento economico e finanziario che è la cornice macroeconomica dell’anno in corso, rischiava di essere l’occasione regina per misurare differenze e alzare bandiere di parte. E’ stato invece approvato all’unanimità in un Consiglio dei ministri durato un’ora e dopo una cabina di regia di un paio d’ore.
Intendiamoci: i numeri non sono buoni, scontano, come ha spiegato il presidente Draghi, “un grave peggioramento delle prospettive di crescita”. Un quadro su cui pesano tanti, troppi fattori di incertezza, dalla guerra all’inflazione alla mancanza di materia prime. Pesa “la mancanza di fiducia” che a inizio anno era “ancora molto alta ma poi è diminuita in fretta. Non solo in Italia, anche nel resto d’Europa. Da noi però è caduta in modo significativo”.
I numeri sembrano sempre freddi ma in realtà dicono molto. In conferenza stampa, dopo il Consiglio dei ministri, il premier e il ministro Franco li mettono in fila. Dal +6,6% messo a segno nel 2021, il Pil frenerà a +3,1% quest'anno (contro il +4,7% stimato in ottobre), riducendo ulteriormente il ritmo negli anni successivi (2,3 nel 2023; 1,8 nel 2024; 1,5 nel 2025). Il deficit passerà dal 7,2% del pil dello scorso anno al 5,6% di quest'anno. In questo caso l'obiettivo rimane identico a quello della Nadef, “senza prevedere uno scostamento dei saldi ma con uno spazio che permetterà comunque di varare nuove misure".
Politiche oculate ma ancora espansive
Il Def infatti continua a delineare “una politica di bilancio oculata ma espansiva” in cui il deficit si muove su un sentiero di rientro “più graduale in confronto a quello tendenziale”. Con risorse quindi destinate ad evitare proprio una eccessiva frenata dell'economia e anzi ad accompagnare famiglie e imprese nel momento di difficoltà legato all' “impennata” dei prezzi e all'impatto della guerra tra Russia e Ucraina. Buone notizie arrivano dalla pressione fiscale che quest’anno diminuisce passando dal 43,5% al 43,1% per arrivare nel 2025 al 42,2%. Anche il debito pubblico scende: quest’anno va al 150,8% per arrivare al 141% nel 2025.
Nel Documento ci sono anche “scenari alternativi e peggiori” con i prezzi dell’energia ancora più alti o con forniture ridotte e quindi una produzione rallentata. “Lo scenario che abbiamo valutato è il più cauto e realistico” ha aggiunto Franco. “E di questi tempi - gli ha fatto eco Draghi - ad essere pessimisti si sbaglia di meno”.
L’appello alla politica
Di fronte a questi numeri e scenari, la politica però può e deve fare molto. Ed è un tema che torna spesso durante la conferenza stampa di Draghi e del ministro Franco mentre i leader politici anche della maggioranza - come sempre al di fuori del consiglio dei ministri dove tutto invece è stato approvato all’unanimità - chiedono di più. In prima fila Giuseppe Conte che insiste con lo scostamento di bilancio. Roberto Speranza, capodelegazione di Leu, ha chiesto di portare al 25% la tassazione sugli extraprofitti (circa 40 miliardi) delle aziende del comparto energetico finora tassate del 10%.
Ai partiti della sua maggioranza Draghi ripete che in questo contesto, oltre alle misure che vanno valutate di volta in volta, “il governo deve dimostrare di saper dare indirizzo politico ed economico”. L’esecutivo deve “saper dimostrare unità di intenti e non le divisioni”. Saper “far fronte alle emergenze ma anche gestire la normalità” Tutto questo è necessario per “dare ai cittadini quella fiducia necessaria per andare avanti”. Un appello che rivolge anche ai sindacati che incontrerà oggi e che, Landini in testa, hanno ironizzato sul fatto di essere convocati a palazzo Chigi “a Def approvato”. In momenti come questo, ha aggiunto il premier “le battaglie identitarie” di una parte o dell’altra “portano solo al fatto che le istituzioni non sono in grado di rispondere alle necessità dei cittadini che invece sono disperati”. Ecco perché, ha concluso il premier, “a costo di sembrarvi ingenuo sono convinto che alla fine prevarrà lo spirito costruttivo e il senso del dovere”. Anche tra Conte, Salvini, Landini e tutto coloro che pensano di poter speculare almeno un po’ in questo scenario assai complesso.
Economia di guerra
Gestire l’emergenza di un’economia di guerra. E l’ordinario di un paese che deve fare le riforme per crescere. Ecco la doppia sfida che si trova davanti il governo Draghi. Tripla, se pensiamo che la pandemia è ancora una realtà. Al numero uno di Confindustria che dice che “non conviene più produrre in Italia”, il premier consiglia di drammatizzare meno. Mette davanti i dati che nei primi due mesi dell’anno, nonostante inflazione e caro energia, sono stati ancora positivi. “Il cemento e l’acciaio mancano ovunque, purtroppo. E tutto sommato - taglia corto - in Italia conviene ancora produrre”. Ai giornalisti che lo stuzzicano sulla compattezza della maggioranza, ricorda che sulla riforma del Csm “non sarà messa la fiducia, come promesso” auspicando “la collaborazione di tutti su un ragionevole compromesso”. Sulla delega fiscale invece “sono aperte tutte le possibilità”. Anche la fiducia. La Lega si metterà contro? “Speriamo di vincere anche la terza volta”.
“Il prezzo del gas è il prezzo della pace?”
Non avrebbe voglia Draghi di perdere tempo sulle liti interne in un quadro internazionale così difficile. “La nostra economia - ha detto Franco - è sotto attacco su più fronti”. La speranza è l’Europa, il Recovery di guerra, il tetto al prezzo del gas visto che “la Ue è l’unico compratore del gas russo e come tale ha un forte potere di mercato”. A giorni la Commissione dirà cosa è possibile realisticamente fare considerate le differenze tra i 27 con Germania e Olanda che tirano verso il no al price cup e Italia, Spagna, Portogallo e Grecia verso il sì. La Francia è sotto elezioni e Macron non si sbilancia. Ma oltre l’Europa Draghi lavora anche a risposte nazionali. Lunedì sarà in Algeria, una tappa molto importante nelle diversificazione energetica che è a buon punto e qualora dovesse interrompersi adesso il flusso dalla Russia “noi, grazie agli stoccaggi, stiamo tranquilli fino all’autunno”. L’embargo “non è un'ipotesi al momento oggetto di discussione ma la situazione va modificandosi sotto i nostri occhi - ammette Draghi - quanto più diventa orrenda questa guerra tanto più la coalizione di alleati si chiede, in assenza di una partecipazione diretta alla guerra, cosa può fare per indebolire la Russia e consentire all'Ucraina di sedersi al tavolo in una condizione quanto più possibile paritaria”. Perché alla fine la domanda è una: “Preferiamo la pace o il termosifone, anzi il condizionatore acceso? Noi siamo con l'Unione europea, se ci propone l'embargo sul gas, seguiamo. Vogliamo lo strumento più adeguato per la pace. Ci chiediamo se il prezzo del gas possa essere scambiato con la pace”. Una domanda che ha ancora troppe risposte. E tutte diverse.