Il “patto della spigola” sigla la pace Conte-Grillo. Ma ci sono due scomodi imprevisti sulla strada dell’ex premier

Giustizia, Semplificazioni e Assunzioni i fronti dove il leader politico alzerà subito la voce. Lo attendono il tema dei pestaggi in carcere e di Mancini

Conte e Grillo: pace fatta, pare (foto diffusa dal Garante del MoVimento 5 Stelle)
Conte e Grillo: pace fatta, pare (foto diffusa dal Garante del MoVimento 5 Stelle)

Il “patto della spigola” siglato ieri a pranzo a Marina di Bibbona tra Conte e Grillo chiude l’imbarazzante fase del “chiarimento” tra i due leader pentastellati. Accade dopo cinque mesi e mezzo di attesa e insulti reciproci, decisamente molto tardi. E non risolve le divisioni interne al Movimento. Le mette, al momento, sotto il tappeto per far prendere fiato a quello che resta il partito più di peso presente in Parlamento ed evitare scissioni che potrebbero essere destabilizzanti non solo per i 5 Stelle ma per l’intera legislatura.

La photo-opportunity

L’incontro è stato certificato ieri da una foto pubblicata da Grillo sui social sotto il titolo: “E adesso occupiamoci del 2050”. I due Giuseppi sono ancora a tavola, antipasto di mare caldo, spigola al forno, letto di verdure, Per ufficializzare la leadership ci vorrà però ancora tempo: prima deve avvenire la pubblicazione dello Statuto sul sito ufficiale, poi la nomina della Direzione del partito (posto a quanto pare molto ambito), dopo quindici giorni la votazione sulla piattaforma (Skyvote). Nel frattempo Conte potrà iscriversi al Movimento, passo mai fatto finora, e finalmente essere eletto capo politico. Il “patto della spigola” lo ha però legittimato e nei fatti ieri Grillo gli ha consegnato le chiavi del Movimento. Un mazzo solo, però. L’altro mazzo resta saldamente nelle sue mani. Nei fatti il nuovo Statuto scritto da Conte ha dovuto correggere la parte per cui era tutto saltato tre settimane fa: alla guida del Movimento resta una diarchia e Grillo potrà sempre avere l’ultima parola su tutto. Resta garante. E anche un po’ “badante”, ironizza qualcuno.

Una pace debole ma necessaria e urgente

Il “patto della spigola” era necessario e anche urgente come ha ben spiegato ad entrambi il capo dei mediatori Luigi di Maio (il vero vincitore): troppe scadenze e decisioni da prendere per restare ancora senza una vera guida. E poi non poteva più succedere che il premier Draghi contatta Grillo e non Conte (è successo nel Cdm dello scorso giovedì quando è stata approvata con voto unanime la riforma della giustizia) per avere garanzie sulla tenuta del Movimento. Del resto il premier, che ha sempre parlato con tutti i segretari di partito, parla con colui con cui ha interagito finora: Grillo e non Conte. Insomma, la spigola ha risolto anche questo imbarazzo: forse già lunedì Conte sarà ricevuto a palazzo Chigi. Ma possiamo immaginare che resterà il filo diretto anche con Grillo con cui Draghi si è sentito anche tutte le settimane in questo periodo. Certo, resta da capire che affidabilità possa dare un partito dove tre settimane fa sono volate vaffa e accuse reciproche (mai ritirate) e ogni volta si cerca sempre una drammatizzazione poi recuperata ad un millimetro dal baratro.

Conte al comando

L’ex premier è quindi al comando. Ha già fatto capire che sarà “rivista" la riforma della giustizia approvata una settimana fa, sui cui le forze di governo hanno dato la loro parola per un’approvazione celere e senza stravolgimenti e attesa in aula il 23 luglio (scadenza dei subemendamenti agli emendamenti Cartabia). A dare man forte a Conte sono arrivati anche i magistrati (anche loro sentiti più volte dal ministro in questi mesi). Ha già fatto capire, Conte, che il “suo” Movimento sarà “di lotta e di governo”. Anche perchè la Lega, che lo è stata finora, è sempre più di governo e sempre meno di lotta. Il decreto Semplificazioni - la nuova Via, la riforma del codice degli appalti, l’Anac e l’articolo 37 sulle bonifiche di terreni coinvolti nel Pnrr - e il decreto Brunetta sulle assunzioni sono i primi fronti dove ingaggiare il braccio di ferro con Draghi. Se è vero che “il patto della spigola” è la somma di quelle che ormai sono due debolezze, non c’è dubbio che il “nuovo” Movimento può complicare la vita del governo Draghi. Di sicuro farà perdere tempo. Palazzo Chigi ha già messo in conto di approvare la riforma anche senza l’unanimità del Movimento.

Gli imprevisti

E non c’è dubbio che un paio di imprevisti potrebbero complicare anche la vita di Giuseppe Conte: gli strascichi dell’inchiesta sui pestaggi in carcere a Santa Maria Capua a Vedere; l’audizione al Copasir dello 007 Marco Mancini. Imprevisti che non andrebbero a sfiorare il penale ma che costringerebbero l’ex premier a precisare e giustificare con qualche imbarazzo sul piano politico.

Il premier e il ministro hanno pronunciato frasi importati l’altro giorno durante la visita al penitenziario in provincia di Caserta dove il 6 aprile 2020 ci sono stati pestaggi disumani che hanno portato a 52 arresti tra gli agenti di custodia. “Oggi non siamo qui a celebrare trionfi ma piuttosto ad affrontare le conseguenze delle nostre sconfitte” ha detto Draghi facendo due promesse: “Mai più violenza nelle carceri”; riformare il sistema penitenziario. In queste parole c’è tutta la condanna politica su quanto successo nell’aprile 2020 quando, causa Covid (mancanza mascherine e stop agli incontri con esterni) in molte carceri ci furono disordini e incidenti. Il Dap parlò di “rivolte organizzate da criminali detenuti”. Per alleggerire l’affollamento nelle carceri furono mandati ai domiciliari pericolosi boss. Si perse la testa, al Dap guidato da Basentini e al ministero della Giustizia guidato dal ministro Bonafede. In questo contesto furono ordinate le “perquisizioni speciali”. Nel gergo carcerario, a quanto pare, vere e proprie mattanze in divisa. L’ex ministro Bonafede non ha ancora detto una parola su tutto questo, eppure il capo politico del sistema giustizia era lui. E non una parola ha detto Giuseppe Conte, che del governo era il numero 1. La domanda è: che tipo di imput valoriali arrivavano in quegli anni agli agenti di custodia con un ministro che (vedi arresto di Cesare Battisti) organizzava parate muscolari di divise e manette? Le parole di Draghi aspettano una risposta, almeno una altrettanto forte assunzione di responsabilità, da chi era alla guida del sistema giustizia e del Paese in quei mesi.

Mancini, ancora lui

Il secondo imprevisto arriva, sempre in queste ore, dal Copasir. Il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti ha sentito mercoledì Marco Mancini, lo 007 al centro di tante storie complicate degli ultimi trent’anni, dai sequestri degli italiani nei teatri di guerra alle inchieste su imam rapiti e intercettazioni abusive. Le accuse alla fine sono sempre rientrate (anche in nome del segreto di stato) e Mancini è potuto tornare, dopo qualche anno di parentesi complicate, in servizio con pieni poteri. O quasi. Di sicuro ha trovato buoni interlocutori nei parlamentari del Movimento 5 Stelle (ad esempio Dieni e Tofalo) e un ottimo ombrello protettivo nell’ex capo del Dis Vecchione e nel premier Conte. Il pasticcio dell’incontro all’autogrill prima di Natale con Matteo Renzi ha messo ancora una volta Mancini sulla graticola. Anche perchè il suo incarico, negli ultimi anni, prevede solo funzioni amministrative nell’ambito del Dis. Perchè quindi uno 007 amministrativo incontra politici e non solo, come Mancini stesso ha rivendicato? La risposta è stata raccolta l’altro giorno da un basito Adolfo Urso (Fdi), nuovo presidente del Copasir, in una audizione richiesta e anche in fretta dalla deputata calabrese Federica Dieni (M5s). Sono dettagli di un certo peso.

"Solo routine" secondo Mancini

Da quanto si apprende, Mancini avrebbe spiegato che i suoi incontri con i politici erano routine di cui i suoi superiori erano non solo informati ma anche aggiornati sui contenuti. Tra questi incontri, c’ è stato anche quello con Matteo Renzi prima di Natale. Eravamo ad un passo della crisi di governo le cui mosse erano in mano al leader di Iv. Non è peregrino ipotizzare che quell’incontro, al di là della consegna dei "babbi al cioccolato”, fosse finalizzato anche ad assumere informazioni su cosa si stava muovendo sullo scacchiere politico. Mancini avrebbe dato dettagli importanti nell’audizione. Ancora una volta, soprattutto, i suoi superiori erano al corrente di tutto. Serve ricordare che Giuseppe Conte ha sempre tenuto la delega all’intelligence e che lui e Vecchione sono grandi amici. Una delle rare telefonate che Conte ha fatto a Draghi è stata proprio per avere conto della fine dell’incarico di Vecchione alla guida del Dis. La prima conseguenza dopo gli incontri in autogrill. L’audizione è stata ovviamente verbalizzata. Se sono confermate le indiscrezioni, ci sono molti profili che devono essere chiariti. Nel comportamento di Mancini. E di chi, eventualmente, gli aveva dato mandato. Andando, tra l’altro, ben oltre le sue funzioni che sono solo amministrative e non operative. Presto Vecchione e poi Conte potrebbero essere chiamati a spiegare, o smentire, l’audizione di Mancini. Ecco, diciamo che non ci voleva per il neoeletto capo politico.