Le intercettazioni del boss e i misteri delle stragi del '93. Grasso: " Graviano dica la verità. Porto sempre con me l'accendino di Falcone"
Il presidente del Senato non si esprime sulle parole del capocosca, indicato dal pentito Spatuzza come esecutore delle stragi, ma richiama la lezione di Falcone. Il ricordo dell'amico magistrato sempre con lui.
"Ho posto nella mia vita un obbiettivo, quello della ricerca della verità. L'ho fatto per 43 anni, sia da pubblico ministero sia da giudice, con fermezza e con rigore e penso che questa ricerca della verità non si possa mai fermare." In una conferenza stampa organizzata al margine della presentazione del suo ultimo libro a Cagliari, il presidente del Senato Pietro Grasso risponde così all'invito della testata Tiscali News a commentare le ultime intercettazioni in carcere del boss Graviano, in cui il capocosca di Brancaccio allude ad una "cortesia" resa a Silvio Berlusconi negli anni turbolenti delle stragi di mafia, dopo Tangentopoli: "Nel 92 già voleva scendere..mi ha detto: ci vorrebbe una bella cosa". Parole pesanti con cui il boss sembra voler attribuire al leader di Forza Italia un qualche ruolo negli attentati portati a segno nel 1993 a Firenze, Roma e Milano e di cui lo stesso Graviano è stato uno degli organizzatori materiali.
Parla del ruolo dello Stato Grasso, della necessità della fermezza e del rigore, dell'insostituibile faro della legge, facendo attenzione- non potrebbe essere diversamente, visto il suo alto ruolo istituzionale e di garanzia- a sottolineare che quelle di Graviano per adesso sono solo parole, pronunciate probabilmente nella consapevolezza di essere ascoltato e tutte da verificare, attraverso gli opportuni riscontri. Tuttavia è innegabile l'interesse dei dialoghi registrati, e sulla caratura criminale del personaggio precisa: "Io stesso ho colto dalla viva voce di un collaboratore di giustizia come Spatuzza delle circostanze che hanno certamente confermato le responsabilità di Graviano su dei fatti gravissimi come le stragi. Quindi da un chiacchiericcio captato nel corso di un'ora d'aria in carcere si ha oggi la possibilità da parte di Giuseppe Graviano di dare concretezza a queste parole. Dando la sua verità, dicendo tutto quello che sa. Però evitando che si possa usare per fini diversi dalla ricerca della verità tutto ciò che è venuto fuori".
La lezione di Falcone e quell'accendino d'argento sempre in tasca
Parla da protagonista, Pietro Grasso, come magistrato in primo piano insieme a Falcone e Borsellino negli anni terribili della "guerra di mafia" scatenata dai Corleonesi in Sicilia, poi come giudice a latere nel Maxiprocesso di Palermo che alla fine del '92 decapitò i vertici delle cosche; ancora come Procuratore capo di Palermo che negli anni fra il 2000 e il 2004 ottenne 380 ergastoli e centinaia di condanne prima di approdare a Roma come Capo della Direzione nazionale antimafia. La lezione di Giovanni Falcone può tornare utile ancora oggi, negli ultimi sviluppi del caso Graviano: "Falcone ha insegnato che bisogna che ci siano molti particolari per trovare dei riscontri obbiettivi alle cose he si dicono per avere una attendibilità . Questo deve essere il metodo e l'equilibrio con cui affrontare cose così delicate". Un ricordo indelebile, quello dell'amico e collega magistrato, immortalato anche nelle pagine del libro "Storie di sangue, amici e fantasmi", in cui Grasso rievoca, insieme ai momenti di lavoro e di tensione, anche piccoli aneddoti di vita quotidiana: come quando Falcone, avendo deciso di smettere di fumare, consegnò all'amico Pietro il suo accendino d'argento con la promessa di farselo restituire se avesse deciso di riprendere in mano le sigarette. "Quell'accendino è sempre con me", dice Grasso nel libro, e lo conferma mostrandolo con commozione anche nelle immagini della nostra intervista, girate da Antonella Loi.
Le ultime parole di Grasso sono ancora dedicate al ruolo dello Stato di diritto, e alla ricerca mai interrotta della verità: "Anche uno come Graviano ha la possibilità con un ravvedimento operoso di far conoscere la verità. Non foss'altro per dare un futuro migliore a quel bambino che ha generato tra le mura del carcere e che può far uscire da quella spirale di violenza e di sangue in cui spesso Cosa Nostra avviluppa i figli dei mafiosi".