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"Scacco alla Regina": le grane e i ripescati di Pd, Forza Italia e Terzo Polo

La rinunzia al seggio del giovane dem La Regina in Basilicata apre nuovi scenari. Centristi e azzurri, come pure 5s, nel marasma sulle liste quasi peggio del Pd. Grane, invece, per il Terzo Polo, in Puglia

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
Raffaele La Regina (Ansa)
Raffaele La Regina (Ansa)

Lo ‘scacco matto’ alla Regina – nel senso del povero, e sprovveduto, fanciullo Raffaele La Regina (classe 1993, cioè un ragazzino, potentino ma già segretario regionale del Pd lucano, pupillo del gauchiste Beppe Provenzano, suo portaborse quando questi era ministro nel governo Conte II, ma assai stimato pure dal segretario Letta) scelto dal segretario per fare il capolista del Pd nel listino bloccato Camera Basilicata – ha aperto possibilità imprevedibili, inaspettate, e alla fine assai più giuste per due ‘pezzi da novanta’ dem.

Infatti, grazie alla rinuncia del posto in lista da parte del giovane Raffaele – travolto sui social dalla pubblicazione di suoi vecchi post in cui appariva (ed era, oggettivamente) non solo uno strenuo difensore della causa dei palestinesi, ma anche, di fatto, un vero e proprio antisemita – due di fatto tra gli ‘epurati’ delle liste fatte da Letta (il terzo è il costituzionalista Stefano Ceccanti, a ieri sera del suo destino ancora nulla si sapeva, ma potrebbe finire in un collegio in Liguria dopo essere stato scalzato dal suo collegio di riferimento, quello di Pisa, dal ‘bel Fratoianni’) riguadagnano posizioni e pure qualche speranza di risultare eletti anche nella prossima legislatura.

Trattasi del – bravissimo - sottosegretario agli Esteri, Enzo Amendola, cui – privo di corrente ‘sua - era stato rifilato un posto da ineleggibile (terzo nel listino proporzionale di Campania 1, dove è grasso che cola se, al Pd, ne scattano due), ‘conquista’ per scelta di Letta il posto da capolista in Lucania ma alla Camera (Amendola era candidato al Senato, pur se ex deputato), lasciato ‘libero’, volente o nolente, da Regina. Un posto, in ogni caso, assai più ‘comodo’, rispetto al numero tre in Campania 1 al Senato, in cui era stato ‘sacrificato’ la notte di Ferragosto.

Inoltre, sempre grazie allo ‘scacco alla Regina’, Filippo Sensi (storico portavoce di Matteo Renzi e poi di Paolo Gentiloni, notissimo sui social con lo pseudonimo di Nomfup, alla prima legislatura), guadagna, a sua volta, la posizione lasciata libera da Amendola – cioè passa dalla Camera al Senato – quella di candidato nel listino proporzionale, ma in Campania (terzo nel listino), oltre a un improponibile collegio alla periferia di Roma che pure Sensi aveva accettato con senso del dovere. Proprio come, peraltro, aveva già fatto Amendola.

Solo che, pure qui, viene il mal di testa. Spostato Sensi dal Lazio (dove resta candidato a Lazio 2, ma a palazzo Madama, sempre come terzo in lista) l'ex deputato cede la non facile candidatura all'uninominale di Roma 3 del Senato, che passa alla coalizione e cioè all'Alleanza Verdi sinistra. Al Pd torna quindi il seggio di Roma 3 della Camera, assegnato inizialmente alla coalizione, dove Letta sceglie di far correre l'ex presidente di Legambiente Rossella Muroni, la quale, eletta nel 2018 con LeU, giusto nel 2022 è finita nel Pd.

La comunità ebraica s’indigna, La Regina intigna, ma è costretto a ritirarsi, panico dem

Ora, al netto del fatto che il gioco a incastro, dentro il Pd, inizia a diventare davvero surreale (Amendola che passa dal Senato alla Camera, da dove veniva, Sensi che va dal Lazio in Campania) e anche che – se la Ragione governasse le cose della Politica – Amendola doveva far da capolista in Campania e Sensi ottenere un seggio vero (o, quantomeno, contendibile) a Roma o nel Lazio, resta da capire cosa ha detto di ‘male’ la Regina. Il quale – prescelto da Letta con altri tre giovani ‘under 35’ (Caterina Cerroni, candidata in Lazio e nel suo Molise, Marco Sarracino in Campania, e Rachele Scarpa, in Veneto, tre collegi blindati) – è stato costretto al ‘passo indietro’ a causa di una serie (pervicace, peraltro) di posti in cui negava di fatto il diritto dello stato di Israele a esistere e, in più, sfotteva pesantemente la comunità ebraica (“Lo stato di Israele non esiste come gli alieni”) e poco importa che i suoi post fossero di vari anni fa, conta che il Giornale li ha ripubblicati e, oggettivamente, fanno rabbrividire. 

La quale comunità ebraica – già infuriata per il posto di risulta affibbiato a un suo storico esponente, Lele Fiano (finito in un collegio uninominale impossibile a Sesto San Giovanni, ex ‘rossa’ e oggi leghista) – non ha, ovviamente, preso bene i vecchi post del ‘giovane’ Raffaele. La Regina si era scusato (“una leggerezza, a 20 anni si esprimono e si pensano molte cose. Poi si cresce, si studia, si cambia idea.”) e Letta, dopo le scuse, aveva dichiarato già “chiusa” la storia. Ancora ieri mattina, il buon Raffaele spiegava di “voler andare avanti con determinazione!”. E così all’inizio, la ‘notizia’ del ritiro della candidatura, lanciata dalla Lega, era stato subito smentita. Ma poi, per lo sfortunato Raffaele, ci è si è messo pure il ‘caso Roma’, con le dimissioni di Ruberti, e le accuse ad alzo zero di Renzi, oltre a Salvini, che hanno picchiato come martelli, infierendo in corpore vili di un Pd che, ogni alba che sorge, scopre di avere una ‘storiaccia’ in casa propria, a Roma come in Lucania, in Veneto come altrove.

Alla fine, Raffaele ha mollato, ancora scusandosi. Ma, come sempre, piove sul bagnato. Neppure è arrivata la sera ed ecco che spuntano altrettanti (vecchi) post di un’altra giovane dei ‘fiori all’occhiello’ di Letta, Rachele Scarpa, pasionaria leader dei movimenti giovanili veneti e sua volta under 30, la quale – rilancia di nuovo Salvini – “ha scritto gravi post contro Israele, contestando la presenza del Pd a una manifestazione organizzata dalla comunità ebraica di Roma. Troppi esponenti del Pd parlano da estremisti islamici: una vergogna che non deve restare senza conseguenze”. Chissà, magari – entro domani - si ritira pure la Scarpa e spunterà alla fine un posto, da capolista blindato, pur se in Veneto, o altrove (Liguria), per il buon Ceccanti. Il quale, almeno, forse sarà per la tarda età, a differenza dei baldi ‘giovani’, dice sempre cose assennate e oggi è uno ‘splendido’ sessantenne.

La terra di Lucania, inedito crocevia di big…

Altra conseguenza di questo folle soduku di incastri e di candidature che, fino all’ultimo giorno, cambiano di posto e di colore è che, di fatto, che una piccola regione come la Basilicata – la quale, peraltro, assegna pochi deputati e ancor meno senatori - diventa il ring dell'ultimo round delle liste elettorali e finisce, suo malgrado, ineditamente sotto i riflettori nazionali. Sempre qui sarebbe candidata Elisabetta Casellati, decana di Forza Italia e presidente del Senato, 'dirottata' dal suo Veneto (dove, in buona sostanza, non la vuole davvero nessuno) e perciò bersaglio dei malumori del partito lucano, che si sente scalzato dalle decisioni del nazionale.

A complicare le cose ci si mettono i Pittella: Gianni e Marcello ora spingono il Terzo Polo

Last bust but non least, ecco spuntare, per il Terzo Polo, la candidature di un vecchio ‘animale’ (in senso buono) della politica locale, Marcello Pittella, che – sbattuta la porta del Pd – accetta la candidatura che gli offre il Terzo Polo, anche perché sia Calenda che, soprattutto, Renzi sanno bene che Pittella – erede e co-tenutario di una vera e propria dinastia politica, i ‘Pittellas’ – è un formidabile portatore di voti e di consensi. Alle ultime regionali, la ‘lista Pittella’ (c’è pure suo fratello, Gianni, oggi sindaco di Lauria, ieri europarlamentare, l’altro ieri governatore, ha preso più voti di quella dem. L’accordo del Pd (nazionale) con i ‘due fratelli’ comportava il ‘ritiro’ di Gianni (inquisito, dimessosi da governatore, uscito prosciolto da ogni accusa), nel suo feudo del potentino (il comune di Lauria), e la candidatura di Marcello al Senato, ma il Pd lo ha disatteso e, guarda caso, proprio per colpa del giovane – e assai inesperto – La Regina che ha deciso di ‘far fuori’ i Pittellas. Risultato – disastroso, per il Pd – Marcello Pittella guiderà la lista del Terzo Polo al Senato e saranno altri voti in meno che arriveranno al Pd. Ad affollare la platea si aggiunge Matteo Salvini, che guiderà la lista al proporzionale della Lega anche qui e fa notare la ‘curiosa’ coincidenza. Ma è soprattutto la tensione interna a Forza Italia - con la rivolta annunciata dei territori contro i 'paracadutati' da Roma - a segnare l'ultimo miglio delle liste che vanno depositate entro lunedì sera.

Tutti i guai azzurri, alle prese con i pochi posti

FI è, dunque, in alto e procelloso mare, sui nomi, mentre la Lega è al lavoro sui collegi proporzionali (definite ieri le liste uninominali) mentre sarebbe agli sgoccioli Fratelli d'Italia. A rischio, per il partito di Silvio Berlusconi, non ci sono solo i parlamentari uscenti - secondo i calcoli dei più pessimisti, la squadra si ridurrebbe a 50 tra deputati e senatori rispetto agli attuali 123 - ma anche big e nomi storici. Incombe la riforma del taglio dei parlamentari che debutterà nella nuova legislatura, per FI come per tutti i partiti. Per gli azzurri, in più, c'è l'ombra dei consensi che il 25 settembre potrebbero fermarsi sotto il 10%, se non anche più in basso (tra l’8% e 9%). Così la tela delle liste si fa e si disfa, a costo di sacrifici indigesti per parecchi. Risultato: sale l'agitazione tra quanti annusano il rischio di restare fuori, per di più 'preferiti' ai big nazionali. Succede, appunto, in Basilicata e coinvolge la presidente Casellati. La voce che possa essere candidata in quel collegio scatena le rimostranze del consigliere regionale, Gerardo Bellettieri.

Quindi, pur confermando "massimo rispetto per la seconda carica dello Stato", rammenta che sul posto c'è chi "lavora incessantemente per il territorio e ha portato il partito dal 4% al 12,5%". E ne fa nome e cognome: il potentino Giuseppe Moles che è anche sottosegretario all'Editoria. "Io sto con lui", chiosa Bellettieri. Il collegio maggioritario della Basilicata è considerato sicuro per il centrodestra, più o meno come quello di Padova in cui correrà la bolognese Annamaria Bernini, capogruppo uscente al Senato, dirottata (senza alcuna gioia) dalla sua Emilia-Romagna. Le giravolte decise dall'alto lasciano strascichi.

Pronto alle dimissioni è, invece, il deputato uscente Dario Bond, vicecoordinatore regionale in Veneto, in polemica con la gestione delle candidature. "In Veneto ci sono province dove non si farà nemmeno campagna", ammette amaro e sbotta: "Sono in FI dall'inizio ma così non si va avanti". Un indizio dell'agitazione e dei lavori non conclusi, è il riserbo assoluto di FI già da giorni. Assente Berlusconi che a parte un'intervista al Tgcom24, non partecipa neppure ai funerali dell'amico e fidatissimo Niccolò Ghedini. E' rimasto a Villa Certosa, in Sardegna, dove avrebbe chiamato a corte i vertici del partito. Eppure, sul vertice non filtra granché. Unico spiraglio è la fiducia di Paolo Barelli, capogruppo azzurro alla Camera, che aspira, addirittura, al posto di ministro allo Sport nel futuro governo: "Stasera (ieri, ndr.) bisogna chiudere le liste, domattina al massimo", e dice serafico che "la fiducia è l'ultima a morire".

Agli atti va registrato pure l'addio dal Parlamento di Francesco Giro, dopo 25 anni di carriera: il senatore che da anni aveva, in tasca, la doppia tessera di Lega e FI non si candida, ma il tono e i tanti ringraziamenti (dal Cav a Salvini, "erede naturale") non convincono che la scelta non sia sofferta, tanto quanto i mal di pancia degli altri.

Ma, in Puglia, scoppia un guaio nel Terzo Polo

Non che, pure nel Terzo Polo (Azione-Iv) non abbiamo i loro bei guai. Prendiamo, per dire, la Puglia, dove - a poche ore di distanza dalla presentazione delle liste elettorali, si accendono gen due fuochi. A quello già in atto da giorni all'interno – tanto per cambiare - del Pd per le candidature nei collegi, si somma quello scoppiato ieri in Azione, a causa dell’ingresso dei rappresentanti dei “Popolari per Emiliano”. 

Forza politica di estrazione civica, sinora alleata del centrosinistra e del governatore della Regione, nonché sua ‘creatura’, il potente Emiliano, guidata dall'ex senatore di centrodestra Massimo Cassano, sottosegretario al Lavoro in vari Governi e oggi, su nomina di Emiliano, direttore generale di Arpal Puglia. Cassano a Bari sarebbe nel proporzionale Camera, in seconda posizione dietro il ministro per il Sud, Mara Carfagna, ritenuta la ‘regista’ dell'operazione. A Taranto - seconda città pugliese - verrebbe candidato Massimiliano Stellato, consigliere regionale, che dai Popolari per Emiliano è passato a Taranto col centrodestra, per l'elezione del sindaco, quindi ha tentato un aggancio con la Lega per poi planare verso Calenda, cui si è “messo a disposizione” con la sua “rete di amministratori” (come a dire: ‘io porto voti’). Ma, pur essendo portatori di un cospicuo pacchetto di voti (Cassano, tempo addietro, fu ribattezzato "mister centomila" con riferimento ai voti di preferenza), il suo arrivo in Azione ha da un lato scompaginato la base locale del movimento di Calenda, che si è vista tagliata fuori dai giochi per le candidature, e dall'altro ha provocato diverse proteste nella stessa base anche attraverso prese di posizione sui social. Si ritiene infatti che l'arrivo di Cassano e dei suoi amici in Azione strida con quella linea di competenza e di serietà nella proposta politica rivendicata da Az, tanto più in una regione come la Puglia dove sulle questioni industriali del gasdotto Tap nel Salento e dell'Ilva di Taranto l'ex ministro dello Sviluppo economico ha più volte duramente contestato proprio il governatore Emiliano, a sua volta duro. Ma è difficile che ‘l'opposizione’ interna ad Azione sia in grado di cambiare la situazione. Da Twitter risponde intanto Calenda, smentendo nettamente ogni ipotesi di compromesso o patto: "Questa roba non si può sentire. Io non parlo con Emiliano da quando lo cacciai dal mio ufficio al Ministero. Considero Emiliano il peggior governatore di regione in Italia. Se non vi piace un candidato scrivetelo, ma palle del genere no".

Ovviamente, il Pd non vedeva l’ora di attaccare: "Si arricchisce il curriculum di Massimo Cassano, al secolo direttore generale di Arpal e provvidenziale autore di coincidenze e assunti. Amico di Emiliano e emblema del suo sistema di potere, spalleggiato anche dal centrodestra contro la nostra legge per la sua decadenza e candidato di Azione nel Terzo polo. Uno e trino" attacca Fabiano Amati, consigliere regionale del Pd, ma a sua volta protagonista della battaglia contro le candidature dei dem in Puglia. Infatti, Amati e il consigliere regionale pugliese Ruggero Mennea annunciano che, dopo il ricorso presentato alla commissione di garanzia del Pd, ne presenteranno un altro alla commissione elettorale per cercare di far cambiare liste da loro definite "invotabili". Un ambientino, quello pugliese, paragonabile solo a quello lucano o a quello molisano, neo ‘Texas’ d’Italia – cioè incontrastato ‘regno’ di vittoria del centrodestra, sul quale, però, ci soffermeremo in altra puntata perché pure il Molise merita spazio.

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