Il “grande freddo” tra governo e Quirinale. Domani Meloni in piazza mentre Mattarella riceve le alte cariche
Alle 16 la premier-leader parlerà in piazza del Popolo nel comizio finale della circoscrizione Centro. Ma quella è la giornata in cui tradizionalmente il Capo dello Stato riceve al Quirinale le alte cariche. Ennesimo sgarbo. L’interventismo buono del Presidente della Repubblica preoccupato per le conseguenze delle tre riforme - magistratura, premierato e autonomie - la cui portata va vista nell’insieme. Nelle celebrazioni su Matteotti Meloni condanna “lo squadrismo fascista”.

Giorgia Meloni farò il suo comizio elettorale sabato primo giugno nel pomeriggio in piazza del Popolo. La leader di Fratelli d’Italia capolista in tutte le circoscrizioni dovrebbe parlare al suo “popolo” verso le 16, circa, solleone e caldo afoso ma fa niente. Sarà quello il giorno prescelto per chiudere la sua campagna elettorale nella circoscrizione Centro. Peccato sia lo stesso giorno in cui tradizionalmente le alte cariche dello Stato e le diplomazie salgono al Quirinale per i tradizionali saluti in occasione della Festa della Repubblica. Probabilmente la premier ad un certo punto del pomeriggio si leverà la maglietta della candidata e capopopolo e indosserà quella più istituzionale della premier per salire al Quirinale. Giusto il temo di qualche saluto e un brindisi dalla terrazza più bella d’Italia. E’ assai probabile che la leader del partito coprirà tutto quello che avverrà dopo, soprattutto il Quirinale. Assomiglia molto ad un sgarbo.
Gli sgarbi
Come quello accaduto martedì pomeriggio quando il sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano e il ministro della Giustizia Carlo Nordio sono saliti al Quirinale con il testo della riforma della magistratura che in realtà è la riforma della giustizia. Dopo un anno e mezzo di annunci e 25 anni di tentativi, la separazione delle carriere tra giudici e pm, il doppio Csm nominato per sorteggio e l’Alta Corte disciplinare prendono forma. Perchè diventino realtà ci vorrà ancora un paio d’anni. E però il Consiglio dei ministri ha approvato. E il Presidente ha dovuto prenderne atto. Pretendendo però alcune modifiche: i due Csm restano sotto la mano del Presidente della Repubblica; visto che la maggioranza ha preteso in ogni modo che i membri togati fossero sorteggiati tra i magistrati con più esperienza (con modalità ancora ignote), il criterio del sorteggio varrà anche per i laici (tra un gruppo di esperti giuristi indicati dal Parlamento in seduta comune). O tutti o nessuno. E’ stato un confronto aspro. Sono passaggi che segnano l’armonia dei rapporti istituzionali.
Il gelo
Dire tensione sarebbe troppo. Meglio forse parlare di “preoccupazione”, in qualche caso anche “diffidenza”. Certamente “gelo”. Così, chi li segue più da vicino, descrive i rapporti tra palazzo Chigi e Quirinale negli ultimi mesi. Da fine anno almeno quando è sembrato chiaro, al Presidente e ai suoi esperti giuridici, che le tre riforme chiave di questa legislatura - premierato, autonomia differenziata e riforma della magistratura - cambiano radicalmente l’assetto della repubblica e della democrazia. Il premierato che, in maniera molto pasticciata, nei fatti si preoccupa solo di togliere il potere al Capo dello Stato di scegliere e nominare il presidente del Consiglio che sarà invece scelto direttamente dall’entità “popolo”. Bene dare più sostanza alla rappresentanza ma non è tutto da dimostrare che questo darà più stabilità politica. E’ vero che il Capo dello Stato esce da questa riforma molto ridimensionato. La legge sull’Autonomia è un colpo ferale all’unità della Repubblica e andrà a peggiorare le disuguaglianze tra nord e sud e a creare e cristallizzare nei fatti un paese a due velocità. L’altra giorno è arrivata la riforma della magistratura, defezione assai più corretta di riforma della giustizia. Con questa roba qua si risolve molto poco, anzi nulla, circa il buco nero di un sistema giustizia che tra code, attese e incertezze ci costa quasi un punto di pil.
Mai un intervento diretto
Il Presidente Mattarella ha sempre fatto sapere che non avrebbe mai pronunciato pubblicamente una parola sulle riforme e sull’oggetto dei lavori parlamentari. Nulla che non avesse a che fare con le regole della repubblica parlamentare. E così è stato, è e continuerà ad essere: mai un commento diretto e specifico. Sulla riforma del Csm il confronto preliminare, per quanto all’ultimo tuffo, era necessario perchè il Presidente della Repubblica è il numero uno della magistratura (presiede il Csm). E’ stato di per sè clamoroso che l’interlocuzione tra i due palazzi non sia iniziata prima e non sia stata costante. E’ chiaro a lui per primo però che la portata del progetto di cambiamento delle istituzioni è senza precedenti. Altri ci avevano provato prima, su uno o sull’altro fronte, senza mai riuscirci. Mai nessuno su tutti e tre i fronti insieme: l’Autonomia riforma la forma dello stato; il premierato la forma del governo; quella sulla giustizia riforma la magistratura.
E allora vanno letti in modo unitario i tanti messaggi che il Presidente Mattarella ha voluto dare in questi mesi. Un interventismo “buono”, funzionale a sensibilizzare gli occhi, le orecchie e il cervello dei cittadini e invitarli ad accendere un faro sul pacchetto di riforme (due costituzionali, una ordinaria) che marceranno divise in tre per colpire poi unite.
Interventismo buono
Il Capo dello stato si è occupato di tutelare piazze e dissenso. Era il 25 febbraio quando disse: “I manganelli contro gli studenti non sono mai una soluzione”. Si riferiva all’aggressione che le forze dell’ordine fecero a Pisa su un corteo di studenti (veri, per lo più sedicenni). E quella presa di posizione, che ebbe lungo strascico di polemiche, ha probabilmente evitato che in questi mesi, con tante manifestazioni nelle piazze e nelle università, qualcuno si facesse prendere la mano. Lo stesso Presidente ha voluto affrontare gli studenti che troppo spesso si sono fatti prendere la mano con proteste impedendo ad altri di parlare in dissenso dal loro punto di vista. “L’Università resti libera, mai chiudere al dialogo” disse il 17 maggio invitato alla Sapienza per la celebrazione della Giornata del laureato. In quella occasione il Capo dello Stato ha scelto di fare ciò che nessun leader politico ha fatto prima di lui: ha accettato l’interlocuzione con gli studenti schierati a prescindere con la Palestina. Quel giorno Mattarella andò nella tana del lupo, nell’università occupata, e parlò: “L’Italia difende i diritti di tutti, di una parte e dell’altra”. Ognuno è rimasto della propria opinione e ciascuno ha potuto esprimerla.
In difesa della Carta
In questi mesi, soprattutto, sono stati assai frequenti gli interventi in difesa della Carta. L’ultimo il 23 maggio: “Ricordate che è il nostro futuro e non il nostro passato”. Qualche giorno prima, il 9 maggio, a Milano in occasione della Civil week ricordò che la Costituzione “non è un catalogo di parole d’ordine” e disse “basta con la rincorsa ad inserire temi che ne vanificano senso e ruolo”. Attenzione, ad esempio, a voler inserire in Costituzione questioni specifiche perchè per quello esistono le leggi ordinarie e così facendo si depotenzia la Carta. E sono solo gli ultimi interventi.
Il Capo dello Stato è anche il capo delle forze armate e ha ha auspicato “l’unità dell’Europa su conflitti e sulla difesa comune”, i primi top job della nuova Commissione e del nuovo Parlamento europeo. In aprile si è “interessato” al caso Ilaria Salis e ha voluto parlare con il padre. La maestra e militante antifascista in prigione da febbraio 2023 per aver aggredito a Budapest due neonazisti e per questo candidata al Parlamento europeo (Avs), ha poi ottenuto - un mese dopo - gli arresti domiciliari. Sono solo coincidenze. Ma hanno una loro suggestione. Così come ha fatto i suoi complimenti per il suo coraggio ad Asia, ragazzina di 14 anni che si ribellata all’odio social. Asia è in cura per un tumore, ha nei social il suo unico modo di “vivere” con i coetanei ed è diventata bersaglio dei bulli da tastiera.
Dell’antifascismo e dei diritti
Potremmo andare avanti: il 25 aprile schierato come sempre in difesa e in memoria dell’antifascismo e della Resistenza (“intorno all’antifascismo è possibile e doverosa l’unità popolare”); la denuncia continua, quasi un’ossessione, per i troppi morti sul lavoro; la preoccupazione per i conti pubblici. Appoggia il governo sul Piano Mattei ed è andato in Africa in visita a quattro paesi da cui originano la maggior parte dei flussi migratori in arrivo in Italia.
Mattarella ammonisce e pacifica, si preoccupa e denuncia, partecipa e a suo modo illumina sulle scelte. Fa quello che dovrebbe fare anche, soprattutto, il Presidente del consiglio. Che però si sente sempre e solo la leader di una parte. La sua.
Va dato atto che eri Meloni ha fatto un importante passo avanti sull’antifascismo. Alla Camera, in occasione dei cento dell’ultimo discorso in aula di Matteotti prima di essere ammazzato da squadristi fascisti, ha pronunciato parole importanti. “Matteotti - ha detto - è stato ucciso dallo squadrismo fascista, ci ricorda che la nostra democrazia è tale se si fonda sul rispetto dell’altro”. Non poteva fare diversamente. Peccato per il passo indietro di domani. E dei giorni passati.