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Altro che Ucraina, la vera tensione è sulla partita delle nomine. Meloni vuole l’ultima parola. Muro di Salvini e del Cav

Entro metà aprile devono essere rinnovati 105 consigli di amministrazione, presidenze e direzioni generali. Eni, Enel, Poste, Terna, Leonardo, Enav, Rai, Ferrovie, si tratta del vero potere dello Stato. Il caso più difficile è quello di Leonardo. Tutti i nomi in pole

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Altro che Ucraina, la vera tensione è sulla partita delle nomine. Meloni vuole l’ultima parola...
Meloni e Tajani in Aula (Ansa)

Sì certo, la pace e le armi sono una cosa molto seria. Per carità. Ma lo sono, altrettanto e fors’anche di più, le nomine dei vertici delle più importanti società partecipate. E così, a ben vedere, dietro e sotto le scosse delle ultime tra Lega e Fratelli d’Italia ci sono questioni etiche come la pace, commerciali, economiche e soprattutto di potere. Sono 105 le società pubbliche i cui vertici e consigli di amministrazione vanno in scadenza entro la metà di aprile. Parliamo di almeno 600 posti da assegnare e che, a loro volta, disegnano il potere reale, economico e geopolitico nel paese e all’estero. Parliamo di Eni, Enel, Poste, Leonardo, Terna, Enav, cioè energia, poste, comunicazioni, informazione (c’è anche tutto il capitolo Rai), trasporti, banche e risparmio. Un risiko da cui dipende la tenuta del paese, che muove miliardi, soprattutto appetiti e potere. Il vero deep state su cui ogni cinque anni chi è al governo vuole mettere le mani perché da qui può passare il successo o l’insuccesso del governo. Da queste nomine sicuramente dipendono potere e controllo sui gangli che contano del paese.

Gianni Letta al tavolo

Gli scambi di idee sul dossier nomine sono in agenda da gennaio, una volta messa in cassaforte la legge di bilancio. Prima incontri informali, poi interlocutori, poi di assaggio, da una decina di giorni si fa sul serio. Al tavolo siedono le prime file dei partiti di maggioranza e una cosa ha voluto mettere subito in chiaro Giorgia Meloni: “Sulle nomine decido io” facendo pesare il 30% ottenuto da Fratelli d’Italia alle elezioni politiche. Una regola d’ingaggio che non è piaciuta nè a Salvini nè a Berlusconi. Così se Meloni non perde mai mega riunione sul dossier nomine, al suo fianco porta sempre il fedelissimo Giovambattista Fazzolari, sottosegretario alla Presidenza. Guido Crosetto è molto ascoltato ma essendo ministro della Difesa e parte in causa in alcune decisioni, è considerato una parte.

Matteo Salvini siede al tavolo, così come Antonio Tajani a cui Silvio Berlusconi ha voluto affiancare il più esperto di tutti: Gianni Letta. Una garanzia. E non solo per Berlusconi. Anche Giorgia Meloni ha imparato, fin da giovanissima ministra, a fidarsi dell’esperienza di Letta.

Poi c’è il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che, in quanto Mef, è un po’ il padrone di casa di tutte queste società e con il suo staff sta valutando vari profili di manager. Giorgetti è anche Lega e a lui è affidato un po’ il ruolo di mediatore di un tavolo che si sta rivelando molto più complesso del previsto. Non per le scelta fare. Ma perché Salvini avrebbe detto stop al predominio dei Fratelli e della Sorella d’Italia. E, d’accordo con Forza Italia, sta facendo muro o comunque pretende rispetto per i pesi e per i ruoli. Da qui, anche le tensioni degli ultimi due giorni. E faceva un po’ specie ieri, mentre in aula la premier alzava il dito contro le opposizioni, ascoltare nei capannelli del centrodestra che il tema principale non fossero nè Ucraina, nì immigrazione ma trovare la quadra sulle nomine.  

Mps, la prima casella

La prima casella da sbarrare riguarda Monte dei Paschi in scadenza il 25 marzo (sabato) . Sulla banca senese di cui il Mef possiede la maggioranza (64%)  si profila l'intesa per confermare come ad Luigi Lovaglio. Vedremo perchè nulla al momento è certo. Così come su tutte le altre caselle su cui il centrodestra non si è ancora allineato.

La più blindata di tutte sembra essere la casella di ad di Eni: tutti concordano che solo Claudio Descalzi, che sta concludendo il terzo mandato consecutivo, può essere in grado di guidare Eni e gestirne il valore strategico. Non solo sul fronte dell’energia - che sarebbe già tanto - ma anche sul fronte diplomatico e di relazioni anche e soprattutto in paesi come l’Africa in cui a mala pena abbiamo qualche sede consolare. Per la presidenza di Eni (uscente è Lucia Calvosa) circola da giorni il nome di Elisabetta Belloni, la diplomatica che guida da due anni la nostra intelligence. Il nome di Belloni viene speso in queste ore anche in molte altre caselle. Lei non avrebbe voglia di lasciare il Dis. Del resto la premier ha detto con chiarezza l’8 marzo, che “è arrivato il tempo di nominare una donna al vertice delle grandi aziende di Stato”. E non è un mistero che nella partita Quirinale Belloni sia stata la candidata di Salvini. Su di lei c’è senza dubbio il gradimento di entrambi i leader. I quali, oltre a pesare con il bilancino cosa tocca all’uno o all’altro, hanno due criteri assai diversi: la premier punta sulla competenza e sul premiare, quindi confermare, chi ha già dimostrato di aver fatto bene; Salvini invece chiede totale discontinuità. Per fare un segnale chiaro anche all’elettorato. Per esercitare al massimo, potremmo anche dire, il potere di nomina.

Parola chiave: discontinuità

La discontinuità non vale per Descalzi. E neppure, a quanto pare, per Matteo Del Fante che, sebbene nominato nel 2017 da Matteo Renzi, è un manager di cui è difficile privarsi. Le liste per il rinnovo di Poste dovranno essere presentate entro il 13 aprile: dunque c’è ancora tempo ma il progetto Polis per semplificare la vita dei cittadini presentato in pompa magna alla presenza del presidente Mattarella e della premier Meloni dovrebbe aver blindato il posto di Del Fante. 

La secondo casella da riempire, in ordine di tempo, è quella di Enav per cui viene speso il nome di un’altra manager, Roberta Neri che è già stato ad nella stessa azienda dal 2015 al 2020. Il nome è stato portato al tavolo da Gianni Letta. Così come è assai caldeggiata dal Cavaliere è l’ex ministro Stefania Prestigiacomo.  

Gli assetti delle partecipate non quotate dovrebbero essere definiti dal 15 al 31 maggio. Nella prima settimana di aprile, prima di Pasqua, i leader si sono impegnati a chiudere sulle cinque grandi partecipate quotate, Eni, Enel, Terna, Leonardo e Poste italiane. Di Eni e Poste, s’è detto. Manca ancora il nome del presidente di entrambi - girano varie opzioni - ma non sfugge a nessuno che il posto chiave è quello di ad. Da adesso in poi il criterio al momento dominante è, purtroppo, il dualismo Salvini-Meloni, praticamente cane e gatto. Con il leader della Lega che accusa sotto banco Meloni di voler fare “la ducetta” e decidere tutto lei.

Donnarumma e Scaroni, ma anche Belloni e Cingolani 

Molta tensione ci sarebbe sulla casella dell’ad di Terna, azienda anche questa strategica soprattutto in questa fase di transizione energetica e verso il green. L’attuale ad Stefano Donnarumma ha il cartellino verde di Meloni per passare ad Enel. Ma non ancora quello di Salvini. “Se il principio è quello di confermare chi ha fatto bene, perchè allora non lasciare Donnarumma a Terna dove ha fatto senz’altro bene?” è il ragionamento fatto tra i leghisti. Ed ecco che da qualche giorno Donnarumma deve fare i conti con ritratti  e profili che lo raccontano con scarsa esperienza all’estero, “scarsa caratura internazionale” che invece è necessaria  in un’azienda come Enel. Difficile sostenere che Donnarumma non abbia caratura internazionale. Ma tant’è. Per quello che riguarda Enel, è dato sicuramente in uscita l’attuale ad e direttore generale Francesco Starace. Meloni non lo sopporta. E anche questa è diventata una questione di principio.    

Girano molti nomi ma in realtà le carte sono ancora coperte. Da giorni circola il nome di Paolo Scaroni, banchiere, già ad di Enel prima ed Eni poi tra il 2002 e il 2014 ora presidente del Milan. Il suo nome è stata calato sul tavolo delle nomine da Salvini e Berlusconi per la presidenza di Enel. Sul suo nome c’è il braccio di ferro più duro, al momento, di cui si è parlato molto anche in questi giorni tra Camera e Senato. Scaroni sta diventando una questione di principio per Salvini e meloni. E quando è così è difficile tornare indietro.

Sempre ieri venivano spesi nei capannelli di centrodestra anche il nome di Flavio Cattaneo (quota Salvini e Forza Italia) per Enel, Terna o Poste. Meloni però non gradirebbe gli  antichi e variegati rapporti di cui può beneficare Cattaneo e che lo renderebbero probabilmente troppo autonomo rispetto alla politica.  

Resta poi la casella più difficile, quella di Leonardo, la partecipata specializzata nel settore Difesa. Per sostituire Alessandro Profumo nel ruolo di amministratore delegato, sembra prendere forza una soluzione interna come quella di Lorenzo Mariani, ad della controllata Mbda Italia. E’ il nome caldeggiato da Crosetto ma Meloni, ancora una volta, non sarebbe d’accordo ingaggiando un braccio di ferro interno a Fratelli d’Italia.

La premier vorrebbe l’ex ministro Roberto Cingolani. Che però, essendo appena entrato nel board della Nato, non potrebbe più ambire a quel ruolo per evidenti conflitti di interesse. Per la presidenza è circolato anche il nome di Belloni ma le ultime indiscrezioni sembrano restare su Luciano Carta, ex generale della Guardia di finanza.  Ma se anche Carta dovesse uscire - per andare in qualche altra partecipata - ecco che s’ avanza il nome del generale Zafarana, anche lui in uscita dal vertice delle Fiamme gialle.

Braccio di ferro anche su Istat

Tra le caselle da riempire anche quelle della Consob e della nuova direzione del ministero dell'Economia che vigilerà sulle controllate del tesoro. Intanto, Da Consob si è dimesso il consigliere Paolo Ciocca che - si ipotizza - potrebbe ricoprire il ruolo di direttore del nuovo ufficio che sì creato a via XX Settembre.

Dietro le tensioni fra FdI e Lega anche il braccio di ferro sul decreto sul Ponte, ancora da definire dopo il via libera “salvo intese” in Cdm. E le difficoltà - storiche - del Ministero delle infrastrutture nella spesa delle risorse del Pnrr. C'è un braccio di ferro anche sul rinnovo alla guida dell'Istat di Gian Carlo Blangiardo, ottenuto dalla Lega in Cdm, ma ora in bilico: serve il parere positivo delle commissioni Affari costituzionali, ma al momento non c'è intesa. Si starebbero cercando anche i voti del M5s, che lo nominò nel 2019, altrimenti non è escluso un passo indietro del diretto interessato. Ballano anche tutte le caselle del comparto sicurezza, servizi segreti e Polizia. Per non parlare della Rai. Il deep state dell’Italia, quello che conta veramente, sta per cambiare pelle. Ed è sempre stata la partita più importante.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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