[Il retroscena] Il governo sotto assedio: anche I tecnici del Parlamento bocciano la Manovra. Salvini e Di Maio: “Nessuna marcia indietro”
L’Ufficio parlamentare di bilancio consegna una relazione durissima e boccia la proposta del governo: aumenta il debito e gli interessi a carico dei cittadini. C’è un solo precedente: Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan nel 2016 furono poi costretti a riscrivere la manovra. La stroncatura rinforza l’asse Di Maio - Salvini - Conte, che garantiscono: “I numeri non cambieranno, nessuna marcia indietro”. Ma si tratta sui decreti collegati, che potrebbero slittare. In Parlamento è già ingorgo di decreti in scadenza. Oggi pomeriggio riunione d’urgenza del vicepremier pentastellato coi suoi ministri

Nella storia della Repubblica si registra un solo precedente e riguarda Matteo Renzi. Nel 2016, anche lui, che ai tempi sembrava fortissimo e poteva trattare con l’Unione europea forte del 40% incassato alle elezioni per Strasburgo, si vide costretto a cambiare direzione e a modificare il testo della manovra economica, dopo che l’Ufficio parlamentare di bilancio aveva stroncato le previsioni contenute nel documento predisposto dal suo governo. Allora il compito di invertire la rotta toccò a Pier Carlo Padoan, che pure veniva dal Fmi e che, in fatto di conti, non era proprio un novellino. Difficile ora che il Nadef presentato alle Camere da M5s e Lega, ma letteralmente stroncato ieri sera dai tecnici contabili del Parlamento, possa scampare allo stesso destino.
Il giudizio sul testo scritto a Palazzo Chigi, la cui approvazione era stata festeggiata dai ministri pentastellati affacciati al balcone sopra piazza Colonna, è decisamente severo: “L’Ufficio parlamentare di bilancio ritiene che non sia possibile validare le previsioni macroeconomiche sul 2019 nel quadro programmatico della Nadef 2018”, alla luce dei “significativi e diffusi disallineamenti”. Per i tecnici del Parlamento, che pure negli anni ne hanno viste di tutti i colori, la manovra è troppo imponente nelle dimensioni e fondata su stime eccessivamente ottimistiche. Gli esperti, che hanno illustrato la relazione alle 20:15, considerano “eccessivamente ottimistica la previsione di crescita sia del PIL reale (1,5 per cento) sia di quello nominale (più 3,1 per cento nel 2019)”. Per loro, “I disallineamenti che inducono un giudizio negativo riguardano la dimensione dell’impatto della manovra sul quadro macroeconomico”. Così strutturata, secondo i tecnici, la legge di Bilancio esporrebbe l’Italia al rischio di attacchi speculativi e comporterebbe nuovi costi per ulteriori interessi sul debito pubblico: “Il nuovo deficit programmatico della Nadef 2018 incorpora una maggiore spesa per interessi (...) dovuto all’aumento dello spread rispetto agli altri paesi della UE registrato nei mesi recenti che, tra il 2018 e il 2021, raggiunge complessivamente i 17 miliardi, pari a 0,9 punti percentuali di Pil”.
I dati rilevati dagli esperti sono in effetti impressionanti: il costo degli interessi sul debito ormai quasi pareggia il Prodotto interno lordo e l’aumento dello spread costa quasi due volte il reddito di cittadinanza, per il quale il governo ha previsto di stanziare dieci miliardi. Il rispetto degli impegni che erano stati concordati con l’Ue, oltretutto, si allontana: “Lo scenario programmatico della Nadef si distingue da quello delineato nel Def 2018 di aprile per l’allontanamento nel 2019 e l’arresto nel 2020-21 del percorso di avvicinamento verso l’Obiettivo di medio termine”.
E ora, che cosa può succedere? La stroncatura dei tecnici del Parlamento non potrà rimanere senza conseguenze. Il testo bollato come “irricevibile” da questo ennesimo organismo dello Stato dovrà essere modificato. La palla torna nelle mani del ministro dell’Economia, il quale dispone di due opzioni: recepire le richieste di modifica del quadro macroeconomico o “giustificarsi” davanti al Parlamento. Per questa ragione, Giovanni Tria, questa mattina alle dieci, dovrà tornare, per il secondo giorno consecutivo, alla Camera dei deputati dove è chiamato a rispondere alle domande dei parlamentari e a chiarire le ragioni delle sue scelte.
Il giudizio negativo dell’organismo parlamentare è stato soltanto l’ultimo di una lunghissima serie di valutazioni critiche sulla proposta del governo giallo-verde. Nella sola giornata di ieri, poche ore prima, si erano espressi contro il testo sia Bankitalia che la Corte dei Conti. “Questa manovra è un rischio, al di là del mancato rispetto della regola del Fiscal Compact”, ha detto il presidente della Corte dei Conti Angelo Buscema, anche lui nel corso di un’audizione in Parlamento. “La traiettoria disegnata nel quadro programmatico della Nota non appare rassicurante”, ha sottolineato. Più di un costituzionalista ha segnalato un altro particolare che renderebbe la Manovra addirittura incostituzionale: alle pagine 40 e 41 della relazione depositata dall’Ufficio parlamentare per il bilancio, il governo nega di fatto l’esistenza sia di eventi eccezionali sia di un ciclo economico negativo. Secondo loro, in assenza di queste condizioni particolari, il mancato rispetto del criterio del pareggio di bilancio configurerebbe una violazione dell’articolo 81 della Costituzione, quello che, recependo il cosiddetto “fiscal compact”, stabilisce che “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevole del ciclo economico”.
L’accerchiamento è così forte che ieri sera Giuseppe Conte ha dovuto convocare in fretta e furia un vertice in cui, per la prima volta, tutti i principali protagonisti della politica economica del governo, da Matteo Salvini a Paolo Savona, passando per il viceministro Massimo Garavaglia, hanno dovuto aprire a possibili cambiamenti nel caso lo spread continui a salire. Insieme, però, hanno concordato la linea della resistenza e della sfida all’Europa. “Si va avanti, è una manovra che abbiamo deciso di portare avanti e tornare indietro significa tradire italiani”, è stata la reazione in stereo di Luigi Di Maio e Matteo Salvini entrando nella sede della Presidenza del Consiglio. “I numeri della manovra non sono assolutamente in discussione, anzi la manovra stessa si rafforza con il piano di investimenti per il Paese di cui discuteremo domani insieme alle principali aziende di Stato nel corso della cabina di regia qui a palazzo Chigi”, ha fatto loro eco il premier.
Questo pomeriggio il leader dei Cinquestelle convocherà i suoi ministri per una riunione di emergenza. La trattativa potrebbe spostarsi sui dodici decreti collegati alla Manovra, da quello sul reddito di cittadinanza a quello a favore dei truffati dalle banche. Le misure annunciate potrebbero essere differite nel tempo, anche perché il calendario del Parlamento è intasato: ai dodici decreti che danno forma alla manovra si aggiungono infatti i due disegni di legge che dovrebbero concorrere alle coperture: quello sul taglio delle pensioni sopra i 4.500 euro mensili e quello sulle cosiddette semplificazioni fiscali. Quella dei prossimi giorni sarà una corsa contro il tempo che spaventa non poco Roberto Fico e Maria Elisabetta Casellati. Oltre al Def e al decreto fiscale, da qui alla fine dell’anno sono in scadenza altri tre decreti legge importanti: quello sulle Emergenze - con al centro il caso Genova -, che scade il 27 novembre; quello sulla Sicurezza, che scade il 3 dicembre e quello sulla riforma della giustizia amministrativa, destinato, in caso di mancata conversione, a decadere il prossimo 5 dicembre.