Governo Draghi al capolinea. 5 Stelle e centrodestra hanno scelto la campagna elettorale a mani libere
Ora passa tutto nelle mani di Mattarella. Gli stessi partiti che hanno buttato giù il governo sperano in un governo tecnico fino a gennaio. La giornata più lunga e più nera della legislatura. Ecco come il Parlamento si è liberato della migliore riserva della Repubblica nel momento in cui il Paese avrebbe bisogno di avere un governo forte e stabile
Un puro calcolo elettorale ha fatto fuori, con poco rispetto, una riserva della Repubblica come Mario Draghi. Lascia l’Italia senza governo e nell’incertezza proprio quando c’è bisogno di più governo e certezze. Investe il Presidente della Repubblica della responsabilità di trovare la migliore soluzione e nel minor tempo possibile. Ma questa volta non sarà semplice né scontato. E’ la quarta volta che succede in quattro anni. E’ non è l’unico record di questa XVIII legislatura che ci aveva già abituato a colpi di coda di ogni tipo. Ma ancora nulla rispetto al cortocircuito di regole, irresponsabilità, egoismo, menzogne, tatticismo esasperato a cui abbiamo assistito ieri sulla pelle di un paese che al 70 per cento, sondaggi delle ultime settimane, giudica Mario Draghi la miglior opportunità che ci sia capitata in dote. E in dono.
Ieri sera alle 20 e 11, dopo quasi dodici ore di dibattito d’aula, il premier ottiene ancora la fiducia sulle sue comunicazioni e una risoluzione che recitava così: "L’aula del Senato, sentite le comunicazioni del Presidente del consiglio, le approva". Si contano 95 voti a favore e 38 contrari. Tecnicamente potrebbe nascere, applicando lo stesso schema oggi alla Camera, un governo di minoranza.
A favore Pd, Italia viva, centristi e transfughi azzurro
Ma la maggioranza non c'è più. Hanno votato solo Pd, Italia Viva, Insieme per il futuro e una decina di centristi. Fratelli d’Italia ho votato contro come fa dall’inizio della legislatura, una posizione di rendita che gli ha consentito di lucrare consensi sulla Lega che invece nel 2021 volle accettare la sfida Draghi. Lega e Forza Italia non hanno partecipato al voto perché le richieste di un “Draghi bis con super rimpasto e cambio di agenda” era una proposta irricevibile per “la larga alleanza fuori da ogni schema politico” con cui ha lavorato Draghi. I 5 Stelle erano presenti-non votanti, un escamotage per evitare che mancasse il numero legale. Il risultato non cambia. Draghi ha seguito lo spoglio da palazzo Chigi che di stare in quell’aula ne aveva avuto abbastanza. Ci sono stati passaggi, durante il dibattito generale, in cui il premier è stato accusato di cose da lui stesso smentite cinque minuti prima. Di non avere un’agenda sociale, ad esempio, quando aveva appena indicato il salario minimo e il taglio del cuneo a “partire dalla fasce deboli” come provvedimenti imminenti. Accusato addirittura di volere “pieni poteri” (Fratelli d’Italia) perchè ha citato e ha in parte legato la sua presenza in quell’aula al movimento popolare, dal basso, dai sindaci alla Cei passando per l’associazionismo e gli studenti, che in questi giorni gli ha chiesto di “andare avanti”. Ha dovuto ribadire che il Parlamento è “sovrano” e di non aver mai pensato “ai pieni poteri”.
Fatto fuori per puro calcolo elettorale
Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Movimento 5 Stelle: qualunque cosa avesse detto o fatto ieri Draghi, avevano già deciso che era gameover. Finita. Tutti, in un un modo o nell’altro, hanno deciso di voler avere mani libere per la campagna elettorale. Il governo Draghi sarebbe stato d’ora in poi solo un impaccio. "Tanto figurati se Mattarella ci manda a votare a ottobre con la legge di bilancio da fare" dicevano capannelli grillini mentre uscivano festosi dal Senato alle dieci di sera. "E’ già pronto l’incarico al ministro tecnico Daniele Franco, vedrete, un bel governo tecnico fino a gennaio…" rimbalzava da capannelli leghisti qualche metro più in là, in via della Dogana, indecisi “se festeggiare con una bevuta o un gelato”.
La trappola per Draghi quindi era pronta e doveva scattare. Senza ulteriore indugio. Per poterla rivendicare con tassisti, aziende edili - tanto per fare qualche esempio - partite Iva ed evasori fiscali in campagna elettorale. Per beneficiare di altri mesi di indennità parlamentare (15 mila euro al mese) senza perdere consensi per via del rigore del governo Draghi e potendo fare campagna.
Il veloce passaggio alla Camera
Stamani il premier farà il previsto passaggio alla Camera dei deputati ma sarà il tempo necessario per comunicare le dimissioni, la riunione di saluto del Consiglio dei ministri e la salita al Colle. Ieri sera, anche volendo, è stata una giornata troppo complessa e difficile per mettere in piedi, alle dieci di sera, la salita al Colle. La notte servirà a schiarire le idee e raffreddare gli animi. Ce n’è bisogno. Giorgia Meloni, festante tra un brindisi e l’altro, si era già preoccupata della non immediata salita al Colle del premier Draghi. “Non è - ha detto - che col favore delle tenebre fate qualche giochetto?”.
Forza Italia perde pezzi
Silvio Berlusconi e Forza Italia - che nel pomeriggio avrebbe rifiutato o non gli hanno passato la telefonata di Draghi per circa tre ore proprio quelle in cui è nata la mozione Calderoli avanti col Draghi bis con un nuovo governo, senza 5 Stelle e nuova agenda - intanto perdono pezzi importanti. Il ministro per gli Affari regionali Maria Stella Gelmini ha lasciato il partito. "Per un calcolo elettorale - ha detto - si getta il Paese non solo nell'instabilità, ma nella confusione e nel caos. E questa credo sia una responsabilità profonda che Forza Italia e Lega recano e della quale dovranno rispondere ai cittadini”. La senatrice Ronzulli, praticamente guardia del corpo di Berlusconi e filtro ad ogni sua uscita, le ha suggerito, in aula, urlando dal baco, di “prendere uno Xanax così da risolvere i suoi problemi”. Lascia anche il senatore Andrea Cangini. “Ognuno di noi - dice - è vittima dell'educazione che ha ricevuto, la mia rispetta le istituzioni e sa quando è il momento di mettere da parte le questioni personali per il bene del Paese" ha detto il senatore azzurro. "Oggi ho ascoltato il dibattito e non ho trovato un solo motivo per non votare la fiducia n.56 al suo governo. Del mio partito - ha aggiunto - non parlo per questioni di stile".
La “mediazione” del centrodestra
La verità è che tutte le previsioni di Draghi su una maggioranza ormai in campagna elettorale, sfibrata e non più concentrata sulle riforme necessarie al Paese si sono verificate e anche nel modo più becero e dilettantesco. "Lei non ha accettato la nostra mediazione" ha detto la capogruppo di Forza Italia Anna Maria Bernini, "le avevamo proposto un patto che lei ha rifiutato", in pratica cambiare governo e agenda, mettere fuori i 5 Stelle, occupare un paio di ministeri che i 5 Stelle avrebbero dovuto lasciare liberi (Agricoltura e Politiche giovanili), sostituire due ministri chiave come Speranza (Leu) alla Sanità e Lamorgese all'Interno, sbilanciare la maggioranza verso destra. Un Draghi bis senza i 5 Stelle, esattamente quello che il premier aveva ripetuto più e più volte di non poter accettare. Ma Mario Draghi non è Giuseppe Conte. Non è uomo per tutte le stagioni e nel febbraio 2021 aveva accettato l'incarico di Mattarella solo e soltanto alla guida di una "larga maggioranza al di fuori di ogni schema politico". Stefano Candiani, a nome della Lega (Matteo Salvini ha ritenuto di non dover pronunciare il discorso, di non metterci la faccia) è arrivato ad accusare il premier di non aver tenuto conto, nel suo discorso "delle partite Iva, dei pescatori, delle cartelle esattoriali, della flat tax", temi mai entrati nell'agenda del governo Draghi perchè temi di parte. E' arrivato, Candiani, ad accusare Draghi di "aver attaccato i tassisti" che non vogliono il decreto Concorrenza. I 5 Stelle hanno balbettato sia nell'intervento di Licheri che in quello della capogruppo Castellone, un po' offesi e un po' traditi: "Noi e le nostre battaglie non abbiano avuto la giusta considerazione. Siamo stati attaccati e umiliati. Se siamo noi il problema, leviamo il disturbo e torniamo nelle piazze dalla parte degli ultimi".
Conte ricompare alle 22
Giuseppe Conte ha seguito la giornata dagli uffici del gruppo 5 Stelle del Senato. Non s'è mai fatto vedere. Nascosto. Tranne intorno alle 17 quando tutto stava franando e allora ha accettato di incontrare Letta e Speranza. Un tentativo di salvare non tanto la giornata quanto il futuro del campolargo. E poi alle dieci di sera, per dire: “Avete visto? Avevamo ragione, ci volevano fuori dalla maggioranza, noi, i nostri temi e gli ultimi, i poveri, che sono coloro di cui il Movimento 5 Stelle si è sempre occupato”. Ha fatto un punto stampa per strada Conte. Ed è stato intensamente fischiato.
Il commosso ringraziamento di Renzi
"Noi non saremo mai nel campo largo coni 5 Stelle" ha ricordato Matteo Renzi che in aula, in un silenzio tombale, ha messo in fila tutti i motivi, di politica interna ed internazionale per cui Italia viva con orgoglio avrebbe nuovamente votato la fiducia. E poi, siccome alle 17 e 30 il destino del governo era segnato, il leader di Italia viva ha voluto ringraziare Mario Draghi per tutto quello che ha saputo fare in questi 17 mesi, dal piano vaccinazioni alle misure contro la crisi senza fare nuovo debito "fino a quella foto, Presidente, di lei con Macron e Scholz sul treno per Kiev. Un momento di grande orgoglio italiano”.
Oggi la Bce alza i tassi
Sarà il Presidente della Repubblica a decidere, ancora una volta, come usciremo da questo incubo in cui ci ha infilato l’irresponsabilità di alcuni partiti politici. Il problema nell’immediato non è la campagna elettorale. Il problema è che oggi la Bce alza i tassi fermi da undici anni; sempre la Bce oggi lancia lo scudo antispread di cui Draghi aveva a lungo parlato con Christine Lagarde. Il problema è che la trattativa per sbloccare il grano ucraino è ad un passo dalla soluzione e Draghi ne è certamente un player importante; che Bruxelles deve decidere sul tetto al prezzo del gas e adesso chi tratterà per l’Italia; che è urgente un decreto di una decina di miliardi per aiutare famiglie ed imprese. Il problema è che in questo momento l'Italia ha bisogno di avere più governo e non di stare senza governo.
Una giornale molto particolare
E' stata una giornata incredibile con continui colpi di scena e cambi di rotta. Sergio Mattarella giovedì 14 luglio aveva respinto le dimissioni di Draghi perchè non era stato sfiduciato dall'aula. Insieme - il Capo dello Stato più convinto, il premier assai meno - avevano deciso di dare cinque giorni di tempo al Parlamento per capire bene cosa fare. "Parlamentarizzare la crisi" è stata la priorità di Mattarella. In questi cinque giorni però abbiamo assistito ad un suk inqualificabile di ultimatum (quelli di Giuseppe Conte), richieste (la flat tax e il condono fiscale della Lega), ritrattazioni e provocazioni. Pura campagna elettorale con la variabile, e l'aggravante, del tentativo di voler lasciare il cerino della crisi in mano all'altro, 5 Stelle, centrodestra, centrosinistra. In questo gioco meschino, qualcuno ha provato a lasciare il cerino anche nelle mani di Draghi che da centrodestra hanno iniziato a raccontare come il capitano della nave in fuga dalle proprie responsabilità. L'unica verità è che 5 Stelle, Lega e Forza Italia sono riusciti per calcolo personale a buttare via, quasi umiliandola, la riserva della Repubblica più preziosa nella disponibilità del Paese. Da oggi inizia una campagna elettorale spietata - probabilmente si andrà a votare il 2 ottobre - mentre il Paese sta attraversando la tempesta perfetta, guerra, pandemia, inflazione, crisi speculazione.
Crisi al buio
E' stata una crisi al buio nel senso letterale del termine. Ieri mattina a palazzo Madama nessuno sapeva quello che sarebbe successo. "Ascoltiamo Draghi" è stato il tormentone ripetuto da destra, da sinistra, dal centro, da quel Movimento 5 Stelle che dopo aver avviato una settimana fa la crisi non votando il decreto Aiuti, ieri pomeriggio alle 17 quando l’aula riprende i lavori ancora non sapevano cosa avrebbero fatto. Fiducia sì, no, non partecipazione al voto. Dopo cinque giorni di assemblea permanente, insulti, minacce e ultimatum, il Movimento e il suo leader politico Giuseppe Conte sono rimasti senza parole e si sono fatti di nebbia. Irresponsabilità al cubo mescolata a tanta, troppa vigliaccheria e arroganza. L’ultimo alibi, ieri mattina, era il discorso di Draghi. “Sentiamo Draghi”, “ascoltiamo Draghi” ripetevano i vari leader. Come se non avessero già deciso. Draghi ha fatto Draghi. Ha tolto a tutti ogni alibi. Ha tenuto fede al principio ripetuto da mesi"Questo governo, nato nell'emergenza di questi anni e al di fuori di ogni schema politico, va avanti finchè governa. Se s'inceppa l'azione di governo, il governo finisce". Dalla riforma del Csm al catasto, dalle concessioni balneari alle licenze taxi in nome di quella concorrenza di cui l'Italia ha bisogno e di cui l'Europa ci chiede conto per darci i soldi del Pnrr, "tutto ha dimostrato - è stata la denuncia di Draghi - il progressivo sfarinamento della maggioranza sull'agenda di modernizzazione del Paese".
Il discorso di Draghi
Non ha risparmiato nessuno il premier. E s'è tolto parecchi sassolini dalle scarpe, situazioni subìte in questi mesi e spesso ingoiate in nome della stabilità e della continuità per mano di Lega, Forza Italia e Cinque stelle. Draghi ha attaccato chi "in politica estera ha cercato di indebolire il sostegno del governo verso l'Ucraina e di fiaccare la nostra opposizione al Presidente Putin". Chi da mesi chiede lo scostamento di bilancio, "ulteriore indebitamento proprio quando maggiore era il bisogno di attenzione alla sostenibilità del debito". Ha attaccato i 5 Stelle che "giovedì scorso ha certificato la fine del patto di fiducia che ha tenuto insieme la maggioranza, un gesto politico chiaro, impossibile ignorarlo o minimizzarlo". Chi dice di "volere la sicurezza energetica e poi protesta contro i rigassificatori e i termovalorizzatori". Chi, anche, appoggia gli scioperi dei tassisti contro una legge che vuole dare più servizi ai cittadini. Non è stato morbido ieri mattina Draghi. Non è stato ipocrita. Ha indicato tutte le riforme che voleva fare: il taglio del cuneo, il salario minimo, il reddito di cittadinanza "se funziona bene ma se non funziona non va più bene" e così il superbonus edilizio, diventato un problema perché scritto male e ora da riscrivere. Poteva essere più morbido Draghi? Addomesticare ancora una volta il messaggio
Ma centrodestra e 5 Stelle hanno risposto “No”
"Tanto se prende i voti oggi, cade tra una settimana" spiegava un sottosegretario leghista quando ancora, intorno all'ora di pranzo, il governo sembrava salvo. Nella replica - ore 17, breve e stizzita - è stato chiaro che il premier non avrebbe accettato più compromessi, giochini e cerotti. “Metto la questione di fiducia sulla risoluzione del senatore Casini” ha detto. Automaticamente il regolamento ha escluso la mozione del centrodestra di governo. “Gameover” hanno detto subito un paio di ministri. Mario Draghi ieri mattina aveva parlato chiaro ai senatori. ”All'Italia - aveva detto - non serve una fiducia di facciata, che svanisca davanti ai provvedimenti scomodi. I partiti e voi parlamentari siete pronti a ricostruire questo patto e a confermare questo sforzo?”. La risposta è stata No. Tutto il resto è, appunto, campagna elettorale.