Si fa strada l’idea di un governo Draghi anche dopo il 2023. Ma scatta l’allarme Pnrr: "Siamo in ritardo"
Il premier ringrazia ma gela gli endorsement: “Così non ce la facciamo”. Occorre stringere i bulloni della macchina arrivata solo al 30 % degli obiettivi da raggiungere nel 2021. Doveva essere almeno a metà. Solo il ministro Brunetta al 100 per cento. Criticità alle Infrastrutture

Il pensiero “stupendo” è nato un poco strisciando tra giugno e luglio quando lo stile Draghi nella gestione della squadra di governo - pragmatico e concludente - ha dimostrato che l’uscita dalla crisi sanitaria ed economica era in atto. E a portata di mano. Giovedì mattina lo ha esplicitato il presidente di Confindustria Carlo Bonomi: “Il suo incarico deve durare a lungo”. S’intende oltre la scadenza del 2023, la fine della legislatura. Altro che salita al Quirinale a febbraio. Tra applausi e standing ovation dei 1200 invitati - imprenditori e politici - quella platea ha detto da che parte stava. Il premier è stato chiamato in piedi dagli applausi. I numeri della ripresa - dal +6% di pil contro il 4,5 ipotizzato alla produzione industriale che a luglio aveva già superato il valore registrato prima della pandemia per finir con l’indice di fiducia delle imprese mai così alto dal 2005 - snocciolati dallo stesso premier nel suo intervento hanno fatto il resto.
Scenario Draghi dopo il 2023
Lo scenario Draghi oltre il 2023 non è una assoluta novità. Qualcosa serpeggia già da metà giugno. Ora è un’ipotesi sul tavolo che comincia a raccogliere consensi sparsi, non organizzati ma trasversali. Ad esempio del senatore del Pd Andrea Marcucci e del leader di Coraggio Italia e presidente della Regione Liguria Giovanni Toti.Ieri si è aggiunto un altro senatore del Pd, Dario Stefano e tanti altri, individualmente, cominciano ad immaginare una coalizione di migliori che alle prossime politiche abbia Draghi candidato premier. E’ certamente prematuro parlarne. Almeno fino alle elezioni del nuovo capo dello Stato. Di sicuro è molto più di un esercizio retorico e potrebbe andare a disturbare i piani di Lega, Fratelli d’Italia ma anche di un pezzo di Pd.
Draghi chiede alla politica di lavorare con lui
Draghi è sempre stato molto attento a non cadere nell’errore dove potrebbero spingerlo endorsement stile Bonomi: dare l’impressione di poter fare a meno di una politica che per quanto litigiosa, provinciale e inconcludente è però sempre il risultato del voto dei cittadini. E anche nell’assai applaudito intervento all’assemblea di Confindustria è stato attento a riportare subito in capo alla politica, ai partiti e al Parlamento le responsabilità del successo o dell’insuccesso del Paese di fronte alle sfide del Pnrr e del Recovery fund. E ha annunciato quello che sarebbe successo poche ore dopo nella riunione del Consiglio dei ministri: il Pnrr è i ritardo e l’erogazione dei fondi a rischio. La politica, e l’amministrazione, devono fare di più. Altro che lusinghe ed endorsement. Piedi in terra, patti chiari ed amicizia lunga.
Il primo monitoraggio sul Pnrr/solo il 30% degli obiettivi del 2021
Giovedì pomeriggio, infatti, il sottosegretario alla Presidenza, Roberto Garofoli, e il ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco, hanno svolto la prima informativa sul monitoraggio e lo stato di attuazione delle misure previste dal PNRR nel 2021. I target da raggiungere per l’anno in corso sono 51 distinti tra “riforme” ed “investimenti”. Per investimenti s’intende atti di normativa primaria e secondaria o atti amministrativi diretti a disciplinare specifici settori e da cui dipende l’utilizzabilità dei fondi. I 51 target sono divisi in 24 investimenti e 27 riforme da adottare. Ora il punto è che dei 51 target ne sono stati raggiunti 13. Un po’ pochino visto che erano sei i mesi di operatività nel 2021, ne sono passati la metà ma il lavoro fatto è pari ad appena il 30 per cento. Più nel dettaglio, relativamente agli investimenti, alla data di ieri, ne risultano definiti 5 (21% del totale) e per tutti i restanti sono state avviate le procedure di realizzazione. Per quel che riguarda le riforme, ne sono state definite 8 (30%) e per le altre 19 è in corso il procedimento di approvazione.
Una montagna da scalare
Otto riforme approvate su ventisette e cinque investimenti realizzati su ventiquattro. Sono i numeri a rendere l'idea della montagna che da qui a fine anno il governo dovrà scalare per la realizzazione di tutti gli obiettivi del Recovery plan. Per ricevere tutti i fondi europei, è imperativo rispettare i 51 obiettivi del 2021. Tredici sono veramente pochi. Draghi è stato molto chiaro: “Dobbiamo mantenere la stessa ambizione e determinazione che abbiamo avuto negli scorsi mesi”.
Il Pnrr vale 191,5 miliardi da qui al 2026, prevede 151 investimenti e 63 riforme: per ciascuno di essi sono già indicati rigidi tempi di realizzazione, che condizionano l'erogazione delle risorse. In ballo nel 2021 ci sono 13,8 miliardi oltre ai 25 miliardi arrivati a fine luglio nella casse del Mef.
Cambiare marcia
Occorre cambiare marcia. E farlo in fretta. Ecco perché nelle prossime settimane saranno convocate più cabine di regia: di settore con i ministri competenti; con gli enti locali per verificare l'avanzamento dei target da qui a fine anno primo semestre 2022. E’ necessario impostare nuovamente il lavoro di ciascun ministero e individuare, dove ci sono, ostacoli e criticità. Non solo: cinque giorni prima delle riunioni, deve essere presentato un documento articolato su tutti gli aspetti. A ciascuna amministrazione centrale o locale coinvolta nel Pnrr è richiesto di inviare “al più presto” a Palazzo Chigi e Mef un piano dettagliato con indicazione delle norme e degli atti amministrativi necessari anche per utilizzare le risorse.
Per aiutarli, si stanno valutando uno o più provvedimenti (decreti, probabilmente) in cui raccogliere tutte le norme necessarie a semplificare e accelerare. Per i casi più spinosi di stallo, poi, la cabina di regia presieduta da Draghi potrà valutare anche l'esercizio di poteri sostitutivi e nomina di commissari.
Cosa è stato fatto. Brunetta al 100%
I cinque “investimenti” finora realizzati sono per lo più funzionali all'attuazione del Pnrr. Uno è del ministero della Transizione ecologica (proroga del Superbonus), uno della Pa, uno dello Sviluppo economico, uno degli Esteri, uno della Giustizia (assunzioni nei tribunali). Mentre le riforme, ha spiegato Garofoli, sono tutte in via di realizzazione ma per ora sono state completate solo dal ministero della Pa (tre su tre). Il ministro Brunetta ieri ha portato a casa un altro obiettivo: Draghi ha firmato il Dpcm per cui dal 15 ottobre i dipendenti pubblici dovranno tornare a lavorare in presenza. A gennaio poi è previsto il primo vero contratto sullo smart working con regole, orari, obiettivi, revisione dei trattamenti economici.
Il ministero delle Infrastrutture ne ha portate a casa due su cinque e sembrano essere proprio nei grandi cantieri le maggiori criticità. Il ministero della Giustizia sta completando le sue tre (processo civile, penale e insolvenza) e anche qui il tempo è veramente poco.
Tra gli investimenti da realizzare ci sono progetti per la gestione dei rifiuti e l'economia circolare, un fondo per l'imprenditorialità femminile, un appalto per il portale del turismo digitale, un investimento sugli autobus elettrici, borse di studio per l'università, servizi alle persone vulnerabili, fondi per le imprese turistiche, un credito d'imposta per le strutture ricettive, un programma contro l'inquinamento e uno sui rischi di alluvioni e idrogeologici, l'ammodernamento del parco digitale degli ospedali. Quanto alle riforme, si va dal Cloud al pacchetto di interventi sull’università (classi di laurea, dottorati, alloggi per gli studenti), dalla spending review alle misure contro l'evasione fiscale. La prossima settimana ci sarà la delega fiscale. A ottobre arriverà la legge sulla concorrenza e le concessioni. Entrambe erano previste prima della pausa estiva. Se i partiti della larga maggioranza non avessero iniziato la campagna elettorale a suon di rivendicazioni e bandierine costringendo la macchina del governo a troppi stop.