Lo scontro in Consiglio dei ministri, l’asse con il Colle, l’operazione Svuotamento: il backstage della crisi
Draghi dimissionario ma in carica con pieni poteri. Il ministro Cingolani a Orlando: “Sei tu che fai il gioco di Conte”. Di Maio: “Quello che vediamo non è il più Movimento ma il partito padronale di Conte”. Iniziato il pressing dei partiti. Il premier osserva e ascolta. E potrebbe anche rendere irrevocabili la dimissioni. Prima di mercoledì

Che bella cosa la grammatica istituzionale. La certezza delle regole. In momenti come questi sono fondamentali, unico argine all’impazzimento totale. Partendo dalla fine - della giornata ma non certo della storia - abbiamo il Presidente del consiglio che si è dimesso non per mancanza di voti (ha avuto una fiducia di 172 voti e ne sarebbero bastati 106 vista la scarsa presenza di ieri in aula al Senato) ma per un problema politico: i 5 Stelle, la forza di maggioranza relativa del governo di unità nazionale per cui Draghi accettò l’incarico ha deciso di non condividere più l’agenda di governo. E non ha votato. Le dimissioni sono un’ovvia conseguenza. Così come è nella grammatica istituzionale che il Presidente della Repubblica, dopo un colloquio con il premier di quasi due ore ieri tra le 15 e le 17 e altri cinquanta minuti ieri sera dopo il Consiglio dei ministri, abbia chiesto a Draghi di tornare in Parlamento per una verifica. In fondo il governo è nel pieno dei suoi poteri non essendo stato sfiduciato e dal Movimento 5 Stelle razzolano da giorni grida preventive: “Ma guardate che il non voto al decreto non è la sfiducia a Draghi, anzi, noi quella la votiamo”.
Quindi Conte fa le bizze (e vedremo poi perchè “bizze"), Draghi ne prende atto e si dimette perchè certo non fa uno scostamento di bilancio perchè lo chiede Conte, Mattarella respinge e la crisi extraparlamentare torna nel suo luogo istituzionale. Dove deve stare: in Parlamento e al Quirinale e non sui social o nelle dirette Facebook convocate “col favore delle tenebre” come accadeva nel Conte 1 ai tempi della pandemia.
Tre scenari per mercoledì
Il tema ora è capire cosa accadrà mercoledì, giorno in cui sono previste le comunicazioni di Draghi e il successivo voto del Parlamento. Le regole prevedono tre scenari. Il primo: il Draghi “quasi-bis”, il premier dimissionario ma in carica ottiene un nuovo mandato anche da un pezzo importante del Movimento 5 Stelle e quindi anche dalla stessa maggioranza dell’attuale governo. Fissati alcuni punti, sarà il premier ad indicarli, il governo va avanti con il patto tra gentiluomini che finisce il tiro al bersaglio sull’esecutivo per soddisfare esigenze di consenso e sondaggi. Condizione che vale per tutti ma soprattutto 5 Stelle e Lega. Sarebbe il percorso più “semplice”.
Il secondo scenario prevede che il premier capisce, ottiene conferma proprio dal dibattito parlamentare, che l’esperienza di governo è conclusa e fa diventare le sue dimissioni “irrevocabili”. A questo punto toccherà a Mattarella prendere atto dell’impossibilità ad andare avanti e a muoversi di conseguenza. Può sciogliere subito le camere e mandare il Paese a votare a settembre. In tempo, per chi verrà, di fare la legge di bilancio. Ma anche occuparsi degli stoccaggi di gas e tutte le altre emergenze che certo non possono attendere i tempi di una crisi di governo. Ieri giravano due possibili date per il voto: 25 settembre e 2 ottobre.
Il terzo scenario prevede che mercoledì Draghi non trovi comunque le condizioni per andare avanti, conferma le dimissioni, resta in carica per gli affari correnti (quelli già impostati) e il Quirinale avvia le consultazioni. A fine luglio con 40 gradi.
Il quarto scenario
C’è poi anche un quarto scenario. Strettamente collegato al primo. Nel delirio di paradossi e contraddizioni cui ci ha abituati Giuseppe Conte si potrebbe dire dalle elezioni del nuovo Presidente della Repubblica in poi - quando non a caso Di Maio parlò di “carenza di leadership” - nelle ultime 72 ore è stato superato ogni record. Prima il problema è il termovalotizzatore a Roma poi lo diventa tutta la politica dei 17 mesi del governo Draghi. Gli interventi in aula ieri al Senato e anche la scorsa settimana alla Camera di avrò esponenti grillini sono stati nei fatti l’abiura di 17 mesi al governo. Ieri pomeriggio, poco dopo il voto, Beppe Grillo avrebbe detto che “lo strappo è giusto e necessario perchè così chiedono la base e i parlamentari”. Il condizionale in questo caso è necessario perchè Grillo non ha scritto un post ma il suo pensiero è stato veicolato dalla comunicazione 5 Stelle. Il garante aveva detto pochi giorni fa che “non si fa una crisi per un cazzo di termovalorizzatore”. Un cambio di posizione di un certo peso. Sempre ieri il sociologo De Masi, quello che a fine giugno disse che Grillo gli aveva confidato che “Draghi gli aveva chiesto di far fuori Conte” - giusto per dire a quale livello di cialtroneria siamo arrivati - l’ha messa giù per quello che è. Intervistato nella non stop di Rete 4 ha spiegato che l’astensione dal voto è motivata dal fatto che “Conte e Di Battista possono gestire un consenso tra il 12 e il 15%. Craxi ha governato l’Italia con molto meno”. Il top del paradosso sono stati ministri, viceministri e sottosegretari: non votano il decreto del loro stesso governo e però restano al loro posto. Di più: Patuanelli, che è il capo delegazione politica, il giorno prima ha fato un’informativa al Senato sulla siccità come se dovesse restare ministro per un anno. Federico D’Incà ieri ha messo la fiducia “a nome del governo” che però lui non ha votato. Come ha detto il learder di Italia viva Matteo Renzi: “Caro Giuseppe Conte, almeno quando si fa una crisi di governo bisogna essere coerenti e quindi si fanno dimettere ministri e sottosegretari”. I quali non ne hanno alcuna intenzione e ieri pomeriggio sono andati al consiglio dei ministri alle 18 e 15 dove Draghi avrebbe spiegato le sue intenzioni.
Quello che è evidente a questo punto è che il Movimento 5 Stelle vuole andare all’opposizione da tempo. Le reali intenzioni di Conte e degli stellati sono andare all’opposizione, strappare, andare a votare ma anche continuare la legislatura potendo però sparare ogni giorno addosso al governo. Assai preferibile potendo contare per ancora qualche mese su indennità mensili che si aggirano sui 14 mila euro.
Luigi di Maio, che tre settimane fa ha saluto con il suo gruppo la fu casa madre, lo ripete da tempo e lo ha fatto anche ieri mattina: “Conte ha sempre panificato il logoramento del governo Draghi. Da sempre ha in mente solo di portare il Movimento all’opposizione per ritentare poi la scalata a palazzo Chigi”. Un altro nome importante di Insieme per il Futuro ieri alla camera ricordava di come “Conte, nel dicembre scorso, ai tempi della legge di bilancio, ci diceva che dovevamo presentare 2500 emendamenti per far ballare Draghi…”.
“Non è più il Movimento ma il partito di Conte”
In questa ammucchiata di progetti, intenzioni e paradossi, è stato anche detto e spiegato più volte che “il voto al decreto Aiuti non è un voto contro il governo Draghi a cui noi, se ci venisse chiesto, andremmo a rinnovare la fiducia”. La capogruppo Castellone, ma anche sottosegretari come Sibilia, sono pronti a votare la fiducia a Draghi. Ecco che mercoledì, ma anche prima, ci potrebbe essere un travaso di voti dal Movimento al gruppo di Di Maio Insieme per il futuro. Già ieri ci sono stati due nuovi arrivi. Se la situazione si radicalizza, anche i ministri potrebbero lasciare. O altri nomi di peso come Buffagni e Dieni. Se Conte darà l’ordine di votare contro anche mercoledì, comincerà “l’operazione Svuotamento dei gruppi parlamentari”. Di Maio lo chiama il “partito di Conte, un partito padronale, il Movimento è stato sempre un’altra cosa”. E Conte e i suoi spin Doctor alla De Masi e Travaglio, si sono spinti troppo oltre per tornare a votare la fiducia a Draghi. E’ vero che abbiamo visto di tutto e nulla può meravigliare ma ci deve essere un limite per rispetto, decenza e dignità. Spiega un parlamentare di area grillina: “Si cerca di far diventare il Movimento il contenitore di fondamentalisti spacca-palazzi alla Di Battista e rancorosi alla Conte. Farlo diventare appunto il partito di Conte. Il Movimento nei fatti, al di là della questione nominale, resterebbe con Draghi”. Che, a questo punto non dovrebbe più neppure rimangiarsi quel “mai un Draghi bis senza i 5 Stelle” pronunciato anche martedì in conferenza stampa. Un ‘operazione di cui il Quirinale avrebbe assoluta contezza.
Asse Mattarella-Draghi
Tra i boatos di giornata - e ci sta visto l’ottovolante continuato - sono girate un sacco di bugie. Casuali? Telecomandate? Comunque rimbalzate ai giornalisti da fonti vicine a palazzo Chigi. Secondo la prima voce le dimissioni che Draghi ha comunicato nel Consiglio dei ministri erano “irrevocabili”. Un falso pericoloso. Irrevocabili avrebbe voluto dire consultazioni o direttamente scioglimento delle Camere. Fine per sempre del governo Draghi, insomma. Così come un falso pericoloso è stato aver messo in giro la voce che tra “Draghi e Mattarella c’è stata una forte tensione”. Anche questa una voce pericolosa oltre che quasi destabilizzante. Il Quirinale ha dovuto fare una nota in serata per smentirla. La verità è che tutta questa fase è stata pianificata e concordata da entrambi, con più o meno ottimismo, ma da entrambi. Fin da lunedì di questa settimana quando il pemier è salito al Quirinale una prima volta per concordare tempi e modi della risposta che Conte pretendeva a minuti. Risposta che poi è arrivata il giorno dopo in conferenza stampa. Draghi e Mattarella stanno quindi gestendo insieme questa fase. “Trattandosi di una crisi extraparlamentare - spiegava ieri il professor Ceccanti, costituzionalista e deputato del Pd - sia pure originata da un voto parlamentare, il Presidente della Repubblica ha scelto di parlamentarizzare la crisi. La decisione è indubbiamente la più adeguata per due ragioni: porta ciascuno ad assumere le proprie responsabilità in Parlamento, in modo trasparente e in contraddittorio; si basa su un’ipotesi realistica di ricomposizione del rapporto fiduciario per la quale tutta la maggioranza dovrebbe attivamente lavorare. Le ragioni che hanno motivato la nascita dell’attuale esecutivo sono ancora tutte pienamente valide”. Pd, Italia Viva, centristi, Insieme per il futuro, Leu e anche Forza Italia e un buon pezzo di Lega sono certamente al lavoro per questo già in queste ore.
Il Consiglio dei ministri a mercati chiusi
Il Consiglio dei ministri era stato convocato alle 15.30, subito dopo il voto di fiducia. Che, è sempre beve ricordare, è stata confermata, in modo ampio, da entrambi i rami del Parlamento. A quell’ora però Draghi ha preferito alle al Colle per quasi un’ora confronto. Alle 6 Draghi è tornato a palazzo Chigi e ha deciso cosa fare. Il Cdm è stato convocato alle 18.15. A mercati chiusi. E questo già lasciava intendere che non sarebbero state notizie tranquillizzanti. Il Presidente del Consiglio parla a braccio ma ha anche una traccia scritta. Nonostante “il massimo impegno” messo in atto “per proseguire nel cammino comune, anche cercando di venire incontro alle esigenze che mi sono state avanzate dalle forze politiche - sottolinea - questo sforzo non è stato sufficiente”. Ricorda che l'esecutivo è nato e sarebbe andato avanti “soltanto se ci fosse stata la chiara prospettiva di poter realizzare il programma di governo”, andando avanti “con compattezza”. Adesso, dice chiaro, "queste condizioni oggi non ci sono più". Draghi quindi si dice orgoglioso dei risultati raggiunti e ringrazia i ministri per il lavoro fatto insieme. Poi anticipa che mercoledì sarà fatto un passaggio alle Camere e si rimette seduto.
Lo scontro in Cdm
Nella sala del Governo scatta l’applauso. Poi, nel silenzio che viene dopo è il ministro del Lavoro Andrea Orlando che prova subito ad aprire una breccia. Il capodelegazione dem chiede al premier di “valutare, previa la debita chiarezza con le forze politiche, se ci sono le condizioni per un ripensamento”. Roberto Cingolani ministro della Transizione ecologica lo interrompe, quasi a muso duro: “Non è il caso di giocare di fioretto” specie “di fronte alla preoccupazione sulle scorte di gas per l’inverno" e alla situazione internazionale. “Proprio per questo motivo è meglio che rimanga presidente in carica invece che un salto nel buio…” prova a ricomporre la situazione Orlando. Ma Cingolani non ci sta. Gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo, dice un simpatico e antico detto. A quel punto Cingolani accusa Orlando di aver in realtà “contribuito” a determinare la crisi facendo il “gioco di Conte”. E non c’è dubbio che Orlando, a cui la parte più ragionevole del Movimento rimprovera di “fare melina da mesi sul salario minimo” su cui Draghi ha invece accelerato proprio all’inizio della settimana, sia quella parte del Pd che diceva “o Conte o morte”, che vuol andare a votare per mettere insieme un nuovo soggetto di sinistra che tenga insieme Pd e 5 Stelle.
Non era certo la giornata ieri di far scoppiare un tale bubbone. Succederà oggi, al massimo domani. Sempre Letta riesca a tenere la barra dritta, avanti con Draghi rompere con i 5 Stelle. Per sempre. Un partner assai poco affidabile.
Partiti in pressing, Draghi in ascolto, strada stretta
Dopo il Cdm è partito immediato il pressing dei partiti, Pd in testa. “Ora ci sono cinque giorni per lavorare affinché il Parlamento confermi la fiducia al Governo Draghi” ha scritto su twitter Enrico Letta. “Mercoledì sarà la giornata decisiva, non oggi. In Parlamento, alla luce del sole, tutte le forze politiche dovranno dire agli italiani cosa intendono fare” fa eco Dario Franceschini. “Draghi ha fatto bene, rispettando le Istituzioni: non si fa finta di nulla dopo il voto di oggi - commenta Matteo Renzi - Noi lavoriamo per un Draghi-Bis da qui ai prossimi mesi per finire il lavoro su PNRR, legge di Bilancio e situazione ucraina”. E se la Lega resta alla finestra e FdI chiede elezioni subito perché “la legislatura è finita”, anche FI spera ancora in un Draghi bis: "Nessuno, in Europa e nel mondo, capirebbe un'Italia che manda a casa una delle premiership più stimate e credibili dell'Occidente come quella di Mario Draghi” sintetizza Mara Carfagna.
Il crollo della Borsa di Milano ieri lo ha dimostrato. Vedremo oggi lo spread. Lunedì e martedì Draghi sarà in Algeria con mezzo governo per chiudere importanti contratti per il gas e altre partnership commerciali. E’ un viaggio fissato da tempo e strategico per l’Italia tanto quanto quello ad Ankara. Il premier ama parlare con i fatti e il fatto in questo momento sono le dimissioni. “Nei prossimi giorni - filtra da palazzo Chigi - il presidente guarderà a cosa succederà sui mercati e al dibattito che si svilupperà tra i partiti”. Non è escluso che in caso di qualche intervento particolarmente irritante, strumentale, bugiardo e comunque definitivo rispetto all’unità dell’azione di governo (cose del tipo: “Scostamento di bilancio o morte”), possa anticipare un eventuale voto tornando al Colle per rimettere, una volta per tutte, il suo mandato.