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Il giorno della verità su numeri e crescita. Tutte le incognite. Il rischio della procedura Ue

Domani il Consiglio dei ministri vara il Def. Il governo parla di +1 di crescita. Tutti gli osservatori internazionali ci fermano allo 0,5. L’eccesso di debito. Oggi anche i conti finali sui bonus edilizi. La premier ha già messo le mani avanti: “Per colpa del 110% non so se riuscirò a mantenere il taglio del cuneo fiscale”. Ma non sarà solo colpa dei bonus. E Giorgetti prova a tacere dei numeri.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Il ministro dell'Economia, Giorgetti, e la premier Meloni (Ansa)
Il ministro dell'Economia, Giorgetti, e la premier Meloni (Ansa)

Domani è un po’ il giorno della verità per tante cose dette e promesse. Sul boom dell’economia italiana, ad esempio, sui dati di crescita col segno +, sul fatto che siamo i più bravi in Europa. La verità rispetto a quanto con orgoglio ripete Giorgia Meloni: “L’economia nazionale va bene”,  il merito è delle imprese, “perché la ricchezza non la crea lo Stato. Ecco perché noi non paghiamo le persone per non lavorare ma incentiviamo le assunzioni e le persone a lavorare”. Questo governo è “stabile” e questo “porta ricchezza”. Strali e offese su chi dice il contrario. Vergogna su chi ancora si presta a diffondere bugie come quella sul Servizio sanitario nazionale: “Il governo ha messo undici miliardi in più, altro che storie”. I disservizi, cioè le code di mesi per un esame, la mancanza di medici e infermieri - assessori regionali alla Sanità come Bertolaso costretti an andare all’estero per reclutare mano d’opera per gli ospedali - “sono colpa delle gestioni precedenti”.

E però, la premier, comincia anche a mettere le mani avanti: “Io vorrei - ha detto poche sere fa ospite da Vespa - mantenere anche nel 2025 il taglio del cuneo fiscale ma con la zavorra di 200 miliardi di bonus edilizi, che costano 135 euro a persona neonati compresi, non sarà facile”. Non l’aveva mai detto. Ora invece si inizia a dire che nella prossima legge di bilancio potrebbero non esserci i soldi per confermare le misure - poche ma buone - introdotte nella scorsa legge di bilancio a cominciare dal taglio del cuneo fiscale per redditi fino a 35mila euro e la riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre. La colpa è tutta del Superbonus, ovviamente.

Domani il Def in Consigli dei ministri

Domani è il giorno della verità perché il Consiglio dei ministri approva il Documento di economia e finanza, il quadro della finanza pubblica 2024-2025. Si comincia cioè a tracciare le basi della prossima legge di bilancio.

Dalle riunioni al Mef infatti emerge però un quadro di finanza pubblica affatto roseo. Il ministro Giorgetti mercoledì scorso in audizione ha giustificato “un po’ di suspence”. Chi era presente nella sala del Mappamondo ha descritto un ministro “preoccupato”, persino “imbarazzato” dal quadro di finanza pubblica che il governo dovrà gestire nelle prossime settimane e mesi. Quando le narrazioni propagandistiche andranno a fare i conti con le casse vuote per cui il governo dovrà tagliare le spese oppure aumentare le tasse. Giusto per dare qualche coordinata: il debito pubblico sfonderà a giugno quota 2900 miliardi; se il pil 2023 è arrivato allo 0,9% (lo 0,6 in meno rispetto alle stime della passata primavera) sappiamo che il rapporto deficit-Pil si è attestato al 7,2% mentre le previsioni in ottobre (Nadef) lo avevano fissato al 5,3% del pil. In termini assoluti sono tanti miliardi in meno. La buona notizia arriva dal debito pubblico: nel 2023 è sceso al 137,3% del pil dal 140,5% del 2022. Adesso sta risalendo grazie anche alle vendite dei titoli di stato: siamo affidabili e però sempre debito facciamo. Sul Def che verrà il ministro Giorgetti se l’è cavata dicendo che “sarà un Documento leggero e con numeri interessanti”. Indiscrezioni fissano il pil a +1 (gli organismi europei sono tra lo 0,5% e lo 0,6%, ci sono almeno dieci miliardi di differenza)  e il deficit che si fermerà al 4,5%.

Manovra correttiva?

Numeri che tracciano un quadro di luci e ombre. Su cui gravano però una lunga serie di non-detti il cui risultato sembra già scritto: una manovra correttiva subito dopo le Europee oppure qualche sorpresa (tagli o nuove tasse) in autunno quando il governo dovrà trovare come minimo 35 miliardi (solo per mantenere le misure di quest’anno su Irpef, famiglie e taglio del cuneo) per scrivere la prossima legge di bilancio e relativa manovra.

I non-detti, dunque. Il primo e più importante ha a che fare con le nuove regole del Patto di stabilità: Giorgetti ha spiegato le difficoltà legate alle nuove regole non ancora del tutto definite. Ha dimenticato però di specificare che la loro “definizione” si traduce in una differenza di miliardi. Lo scenario è ben rappresentato nella relazione scritta e può essere così sintetizzato: i paesi con molto debito, più di tutti l’Italia, dovranno rientrare in quattro o in sette anni? La differenza sono, appunto, miliardi.

Non è chiaro neppure se questa regola sarà definita dalla Commissione uscente – ma in carica fino a dicembre 2024 – o da quella entrante. Questa incertezza potrebbe darci un anno di tempo in più. Dal 2025 comunque non cui saranno più alibi.

Le nuove regole del Patto di stabilità, sottoscritte a fine dicembre 2023, prevedono anche un cambio del modello amministrativo. Prevedono cioè che tutti i centri di spesa dello Stato, e quindi anche Regioni e comuni oltre a quelli centrali, siano in grado di fornire a fine la lista aggiornata e corretta di entrate ed uscite. Un nuovo sistema di rendicontazione fiscale per cui servono importanti modifiche e riforme alla nostra macchina amministrativa e pubblica. Saremo in grado? Pare che Francia e Germania lo facciano già. Giorgetti ha ripetuto più volte di “confidare nella ragionevolezza della vecchia e della nuova Commissione”. La nostra finanza pubblica è appesa a come saranno interpretate e applicate le nuove regole.

Le incognite non sono mai buone notizie. Il governo reagisce come può: rinvia le decisioni e fa un po’ il gioco delle tre carte. Come sul Superbonus edilizio 110%. Il 4 aprile è stato finalmente chiuso il contatore 2023. Oggi l’Agenzia delle Entrate fornirà al Mef il consuntivo delle ultime comunicazioni sugli sconti in fattura e le cessioni dei crediti dei bonus edilizi per le spese del 2023 e per le rate residue non fruite delle detrazioni riferite alle spese del 2020, 2021 e 2022. Tutto questo consentirà - finalmente - ai tecnici di via XX settembre di ricalcolare l’impatto dei bonus sui conti pubblici. Sul deficit, ma ancora di più sul debito.

Gli ultimi conteggi sui tutti i bonus parlano di oltre 210 miliardi. Cifre mostruose che non è stato neppure possibile preventivare (da qui la proposta di Giorgetti “stop al credito d’imposta”) perché le regole non lo consentivano. Si cerca, per questo, di scaricare tutto sul capo della Ragioneria Biagio Mazzotta, sui tecnici. Ma sono stati i politici, da quando Draghi e Franco dettero l’allarme (“misura criminogena e fuori controllo”) che non hanno saputo fermare la droga del Superbonus. A giugno Eurostat dirà al Mef se contabilizzare i crediti tutti nell’anno di sostentamento della spesa (come è stato fatto nel 2023) o se sarà possibile spalmarli su più anni. Anche in questo caso balla una differenza di diversi miliardi per il quadro di finanza pubblica.

Il rischio della reticenza

I non-detti corrispondono ad altrettante incognite. E quando si parla di numeri, non sono mai un buon presupposto.

Che fare allora? Rinviare e tacere, ad esempio.

Nella Nadef di ottobre 2023 l’indebitamento netto del 2024 era fissato al 4,3% del Pil e il debito al 140,1%. Il governo sarebbe propenso a mantenersi il più possibile in linea con quelle stime e, se così fosse, presenterebbe nel Def solo il quadro tendenziale. Per il 2024 l’asticella del debito ondeggia infatti ancora intorno al 140% del Pil. Se però, una volta conosciuto il peso reale sull'erario delle detrazioni edilizie, i numeri dovessero distanziarsi molto da quelli di settembre, al tendenziale potrebbe aggiungersi anche il quadro programmatico. Giorgetti punta al documento “snello e innovativo”. Cioè con pochissimi numeri? Per tacere del fatto che i soldi son pochi? Eppure lo stesso ministro ha annunciato che l’Italia, con altri paesi Ue, saranno sottoposti alle procedura d’infrazione per debito eccessivo.  

“La politica dello struzzo”

L’eurodeputata del Pd Irene Tinagli , presidente della commissione per i problemi economici e monetari a Bruxelles, ieri ha lanciato su questo un avviso ai naviganti.

Se davvero il Governo non pubblicherà nel DEF le indicazioni programmatiche saremmo di fronte ad una grave mancanza. Sappiamo che l’Italia entrerà in procedura per deficit eccessivo ed è urgente sapere con quali politiche economiche e di bilancio vuole affrontare questa situazione. Quali altri tagli ci saranno? Come intendono affrontare la crisi del sistema sanitario? Come confermeranno l’alleggerimento delle tasse per le fasce più deboli? Come potremo sostenere gli investimenti? Non rispondere a queste domande per mesi lascerebbe tutti nell’incertezza: i cittadini, gli investitori, le istituzioni europee e internazionali”.  La strategia dello struzzo. Ma evitare di parlare dei problemi e dei tagli a spese e investimenti può servire alla maggioranza di governo a scavallare le europee, ma danneggia il Paese. “Onestà vorrebbe - ha aggiunto Tinagli - dire la verità agli italiani e mettere in campo strategie e politiche economiche e industriali chiare e degne di un grande Paese come il nostro”.

La protesta delle regioni

La sensazione è che col passare del tempo il sistema si ribelli e imploda dall’interno. Le Regioni, ad esempio, non ci stanno a farsi tagliare fondi come invece previsto dal nuovo Pnrr del ministro Fitto. Dicono no al taglio di 1,2 miliardi  sulla realizzazione del programma “Verso un ospedale sicuro e sostenibile” finanziato dal Piano Nazionale Complementare (parallelo al Pnrr, con le stesse regole ma con fondi nazionali). Le Regioni sono pronte a rivolgersi alla Corte Costituzionale ha minacciato il presidente della Conferenza delle regioni Massimiliano Fedriga. Che è della Lega. Sta n Friuli. Non è campano e  non si chiama Vincenzo De Luca. 

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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