Il gioco del Colle ha stufato gli addetti ai lavori ma non gli italiani, che si sono appassionati
Persino al bar o al ristorante, gli italiani parlano del tema Quirinale come mai prima d’ora. Andrà Draghi? E se sì chi va a palazzo Chigi? Berlusconi ce la può fare davvero?
La cosa più ‘divertente’ (si fa per dire) di un ‘Gioco del Colle’ che si è aperto fin troppo presto, questa volta, è che l’argomento è venuto a saturazione – troppi candidati, troppa incertezza, troppo complicato il gioco a incastro dei Poteri - agli addetti ai lavori (politici, giornalisti, funzionari dei Palazzi, gente che conta o lo crede) ma non agli italiani, nel senso comuni cittadini. I quali, anzi, si stanno appassionando alla ‘gara del Colle’ come se non ci fosse un domani. Forse perché più incerta di una gara eliminatoria a Sanremo (che, peraltro, si aprirà subito dopo l’elezione del nuovo Capo dello Stato, a febbraio) o meno scontata dell’attuale campionato di calcio (Inter in testa e già oggi non ce n’è per nessuno).
Certo è che, persino al bar o al ristorante, gli italiani parlano del tema Quirinale come mai prima d’ora. Andrà Draghi? E se sì chi va a palazzo Chigi? Berlusconi ce la può fare davvero? Sicuri che Mattarella non ci ripensi? – sono queste le domande più gettonate, a cena, anche in ambienti popolari, non solo borghesi. L’Adnkronos ha dunque pensato bene di interrogare gli italiani sulle loro preferenze, in merito al Quirinale, nonostante si tratti di elezione ‘indiretta’ e non, come alle Politiche, di elezione ‘diretta’ (il popolo, ergo, non vota…).
Se votassero gli italiani, voterebbero Draghi. Le opinioni dei sondaggisti Piepoli e Ghisleri
Sul Colle più alto gli italiani vorrebbero ‘il migliore’ e, cioè, ovviamente, Mario Draghi, che da quando ha preso posto al centro della politica italiana, è subito sembrato il predestinato per succedere a Sergio Mattarella. Sondaggi e pancia del paese sono d'accordo sul suo nome come prossimo capo dello Stato. Sino a pochi giorni fa una ricerca targata Quorum/YouTrend dava Draghi largamente in cima tra le personalità che potrebbero ricoprire questo ruolo. Per il 17% degli italiani il nome migliore per il Colle sarebbe quello dell'attuale premier, seguito, però, non troppo da lontano, da Silvio Berlusconi al 10% e da due donne, Emma Bonino e Marta Cartabia, rispettivamente all'8% e al 5%. Inoltre, da mesi, il passaggio dell'ex numero uno della Bce al Quirinale sembrava scontato, per i cittadini italici.
Ma il colpo di coda della pandemia, l'incertezza politica, rimescolano oggi un po’ le carte, con l'opinione pubblica che si interroga se è più conveniente avere una figura così stimata (anche in Ue) ancora alla guida del governo. La riflessione è aperta più che mai. Non ha dubbi, però, Nicola Piepoli: su Draghi al Colle “le intenzioni degli italiani paiono chiare”, è la sintesi del sondaggista, presidente dell'Istituto di rilevazioni Piepoli. “Sì, gli italiani lo vogliono al Quirinale, circa un terzo dei nostri connazionali lo vuole lì, è il più gettonato, gli altri sono dispersi, non ci sono competitors, l'unico vero competitor sarebbe Mattarella”. “Di sicuro al Colle lo applaudirebbero - spiega Piepoli - . La nostra società è una società malata, gradisce il medico, anche se è una terapia fastidiosa, pur di non impazzire di paura. Ma l'atmosfera attuale è favorevole al potere, a chi oggi ci guida, ci riesce a far sopportare l'insopportabile, come diceva Hiroito nel 1945” (paragone non proprio felice, Hiroito fu quello che portò il Giappone in guerra).
Tornando a Draghi e a Mattarella, Piepoli ricorda che sono a percentuali molto alte di consenso: “Oltre il sessanta per cento entrambi, numeri davvero importanti”. Insomma, due ‘plebisciti’, uno per chi se ne sta andando (Mattarella) e uno per chi potrebbe arrivare al posto suo (Draghi).
La sondaggista Alessandra Ghisleri, a capo di Euromedia research, invece la pensa così: “Oggi il 60% degli italiani vorrebbe che Mario Draghi restasse a palazzo Chigi, perché lo riconoscono autorevole, vedono in lui il garante del debito nazionale, apprezzano i suoi rapporti internazionali, è colui che porta avanti il Pnrr”. Ma c'è un però: “Va tenuto pure presente - dice ancora l'esperta di flussi elettorali e di previsioni di voto, forse la più brava oggi su piazza, in Italia - che questo governo ha una scadenza naturale, quella di legislatura, che copre un altro anno, mentre se si volesse fare una riflessione legata anche alla tutela di Draghi, al patrimonio che rappresenta e alla volontà di preservare il suo campo d'azione, allora l'approdo al Colle darebbe, in questo senso, maggiori garanzie. Si tratterebbe di fare un discorso di lungo termine, che guardi anche alle prossime scadenze e che abbia un respiro più ampio", l'invito di Ghisleri.
Dal campo dei sondaggisti interviene anche Renato Mannheimer: "Gli italiani – sottolinea - sono preoccupati dal fatto che se Draghi andasse a fare il presidente della Repubblica non sarebbe più lui, di cui si fidano, a spendere i soldi che arrivano dall'Europa. Gli italiani fanno un discorso molto concreto, poi certo sarà Draghi a dover decidere cosa vuole fare. I nostri connazionali hanno una enorme stima - dice l'esperto - dell'ex capo della Bce, e soprattutto hanno più stima di lui che del governo stesso, cioè lui ha un suo indice di popolarità molto alto, tra il 50 e 60 per cento”, ricorda. Nel paese ora "sembra prevalere la convinzione che Draghi sia più utile se resterà alla guida del governo”.
Il problema è che non votano gli italiani, il Capo dello Stato, ma – esattamente come è stato per i precedenti 12 – i 1009 Grandi elettori. Trattasi, appunto, di elezione indiretta, non diretta, altrimenti saremmo dentro una Repubblica presidenziale (o semi) e così non è.
Chi vota il Capo dello Stato e le posizioni dei principali partiti e gruppi politici in campo
E allora vediamo come si svolgerà l’elezione. La data di prima convocazione per l’elezione del Capo dello Stato sarà tra il 19 (data di minima) e il 24 gennaio (data di massima) per riunire i 1009 Grandi elettori e dare luogo al primo scrutinio. La lettera di convocazione spetta al presidente della Camera, Roberto Fico, che la spedirà il 6 gennaio, o forse pure prima, il 4 gennaio, ancora non si sa. La platea che eleggerà il nuovo Capo dello Stato è composta da 1009 Grandi elettori (630 deputati, 315 senatori elettivi, 6 senatori a vita, 58 delegati regionali). In realtà, vi sono due seggi vacanti (uno alla Camera, il collegio uninominale di Roma 1, causa la decadenza del deputato Gualtieri, diventato sindaco di Roma) e uno al Senato, il collegio dell’eletto all’Estero Adriano Cario, che è stato decretato decaduto dall’Aula), ma saranno riempiti in tempo utile per il primo scrutinio. I Grandi elettori, dunque, non saranno 1007 o 1008, come scrivono i giornali, ma 1009. La maggioranza di due terzi, obbligatoria ai primi tre scrutini, è di 674 voti mentre la maggioranza assoluta, dal IV scrutinio in poi, è di 506 voti. Ma quali sono le posizioni dei vari gruppi e partiti?
CENTROSINISTRA giallorosso (PD-M5S-LEU)
Escluso, in modo categorico, il bis di Mattarella, che era la prima scelta, il fronte dei ‘giallorossi’ si muoverà compatto e unito, almeno così dicono i loro leader (Enrico Letta e Giuseppe Conte). Se, al tavolo con gli altri partner della maggioranza di governo, verrà fatto e prenderà quota il nome di Mario Draghi, i giallorossi lo sosterranno ma se la convenienza di tutti i partiti, loro compresi, sarà di lasciarlo dov’è, cioè a palazzo Chigi, come pure chiedono Conte e Letta, è probabile che Pd-M5s-LeU votino un candidato di bandiera, nei primi tre scrutini: potrebbe avere il volto degli ‘europei’ Paolo Gentiloni (Pd) o David Sassoli (Pd) o di Rosy Bindi (ex Pd, più gradita al M5s). Dal IV scrutinio in poi, pur di ostacolare la possibile ascesa di Berlusconi al Colle, che Letta e Conte vedono come il ‘male assoluto’, i giallorossi potrebbero avanzare un nome ‘neutro’ (Cartabia o Cassese) o convergere su un centrista (Casini). Compresi i delegati regionali ed esclusi i centristi, il fronte giallorosso parte da un pacchetto di voti che non supera i 414 Grandi elettori, un numero che potrebbe toccare i 461 Grandi elettori solo se comprendesse pure i centristi (Iv-Az∓Europa), obiettivo ad oggi impossibile, ma che potrebbe stabilizzarsi a 434 voti con alcuni gruppi minori (Maie-eletti all’estero-Psi-ex M5s di sinistra). E’ la prima volta, cioè, che il Pd non ha il boccino in mano, da quando esiste la Seconda Repubblica. Il Pd teme molto la ‘tenuta’ dei gruppi pentastellati che potrebbero smottare verso opzioni non gradite, cioè nomi del centrodestra, oppure essere falcidiati dai ‘franchi tiratori’.
CENTRODESTRA sovranista (LEGA E FDI).
Il centrodestra ha una grande occasione, davanti a sé. Forte, contando anche FI e i gruppi minori, oltre ai delegati regionali, di 451 Grandi elettori, per la prima volta potrebbe scegliersi, grazie all’apporto dei centristi e del gruppo Misto, un presidente della Repubblica ‘made’ a destra. Infatti, con i voti dei centristi, anche solo quelli di Iv (42), arriverebbe a contare 493 Grandi elettori. Ma non tutto è così semplice. Meloni vuole spedire Draghi al Quirinale per ottenere, in cambio, elezioni politiche anticipate, ma è la sola. Salvini vorrebbe lasciare Draghi dov’è, a completare l’azione di governo, come ripete oggi. Silvio Berlusconi, come vedremo, gioca per sé, ma sia Salvini che, soprattutto, Meloni, sono assai scettici sulle sue reali possibilità di potercela fare. Salvini ha iniziato un giro di consultazioni informali tra i leader dei principali partiti e promette di convocare un ‘tavolo’, per decidere insieme, il nuovo Capo dello Stato, tra Natale e Capodanno. La Meloni ha indicato un profilo (il presidente “patriota”) ma insiste solo su Draghi. Non potendo contare sulla sintonia coi giallorossi e diffidando dei franchi tiratori, Meloni e Salvini, specie quest’ultimo, puntano ai voti di Renzi e Iv, oltre che di altri centristi sparsi, per imporre un nome di centrodestra che però non sia Berlusconi. Tra i papabili, ci sono Letizia Moratti, Marcello Pera, Casini, la presidente del Senato Casellati.
CENTRODESTRA liberale (FORZA ITALIA)
Silvio Berlusconi è caricato a pallettoni. Se mai uscirà il nome di Draghi, e alla prima votazione, si tirerà indietro e farà convergere FI su di lui, ma se Draghi restasse dov’è si sente già in partita. Ha chiesto a Lega e FdI di non votarlo nei primi tre scrutini, cioè come puro candidato ‘di bandiera’, ma di votare scheda bianca, per poi iniziarlo a votare dal IV scrutinio in poi, quando pensa di avere già in tasca l’accordo con i centristi (48 in tutto, di sicuro i 42 di Iv) e pezzi del gruppo Misto (101 in tutto, 45 non iscritti a nessuna componente), senza dire che non solo tra gli ex pentastellati ma persino dentro i gruppi ufficiali del M5s già miete consensi, almeno una decina. A spanne, l’obiettivo dei 505 voti è alla portata. Se sarà così, il suo sogno potrebbe realizzarsi, ma il Cavaliere teme i franchi tiratori nel centrodestra e ha già ‘minacciato’ Lega e FdI di ritorsioni, come pure i suoi che già sa non saranno compatti. Se non dovesse farcela, Berlusconi è pronto a convogliare i suoi voti su un nome di ‘garanzia’, magari anche espresso dal centrosinistra, solo non ‘di partito’ (Cartabia, Casini o Cassese). Il sogno di diventare ‘Presidente di tutti gli italiani’ è a un passo e sta facendo di tutto per realizzarlo.
CENTRISTI (IV-AZ- +EU, cui potrebbe aggiungersi anche CORAGGIO ITALIA)
Mai come stavolta, i centristi rappresentano davvero, insieme alle – insondabili – truppe del gruppo Misto (101 parlamentari di tutti i partiti da cui, nel corso di questi anni, sono usciti), l’ago della bilancia di queste elezioni presidenziali. Sommando i voti di Italia Viva (Renzi), Azione (Calenda), +Europa (Bonino) si tratta di appena 48 parlamentari ma se, con loro, facessero ‘minoranza di blocco’ anche i 29 parlamentari, eletti con il centrodestra, di Coraggio Italia (Toti-Brugnaro), si arriva a 79 parlamentari, cioè una ottantina buona. E anche se qualcuno di loro potrebbe, nel segreto dell’urna, unirsi a Pd-M5s o Lega-FdI, si tratta pur sempre di un buon numero. Soprattutto Matteo Renzi si sente al centro della scena e vuole risultare decisivo nella scelta del Capo dello Stato, forte dei suoi 42 parlamentari. C’è chi dice che stia lavorando solo per Casini, chi che sia pronto a lanciare il ‘vero’ candidato di Salvini (Pera), o che abbia già in tasca l’accordo con Berlusconi. Di certo, non convergerà col Pd e, tantomeno, con i 5S di Conte. Diverso il caso di una (auto?) candidatura di Draghi. Dovrebbe votarlo e il suo potere di interdizione svanirebbe. Di certo sta per dare vita, insieme a Toti e ai suoi, a un ‘gruppone’ centrista ancora più folto di oggi che potrebbe risultare, nel voto, quello decisivo.