Gentiloni "er moviola" è il più amato dagli italiani nel Governo dei solisti in cerca di gloria
Alfano insegue Minniti, gli avvisi di Orlando e Franceschini, la rabbia di Lotti e la marcia di Calenda: solisti contro nella squadra del premier. Che si fa forte delle contrapposizioni

Il ministro Alfano insegue il ministro Minniti sul nodo immigrazione, organizza vertici con i leader libici e scrive editoriali al Financial Time dal titolo: “A fresh approach to tackling Europe’s refugee crisis”. Inizia così: “Sono nato e cresciuto in Sicilia in una casa sul Mediterraneo che guarda alla costa africana e ho sempre guardato quel mare con paura e rispetto…”. Bello. Pubblicato ieri. Minniti, lato suo, non può inseguire nessuno avendone già abbastanza: non è esagerato dire che le chance di vittoria del Pd alle prossime politiche passano in gran parte da come il partito di maggioranza di governo saprà gestire il flusso continuo di migranti, a livello interno e con l’Europa. Il ministro Orlando, che guida la Giustizia e sta ballando con alcuni dei provvedimenti chiave di tutta la legislatura, dal codice antimafia alla tortura, è sdoppiato nella doppia veste di leader della minoranza critica del Pd e ministro, una volta si diceva, Guardasigilli. Che dire poi di Franceschini, che stuzzica la leadership di Renzi a suon di tweet e interviste? E Calenda, il quasi Macron italiano…
Nel governo una somma di individualità
E’ una squadra complessa quella di governo. Sarebbe più giusto chiamarla una somma di individualità dove ciascuno suona il proprio spartito. La stecca è quasi quotidiana. Condizione pessima per ogni premier. Eppure Paolo er moviola ma detto anche il cauto, il freddo, il sobrio, il fantasma – la collezione dei nickname è infinita – mai è stato cosi sicuro nel suo mandato. Il presidente Mattarella lo ha blindato pochi giorni fa, il Quirinale parla di legislatura che arriverà a scadenza naturale, il 15 marzo. Gentiloni sta lontano da tv, salottini tv e microfoni. Lavora, ascolta molto, parla poco e cresce nei sondaggi. Ha staccato Renzi di quasi tredici lunghezze (45% a 32%) e il secondo (Salvini) sta al 36%, Berlusconi al29% e Di Maio al 28%. Insomma, il paradosso è questo: più Gentiloni è circondato da pericoli, compreso qualche sospetto che si potrebbe affacciare nella mente di Renzi, e più si rafforza la sua leadeship. Forte grazie alle contrapposizioni di una squadra composta ormai da solisti.
La competizione tra Alfano e Minniti
Tra Alfano e Minniti la competizione è durissima. E dire che l’ex ministro dell’Interno ha lasciato il Viminale perché riteneva di aver pagato fin troppo il prezzo del peso del dossier immigrazione. Così a gennaio ha traslocato alla Farnesina, da dove però ha iniziato, poco dopo, ad inseguire il suo collega di governo che gli era subentrato portandosi dietro il know how dell’intelligence e con piglio decisionista ha impostato la mission del ministro dell’Interno balzando in breve ai primi posti del gradimento del team di governo. Un sondaggio di queste ore dice che il 58% degli elettori deciderà il suo voto alle politiche in base a come sarà gestito il dossier immigrazione. Alfano lo sa bene e, della serie botte piena e moglie ubriaca, organizza vertici in Libia, i tavoli con i leader delle tribù libiche, i piani di intervento in Africa. Diciamo che dove tocca, Alfano non scopre oro. Anche la battaglia per portare in Italia il piccolo Charlie, stoppata ieri dall’ospedale inglese, non ha avuto buon fine. Se poi si aggiunge il fatto che a novembre si vota in Sicilia e il centrosinistra, che potrebbe coinvolgere i centristi di Alfano, non sa ancora che pesci pigliare, è chiaro perché ognuno stia facendo la propria gara.
Il caos nel Pd e nel centrosinistra
Pesa molto, negli individualismi della squadra di governo, il caos nel Pd e nel centrosinistra. Domani, per la prima volta in quattro anni, la direzione che deve fare il punto sulla sconfitta delle amministrative non sarà probabilmente aperta al pubblico dello streaming. Mai successo. “Finalmente una vera direzione” dicevano oggi alla Camera i piddini. Senza streaming si fanno meglio i conti. Del resto i 5 Stelle l’hanno abbandonata da un pezzo. Quasi subito. Tra i singolaristi della squadra di governo, hanno ruoli da protagonisti il ministro Orlando che manda ultimatum ogni dì (“referendum se ci sarà un’alleanza con Berlusconi”) e il ministro Franceschini, anche lui in vena di “pretese e chiarimenti” a Renzi e alla parte sinistra del Pd. Renzi sta dicendo che in lista non ci sarà posto per chi ha già fatto tre mandati. Tutti negano, ovviamente, che sia questo il problema.
Lotti il braccio di Renzi dentro palazzo Chigi
Poi però c’è anche da tenere a bada il malumore di Luca Lotti, ministro dello Sport ma braccio di Renzi dentro palazzo Chigi: la proroga delle indagini Consip (indagato per rivelazione di segreto d’ufficio) per altri sei mesi non giova ai giovane ministro costretto a concludere la legislatura azzoppato per via dell’indagine. E il malumore del ministro centrista Beatrice Lorenzin costretta a modificare il suo decreto sull’obbligo per ben dodici vaccini che l’aveva già messa contro la ministra della Pubblica Istruzione Valeria Fedeli. Il ministro economico Padoan s’è appena tolto di dosso l’ultimo attacco, quello del governatore della Puglia Michele Emiliano sulle banche venete.
In ascesa il ministro per lo Sviluppo economico Calenda
Il più attivo, tra i solisti, è il giovane ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda. Il 24 maggio all’assemblea di Confindustria il suo è stato l’intervento più applaudito tra le critiche alle scelte economiche del governo Renzi e altrettanti auspici per un sistema elettorale di tipo maggioritario. Macron o no, è un leader in marcia che ha trovato un suo pubblico e che Renzi, annusando la stoffa del competitor, ha provato subito a stoppare. Ad esempio sul ddl concorrenza. Così van le cose nella squadra di governo, una stecca dietro l’altra. Ma Gentiloni sa raccordare i suoni. Con sobrietà, un pizzico di freddezza, molta cautela. Dicono, soprattutto, grande fedeltà.