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[Il retroscena] La bufera sul generale dei carabinieri ministro con i Cinque Stelle. E lo schiaffo di Cottarelli

Il candidato premier Cinquestelle annuncia il "suo" ministro dell'ambiente: un generale dei Carabinieri in servizio. Forzisti all'attacco: non si può piegare l'Arma alla politica. Il militare costretto a prendersi una settimana di licenza fino a dopo il voto. L’accusa di Sgarbi: “Non era mai capitato che un Generale, senza prima sospendersi o entrare in aspettativa entrasse da protagonista in una campagna elettorale. Prendiamo atto, dunque, che Silvio Costa non è più il Generale dei Carabinieri degli italiani, ma dei 5 Stelle”. Cottarelli ascolta il leader M5s in tv e lo gela: "Il mio piano non prevedeva tagli alla scuola". Il grillino non si spaventa e annuncia: giovedì presento tutta la squadra, daremo Interno, Difesa ed Esteri a tre donne

Di Maio e il generale Costa
Di Maio e il generale Costa

Prima rimborsopoli, poi i condannati candidati a sua insaputa, qualche iscritto alla massoneria e persino uno finito nei guai perchè spacciava cd taroccati. Adesso, a una settimana dal voto, una gaffe istituzionale e la presa di distanza di Carlo Cottarelli. Non si può dire che il rush finale della campagna elettorale Cinquestelle non riservi almeno una sorpresa al giorno. Tutte grane che, inevitabilmente, finiscono per scaricarsi su Luigi Di Maio, che, dalla designazione in poi, ha saputo imporsi prepotentemente all’attenzione generale, ma sembra scontare per questo una certa solitudine politica rischiando di finire così nel tritacarne prima del tempo. Così, se, a quanto sembra, quasi un terzo degli italiani sarebbero orientati a votare per il Movimento lanciato da Beppe Grillo, è proprio sull’ex vicepresidente della Camera che finiscono per scaricarsi le contraddizioni dei 5stelle.

Ieri, nello stesso giorno, per esempio, Di Maio è inciampato in due fastidiosi incidenti. Non si può dire che il premier in pectore del M5s sia un campione di diplomazia e che i suoi passi siano guidati dalla cautela dello statista. Così, ben prima del responso delle urne, non ha saputo trattenersi dall’indicare il nome di un futuro ministro di un suo ipotetico governo. “Se l’M5s  vincerà le elezioni, alla guida del ministero dell'Ambiente andrà il generale di brigata dell'Arma dei Carabinieri Sergio Costa, comandante della Regione Campania dei Carabinieri forestali”, ha annunciato. Del resto, il leader grillino  ha promesso di presentare  prima del voto la sua squadra di governo, e qualche nome doveva pur farlo, nonostante le difficoltà incontrate nel reperire i soggetti “giusti”. Et pour cause, dal momento che pochi sono disposti al rischio di “bruciarsi” prima del tempo, visto che il 50 per cento dei seggi necessari per costituire un governo monocolore sembra ancora un miraggio. Settimana scorsa quando Di Maio è andato al Quirinale per un colloquio col segretario generale, di nomi ne sono usciti pochissimi. “Giovedì primo marzo si terrà l'evento di presentazione della squadra di governo che dovrebbe essere proposta al presidente della Repubblica. Tre donne saranno in tre ministeri chiave: Esteri, Interni e Difesa”, ha annunciato mentre era ospite di Massimo Giletti. Il centrosinistra aveva affidato a dirigenti donna due su tre.

Sul primo nome anticipato, però, le cose non sono andate lisce. Nulla da dire sul curriculum del generale: Costa, laureato in Scienze Agrarie, con un master in Diritto dell'Ambiente e la specializzazione in investigazioni ambientali,  si è distinto nel contrasto alle ecomafie e al clan dei Casalesi. “Ha dato una disponibilità che commuove”, ha scritto il candidato premier pentastellato su Facebook. Che, per l’occasione, non ha mancato di  tornare a prendersela con Vincenzo De Luca per il coinvolgimento del figlio nella videoinchiesta di Fanpage che ha costretto il rampollo del ras campano a dare le dimissioni da assessore al Bilancio del Comune di Salerno.

Ad indignarsi per la mossa del candidato premier Cinquestelle sono stati soprattutto i forzisti. “E’ un fatto assai grave che un generale dei Carabinieri, istituzione a garanzia di tutti i cittadini, prima del voto, con una esplicita dichiarazione, per pura propaganda elettorale, contro ogni regola e galateo istituzionale, accetti la proposta d'incarico a ministro da parte di un sedicente candidato Presidente del Consiglio, peraltro di un governo che non ci sarà mai”, si è scaldato Vittorio Sgarbi, ex sottosegretario e un sacco di altre cose, ma, soprattutto, candidato del centrodestra a Pomigliano d'Arco. “Non era mai capitato che un Generale, senza prima sospendersi o entrare in aspettativa (dovere etico, prima di tutto), entrasse da protagonista in una campagna elettorale. Prendiamo atto, dunque, che Silvio Costa non è più il Generale dei Carabinieri degli italiani, ma dei 5 Stelle”, ha aggiunto, severo. Touchè.

Il generale, intanto, forse dietro suggerimento dei superiori, è dovuto correre ai ripari diramando una nota con la quale annunciava che “da oggi fino a martedì 6 marzo sarà in licenza per mantenere il profilo istituzionale più corretto”.  La comunicazione, “tardiva e spintanea”, è già qualcosa, ma agli azzurri non basta.  Il senatore Enzo Fasano, si augura ad esempio che il generale resti “in licenza anche dopo le elezioni perché non ci sarà alcun governo Di Maio e, a quel punto, sarà difficile per lui continuare nel suo incarico con l’imparzialità che è dovuta”. Dubbi pure dal Pd. L’ex portavoce di Matteo Renzi, Michele Anzaldi, chiede: “Perché in ferie e non in aspettativa? L’Arma non aprirà una istruttoria?”.

La gaffe del generale-in-servizio-ministro non è stata però l’unica dell’ultima domenica prima del voto. Il candidato premier dei Cinquestelle, ospite di In Mezz'ora su Rai3, ad una domanda di Lucia Annunziata sulle coperture economiche delle misure pentastellate, si è spiegato così: “Il nostro programma ha un valore di 80 miliardi; recupereremo 30 miliardi di euro dalla spending review di Carlo Cottarelli, ma non integralmente, lasciando fuori i tagli alla scuola”. La citazione però non è sfuggita all’interessato, già  economista del Fondo monetario internazionale e poi commissario alla spending review, che, corteggiatissimo dai grillini come da Forza Italia, ha ritenuto di imbracciare lo smartphone per sparare a pallettoni sul povero Di Maio. “Un chiarimento: Di Maio ha appena detto durante il programma dell’Annunziata che un governo Cinquestelle applicherebbe il piano Cottarelli, anche se non tutto, in particolare non i tagli alla scuola. Ma nel mio piano non c'erano tagli alla scuola o in generale alla pubblica istruzione”, ha scritto su Twitter. In realtà, quando l’economista aveva iniziato il suo lavoro, alcune indiscrezioni di stampa avevano avanzato  l’ipotesi che le sue proposte contenessero misure di razionalizzazione dell’edilizia scolastica, ma poi, dopo qualche protesta del ministero dell’Istruzione, non se ne fece più niente.  Così lo scivolone di Di Maio, accusato implicitamente di essersi confuso o forse di non aver letto il suo piano, fornisce a Cottarelli l’occasione per prendere le distanze dal partito che, per primo, aveva iniziato ad ipotizzare un suo coinvolgimento dopo le elezioni di domenica.  Di Maio, nonostante la sua campagna sembri diventata una gara a ostacoli, non rinuncia però a procedere a strappi. Ora prova a pescare dal bacino del centrosinistra. “Per capire la configurazione del Parlamento aspettiamo il 4 marzo, ma molti elettori del centrosinistra mi dicono che credono che l’unica battaglia ormai sia tra noi e il centrodestra, perchè il Pd è al 20 percento, il centro destra al 30 e noi abbiamo picchi che arrivano al 35”, dice, facendo così appello allo stesso “voto utile” che Renzi invoca nei confronti degli elettori di sinistra. Niente alleanze, però; eventualmente un contratto di governo: “Non siamo disposti ad alleanze o larghe intese. Se ci dovessimo trovare la sera delle elezioni con la maggioranza assoluta e vogliamo mettere insieme i temi su cui costruire i programmi di lavoro noi ci stiamo. Firmiamo un contratto vincolante, su quello votiamo e iniziamo la diciottesima legislatura”. E’ un’ipotesi percorribile? Nel centrodestra come nel Pd pensano di no.

Paolo Emilio Russodi Paolo Emilio Russo, giornalista parlamentare   
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