[Il ritratto] La Boschi della Lega e la lady di ferro grillina. Le gaffe delle sottosegretarie che imbarazzano il governo
Le parolacce in pubblico di Lucia Borgonzoni e le performance tv di Laura Castelli. Ecco chi sono le due esponenti al governo che con le loro uscite mettono in difficoltà il governo Conte

Il governo del cambiamento può vantare anche le sue pasionarie, rigorosamente spartite, una leghista e l’altra grillina. Lucia Borgonzoni, con la solita fantasia che ci contraddistingue, la chiamiamo la «Maria Elena Boschi del Carroccio», e il plurale facciamo finta che sia maiestatis. Laura Castelli, invece, è più pomposamente «la Lady di ferro di Luigi Di Maio». Lucia, bolognese, ha 42 anni, capelli rossi e chioma fluente, occhi castani e sorriso d’attrice, 1,70 d’altezza, parlantina spigliata e modi sbrigativi, in linea con la dialettica di partito. Anche pochi giorni fa alla Festa della Lega a Fontevivo, Parma, non ha usato molte perifrasi: «Diamo un bel calcio in culo ai comunisti». Laura Castelli, torinese di origini siciliane, con dieci anni di meno, tipa puntuta e mai sorridente, fedelissima per passione, pasdaran antiFassino, denunciata per aver avanzato il sospetto di una tresca poco chiara dell’ex sindaco con una barista, certe espressioni preferisce smentirle: «Io a quello lì lo asfalto», avrebbe detto di Tria. «Non è vero. E’ una palla». Però, le due hanno molto in comune. Hanno giovanili frequentazioni nella sinistra-sinistra, amano gli animali e avanzano come clavi nella mischia. Sono tutt’e due sottosegretarie di questo governo, Castelli al Tesoro, Borgonzoni alla cultura. Tutt’e due non proprio afferrate nella materia. Laura Castelli in commissione bilancio, alle domande più stringenti preferiva glissare con un laconico «mi riservo di rispondere», prima di tirare giù semplicemente la saracinesca: «Vabbè, se questo è il vostro atteggiamento allora sto zitta». Lucia Bergonzoni visto che deve occuparsi di cultura, invece, ha tenuto a precisare che lei legge pochissimi libri: «L’ultimo tre anni fa».
Il passato non rinnegato
Tutt’e due non rinnegano il passato. Preferiscono asfaltarlo. Quand’era candidato sindaco di Bologna per la Lega, un suo ex amico, Mauro Boris Barella, postò la foto di un casale occupato dai centri sociali con la Borgonozoni in primo piano fra birre, cd, stereo e atmosfere molto alternative. Anche una sua ex vicina di casa confessò di ricordarla molto bene: «Abitava nella mansarda sopra il mio appartamnento. Indimenticabile. Musica a tutto volume, viavai notturno e un chiasso assordante da chiamare i vigili. Con lei non si poteva parlare. Quando non faceva casino dormiva. Alla fine ho cambiato casa». Lucia ammette le frequentazioni, ma spiega che «allora i centri sociali erano diversi. Sono stata barista del Link, storico locale underground bolognese, ma tutti sapevano che ero leghista. Non rinnego quel periodo, ma un tempo le persone che giravano nei centri sociali erano un’altra cosa. Non mettevano sottosopra la città. Ora li chiuderei». Nipote di un nonno famoso partigiano comunista, oggi non festeggerebbe neanche il 25 aprile: «Cerimonia che non ha più senso». Pure Laura Castelli, prima ancora che il Movimento Cinque Stelle la portasse a Roma e poi al Tesoro, si era buttata in politica a sinistra, alla Regione Piemonte, come portaborse del consigliere Mariano Turigliatto, eletto in una lista a supporto della Presidente Mercedes Bresso. E nel 2009 aveva tentato l’elezione nella Provincia di Torino da candidata in una lista civica ambientalista. Poi, quando Turigliatto non era stato confermato, era passata tra le file del M5S, e dal 2013 in Parlamento. Prima che diventasse famosa dicevano di lei che era «una idealista, grande lavoratrice, molto entusiasta», animalista convinta, contro la caccia e qualsiasi spettacolo o gara in cui vengono utilizzati gli animali. Poi è diventata famosa. Non ha cambiato fede. Ma la fama non è sempre gentile.
Gaffe in tv
A Otto e mezzo su La7, la Gruber la strapazzò un po’ su euro e referendum, lasciando di sbieco qualche occhiata ironica agli altri convenuti. Lei diceva: «Noi abbiamo sempre detto referendum, abbiamo sempre detto che i cittadini devono scegliere...». E Lilli Gruber la incalzò: «Ma lo dite ancora pur sapendo che non possiamo fare un referendum sull’euro perché fa parte di un trattato internazionale?». Castelli: «Ma in realtà non è vero... A me la politica in 5 anni ha insegnato che non è vero che certe cose non si possono fare, si trova sempre il modo di farle. Il tema dell’euro è un tema che se vogliamo parlarne tecnicamente si può affrontare: le problematiche che ha creato, quali sono le sacche dove si deve andare a intervenire...». Gruber: «Sì però è diverso dal fare un referendum». Lei: «Noi abbiamo raccolto le firme, siamo convinti che si possa fare». Gruber: «E lei sarebbe d’accordo a uscire dall’euro?». Castelli: «Io credo che una scelta così grossa non si possa prendere da soli, è una scelta che coinvolge le vite, guardi cosa è successo in questi anni con l’euro». «Ma lei cosa voterebbe?». «Non si dice cosa si vota». «Ma come non si dice, lei è rappresentante di un Movimento importante come i 5 Stelle: lei dovrebbe dire sì, se io voglio votare per lei devo sapere che cosa pensa sull’euro». «Il referendum non è un tema ideologico, è un tema tecnico». «Non mi ha risposto Euro sì o euro no?». «Non lo so». Naturalmente i giornali ci andarono a nozze e ci intinsero un po’ la penna. Come dopo la sua performance alla Commissione bilancio quando riportarono il commento impietoso di uno di quelli che le faceva le domande, il professor Felice D’Ettore, di FI: «Ma chi ci avete mandato? Io a questa manco 18 le davo».
L’avviso di garanzia
I suoi estimatori dicono che lei paga chiaramente il fatto di essere una pasdaran, una di quelle che ci mette sempre la faccia. Diciamo che qualche volta forse esagera. Come potrebbe essere successo per l’avviso di garanzia che si è beccata un anno fa dalla Procura di Torino. Diffamazione, l’accusa. La deputata dei Cinque Stelle nel 2016 postò su facebook la foto di una cassiera del bar interno di Palazzo di Giustizia, Lidia Roscaneanu, ritratta in compagnia di Piero Fassino, ma ritagliando l’immagine in modo che l’ex sindaco di Torino sembrasse in esclusiva compagnia della donna. Nella foto lui era anche con un’altra persona, che era stata però eliminata. L’accusa riguarderebbe comunque la dicitura su facebook in cui sarebbero stati avanzati dubbi sul tipo di legame che univa la cassiera e Fassino, scatenando prontamente i soliti insulti e le più becere volgarità di quell’esercito di internauti occupati quasi a tempo pieno in queste delicate operazioni professionali. Laura Castelli ha risposto di aver fatto solo cronaca e di aver cancellato quasi subito i commenti più offensivi, di stampo sessista e razzista, ovviamente. Una combattente come lei non si ferma mai. Anche se a volte a tirar diritto non si viene capiti, come quel giorno che era andata a un convegno di commercialisti e aveva detto: «Sono laureata in Economia, non sono una commercialista, ma nella vita ho avuto un mio studio, e ho lavorato nello studio di famiglia che si occupa di contabilità, paghe». Scatenando un prolungato brusio di disapprovazione dalla sala, riempita di professionisti che avevano tutti l’obbligo di iscrizione a un albo professionale dopo aver superato idoneo esame di Stato, prima di poter esercitare qualsivoglia mansione senza fare gli abusivi. Ma come? Che avevano questi? Uno è venuto qua tutto gentile e questi bofonchiano pure. Dovrebbe imparare da Lucia. Ecco, questa è l’unica differenza. Nonostante le apparenze, la pasionaria grillina è molto più timida. All’altra, dopo tanti anni ad allenarsi nei centri sociali, le fanno un baffo le polemiche. E comunque tenetela d’occhio: il primo sorpasso della Lega su Forza Italia fuori dal Nord, l’ha fatto lei, da sola, quand’era candidata sindaco a Bologna. Prese il 22 per cento al primo turno. In famiglia non la vota nessuno, a cominciare da papà. Il nonno, Aldo Borgonzoni, grande pittore, è morto prima di sapere che strada avesse preso sua nipote. Però, la Boschi del Carroccio non dipinge affatto male. Non avrà preso le idee dal vecchio. Ma qualcos’altro sì.