[L’analisi] I Cinque Stelle schiacciati dal voto in Friuli e la travolgente vittoria della Lega
Salvini aveva avvisato che il Friuli non sarebbe stato come il Molise. Aveva persino puntato il dito su quello che sarebbe stato il Grande Sconfitto, secondo lui: «Domenica Di Maio avrà un’altra mazzata». Ci è sfuggita la prima, visto che ha parlato di un’«altra», ma non importa.
Il Movimento 5 Stelle esce davvero schiantato da queste elezioni, scivolando dal 24,7 delle politiche di appena due mesi fa al 7,5 di ieri come voti di lista, anche se con il 12 e rotto raggiunto dal suo candidato, Alessandro Fraleoni Morgera. Qualche segnale era già arrivato dal Molise, dove i grillini erano retrocerssi di qualche punto. Ma lì non era stata una débacle e soprattutto non aveva vinto nessuno. Qui no.
Qui la Lega non ha vinto. Ha stravinto. Dal 25 per cento del 4 marzo è arrivato al 35, cioè tre volte i numeri di Forza Italia, che pure è salito, dal 10,7 al 12,8. Più o meno stabili i Fratelli d’Italia. In crescita, come già era avvenuto 15 giorni fa, i centristi dell’Udc che partivano praticamente dalla cantina, sotto l’uno per cento. Il centrodestra ha battuto tutti, persino i sondaggi più ottimisti che lo davano al massimo al 51, in una forbice che partiva dal 45. E’ arrivato al 57.
Poi c’è il Pd. A prima vista sembra far festa perché il suo candidato è arrivato al 27/28 peer cento, che sarebbe un risultato eccezionale se fosse del partito. Ma se uno guarda bene i numeri l’illusione svanisce in fretta: i dem hanno preso 19,48 dei suffragi a più di due terzi dei seggi scrutinati, e il resto gliel’hanno dato le liste collegate. Tiene, è vero, rispetto alle politiche, quando aveva il 18 abbondante, e sale persino un poco.
Ma vederla come una buona notizia è da suicidi. Il pd aveva il 31,3 nel 2008 e il presidente della Regione, Debora Serracchiani, che 5 anni fa aveva battuto in rimonta sul filo di lana il favoritissimo candidato del centrodestra, anche se alla vigilia di queste regionali aveva pensato bene di scappare il più veloce e il più lontano possibile alla ricerca di poltrone più comode, lasciando il cerino acceso al suo vice, Sergio Bolzonello. Da Renzi in poi ha perso tutte le grandi città, anche quelle operaie, storicamente di sinistra, Trieste, Pordenone, Ronchi dei Legionari, Codroipo, Monfalcone. Mancava Udine: ci ha pensato ieri.
Il pd del sindaco uscente viaggiava attorno al 12 per cento. Oggi, di tutte le battute della vigilia, la più bella rimane di gran lunga quella di Renzi, che subito dopo il 4 marzo aveva detto che sarebbe rimasto in silenzio per due anni e che invece non ci ha messo nemmeno due mesi a riprendersi la scena: «Se il Pd si allea con i Cinque Stelle rischia di sparire». Detto da uno che sembra stia facendo tutto quello che si può fare per realizzare questo gravoso compito, compresa forse qualche scelta sbagliata. I piddini, per assurdo, sono gli unici con cui i sondaggi ci hanno preso: avevano dato la coalizione fra il 22 e il 28. In compenso, i cinque stelle li avevano attestati sullo stesso piano delle politiche, fra il 21 e il 27.
Anche se Salvini sembrava avere altri numeri in tasca, considerato come continuava a punzecchiare: «Con queste elezioni si darà un bel segnale anche a Roma, ai signori che dormono e amoreggiano fregandosene del voto degli italiani. Di Maio faccia un bel bagno di umiltà e torni al tavolo con il centrodestra unito. Unito».Certo, oggi può fare la voce ancora più grossa. La corsa sul carro dei vincitori sembra premiare lui, non Di Maio.
Berlusconi fa buon viso a cattivo gioco. Dice che «nonostante tutte le notizie false fatte circolare, la coalizione di centrodestra è solida e in salute». Gigi Moncalvo, ex direttore della Padania, smentito duramente da Niccolò Ghedini, ha dichiarato che Salvini non può staccarsi perché c’è un accordo firmato da Bossi nel 2000 davanti al notaio, in base al quale loro giuravano fedeltà e qualcuno gli pagava i debiti. Vero o falso che sia, i due stanno insieme con più diffidenza che amore, anche se si abbracciano entusiasti in favore di telecamere.
Il Cavaliere ha lottato come un leone, in Molise e qui, per contenere il divario con gli alleati, ripetendo ai suoi che «questa era una sfida all’ultimo voto». In percentuale, qualcuno in più l’ha preso. Ma niente in confronto alla Lega. A viaggiare fra i numeri, l’impressione è che Salvini abbia raccolto molti consensi soprattutto fra i grillini. E forse è molto più di una impressione.