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Forza Italia apre alla legge sulla cittadinanza. Nuova frattura nella maggioranza dopo giustizia, Rai e esteri

E’ come se la maggioranza fosse un grande braciere pieno di braci pronte ad accendersi. I fratelli Berlusconi hanno chiesto che il partito sia più incisivo sul fronte dei diritti civili per rilanciare l’anima liberale. Il superlavoro del presidente Tajani

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Salvini e Tajani (Ansa)
Salvini e Tajani (Ansa)

“A che serve stare al governo se non incidiamo?” ha chiesto pubblicamente un paio di giorni fa Giorgio Mulè, Forza Italia e vicepresidente della Camera. Si pensò, tutti, che si riferisse al tema giustizia, un braciere della maggioranza con molta cenere viva e sempre pronta a prendere nuovamente fuoco. Parlava in generale, però, il vicepresidente della Camera, come ha sempre fatto, perplesso di quel patto Meloni-Tajani  molto stonato con la storia di Forza Italia.  Del resto prima Marina e poi Piersilvio Berlusconi sono stati chiari entrambi in due occasioni pubbliche: Forza Italia deve impegnarsi di più e meglio sul fronte dei diritti civili, deve rilanciare l’anima liberale del partito fondato dal padre. E così, sull’onda dei successi olimpici e dei nostri atleti sempre più misti come succede in tutte le moderne società democratiche, Forza Italia ieri ha aperto ad una riforma della legge sulla cittadinanza. Un modo anche per ribattere, oltre la sterile polemica politica, a quelli come Vannacci che si ostinano a fare distinguo di razza e colore della pelle. Immediate le muraglie leghiste.

“Tajani come Schlein"

Ieri mattina una nota ufficiale della Lega, pubblicata sui social con tanto di fotomontaggio, metteva accanto il segretario azzurro Antonio Tajani e la leader del Pd Elly Schlein. “La legge va benissimo così - ha scritto via Bellerio - e i numeri lo dimostrano, non c’è nessun bisogno di Ius Soli o scorciatoie”. Nonostante il Ferragosto, Forza Italia reagisce. “Non vogliamo attaccare e dispiace che un alleato di coalizione ci attacchi” ha avvertito Raffaele Nevi, portavoce nazionale di FI. Gli azzurri non mollano e difendono “la linea di sempre del partito, seppur fuori dal programma di governo, portata avanti nel passato già da Silvio Berlusconi. Siamo contrari allo Ius soli ma siamo invece aperti allo Ius Scholae, noi siamo per favorire l'integrazione e la scuola ne è il motore”. Per la Lega sono polemiche inutili. “Siamo il Paese in Ue che concede più cittadinanze” ha replicato Andrea Crippa. Ma siano anche il paese dove quasi un milione di studenti nati e cresciuti in Italia non sono cittadini italiani e questa crea molti ostacoli, dalla pratica dello sport ai primi concorsi per trovare un lavoro visto che le pratiche per ottenere la cittadinanza, una volta compiuti i 18 anni, sono molto lunghe. La proposta di legge di FI sullo Ius Scholae ancora non c’è, se ne riparla a settembre quando il gruppo azzurro è intenzionato a marcare una diversato rispetto alla Lega come “partito paladino dei diritti”. Il punto di caduta interno a FI, al momento, potrebbe essere uno Ius Scholae che prevede il compimento dell’intero ciclo della scuola dell'obbligo come condizione per accedere alla cittadinanza italiana. “FI è pronta a discutere - spiega un deputato azzurro - e chiederà di votare una proposta di mediazione tra quella del Pd e il niente della Lega”. La premier, per ora, non interviene, mantenendo una posizione terza nel bisticcio tra gli alleati. Vedremo se il nuovo dibattito sulla cittadinanza sarà o meno una parentesi balneare.

Lo scontro in maggioranza

Quello che certamente è in piena continuità è lo scontro nella maggioranza. Per restare al tema diritti, le divergenze tra Forza Italia e il resto della maggioranza riguardano le carceri e la richiesta di modifica della Severino per cui non sarà più obbligatorio lasciare l’incarico dopo la condanna di primo grado e si presume meno che mai dimettersi se si è solo indagati come invece è successo all’ex presidente della Regione Giovanni Toti.  Messa così non è affatto semplice per il presidente del partito Antonio Tajani impegnatissimo sul fronte diplomatico per il doppio conflitto in Ucraina e Medioriente. Passa le giornate invocando in ogni modo la de-escalation, progetti di ricostruzione per Gaza (intanto è necessario il cessate il fuoco), telefonate con gli omologhi dei paesi coinvolti, Iran compreso e poi si trova a dover giustificare l’evoluzione del Crosetto pensiero sull’Ucraina. In queste torride settimane estive non era previsto dover gestire anche il fronte delle dinamiche interne alla maggioranza.

Le visite in carcere

E invece, mezzo partito sta visitando le carceri italiane con i  Radicali giusto per ribadire che il decreto carceri è stata un’occasione sprecata. Peggio: sbagliata. Forza Italia aveva provato ad inserire qualche provvedimento per diminuire la pressione carceraria e fare uscire qualche migliaio di detenuti per buona condotta. E’ stata costretta a fare marcia indietro. A tutto questo si è aggiunta anche la crisi siciliana con l’addio di Miccichè, nel 2001 il regista del 61-0 per Forza Italia nell’isola. Uno dei motivi di maggior frizione è proprio la legge sull’autonomia differenziata che il partito nazionale sembra aver digerito con leggerezza. Ma che al sud, forziere di voti per Forza Italia con il 24% in Sicilia e il 18% in Calabria, non hanno digerito per niente. Tajani si è alleato con Schifani, presidente della Regione, che sull’autonomia dice e non dice. Ha sottovalutato Miccichè. E ora ha anche questa rogna. Che si moltiplica al cubo se si allunga lo sguardo a Bruxelles. Il non voto di Fratelli d’Italia al bis di Ursula von der Leyen ha segnato un prima e un dopo nei rapporti di Bruxelles con il governo Meloni. Tajani cerca di fare da ponte. Non è semplice perché i punti da unire aumentano invece di diminuire.

Il “caso” Crosetto

Quelli più difficili riguardano la politica estera. Ieri il ministro della Difesa Guido Crosetto ha pubblicato una lettera sul Corriere della Sera in risposta all’editoriale del giorno prima di Paolo Mieli dal titolo “L’alleato e le parole che pesano”. In punta di penna l’editorialista del Corsera ha nei fatti rimproverato il ministro per quello che ha detto e poi corretto (ma fino ad un certo punto) nei giorni precedenti sull’Ucraina.  Il 9 agosto è iniziata l’avanzata delle truppe ucraine via terra e protette da una efficace contraerea in territorio russo. Due giorni dopo il ministro della Difesa ha detto pubblicamente intervenendo in radio che colpire un altro Stato sovrano è “sbagliato e condannabile” in linea di principio. In questo modo “si allontana la pace”. Questo vale per la Russia e anche per l’Ucraina. Il concetto è stato poi ripreso e spiegato con un lungo post dello stesso titolare della Difesa ma non è bastato per accendere dubbi e sospetti nella stessa maggioranza e figurarsi nelle opposizioni da sempre divise su questo dossier. “E’ cambiato qualcosa nella nostra linea che ha nel sostegno anche militare all’Ucraina uno dei pilastri fondamentali?” è la domanda che è iniziata a circolare sulla chat interne di Fratelli d’Italia. Crosetto ha cercato di spiegare nuovamente nella lettera al Corriere: l’attacco ucraino “non è un’invasione ma una tattica difensiva per ottenere maggiore equilibrio sul campo e arrivare più forte al tavolo di pace”. Una lettera piena di polemica rispetto “ad un certo modo di fare giornalismo".

Il silenzio di Meloni

Che detto di un giornalista di razza come Paolo Mieli suona un po’ provocatorio. Il fatto è che nonostante le rassicurazioni  del ministro Crosetto per cui l’Italia è “seria, salda e affidabile con l’Ucraina”, il rischio che torniamo ad essere “inaffidabili” e “nè-nè”  c’è ed esiste. Viste, soprattutto, le reazioni della stessa maggioranza: il silenzio imbarazzato della premier Meloni che ha solo fatto filtrare, ma non ha dichiarato in tal senso, che “la linea del governo non cambierà”; le parole critiche rispetto alle mosse di Kiev di un portavoce come Speranzon, fedelissimo del fedelissimo di Meloni Giovanbattista Fazzolari; la fibrillazione nelle chat di Fratelli d’Italia; il colpo al cerchio a uno alla botte del vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani; gli hip- hip-urrà dei leghisti con l’eurodeputato Vannacci in modalità costruzione-della-leadership. Giustizia, diritti civili, gli scenari bellici: sono tante braci che ardono sotto la cenere nel grande braciere della maggioranza.  E’ come se un punto di possibile frattura ne contaminasse subito altri. Se una brace ne attizzasse subito altre.

E poi c’è la Rai

Le nomine Rai, ad esempio. Sono rimaste bloccate e rinviate a settembre per i veti incrociati fra gli azionisti di maggioranza: Meloni vuole Rossi come ad, Forza Italia chiede la presidenza (per Simona Agnes, non perchè donna ma perché almeno una che ci capisce di Rai, giornalismo e comunicazione) e la Lega fa le bizze, vuole un Direttore generale che però Rossi non vuole. Evviva.  In tutto ciò Maria Elena Boschi (Iv), vicepresidente in Vigilanza Rai, chiede di fare chiarezza sulla notizia trapelata sui giornali per cui “Arianna Meloni, sorella della premier, avrebbe partecipato a vertici sulle nomine Rai”. La stessa Arianna che vorrebbe una fedelissima come Sabrina de Filippis come Ad di Trenitalia. Taciamo per ora di economia e di manovra di bilancio. E della scelta del commissario europeo italiano. Il ritorno dalla ferie, che la premier sta osservando nel più rigoroso silenzio, non sarà semplice.  

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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