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[L’inchiesta] La fondazione Einaudi caccia Berlusconi. Lo scontro e lo schiaffo dei liberali

L’intento di Berlusconi era quello di trasformare la la Fondazione in un think tank vicino al centrodestra, che non fosse avvertito però come una succursale di Forza Italia. Ma c’è stata una rivolta

Paolo Emilio Russodi Paolo Emilio Russo   
[L’inchiesta] La fondazione Einaudi caccia Berlusconi. Lo scontro e lo schiaffo dei liberali

Le cose per Silvio Berlusconi si stanno mettendo benino. Il suo partito è tornato a occupare un ruolo centrale nel gioco politico (sia pure con percentuali dimezzate rispetto a cinque anni fa), l’8 marzo potrebbe ottenere la riabilitazione dalla condanna che ha provocato la sua decadenza da senatore e pure le aziende (formalmente dei figli), tutto sommato, non vanno poi così male. Accanto ai successi e all’ottimismo tornato a circolare dalle parti di Arcore, si registra però anche un fallimento. Lui che, come ripete spesso, ha costruito città giardino, un polo televisivo, banche e un partito che ha sfiorato quota 40%, si è lasciato soffiare sotto al naso la storica Fondazione Einaudi, una realtà magari “minore” dal punto di vista economico ma dall’alto valore simbolico, con cui il Cavaliere puntava ad accreditarsi  definitivamente come l’erede della tradizione liberale.

Nell’estate del 2015, l’ente di promozione della cultura liberale italiana fondato da Giovanni Malagodi nel 1962 aveva rischiato lo scioglimento: in cassa non c’erano più soldi sufficienti per garantirne il funzionamento e le spese superavano le disponibilità. Così, per evitare che lo storico marchio potesse venire cancellato, il presidente di Forza Italia aveva provato a mettere insieme una cordata.

L’intento di Berlusconi era quello di trasformare la la Fondazione in un think tank vicino al centrodestra, che non fosse avvertito però come una succursale di Forza Italia.  Per questa ragione, non si era mosso da solo, ma aveva provato a coinvolgere altri imprenditori come lui.

Così, a inizio ottobre del 2015, è arrivata la proposta economica della cordata. Silvio Berlusconi si impegnava a versare la somma di 45 mila euro,  grazie alla quale sarebbe entrato nel cda come primo azionista, mentre cinque altri famosi manager e imprenditori avrebbero versato 30 mila euro ciascuno. Tra loro l’ex presidente di Enel e Eni Paolo Scaroni e l’ex presidente di Telecom Giuseppe Recchi, per dire del rango dei soci.

La proposta della cordata era stata approvata in extremis il 18 ottobre 2015 e, per evitare che l’istituto potesse finire in liquidazione, i nuovi soci si erano impegnati a saldare i versamenti entro la fine dello stesso mese. Affare fatto, al punto che Il Giornale di Paolo Berlusconi aveva titolato “Berlusconi salva la Fondazione Einaudi”, immaginando che l’operazione fosse ormai andata felicemente in porto.  Da subito, però, nei confronti di quell’opa soft era emersa la contrarietà nientemeno che di Roberto Einaudi, presidente onorario e rappresentante della famiglia di Luigi Einaudi, che  aveva contestato la legittimità dell’assemblea in cui era stato dato il via libera all’offerta, minacciando di trascinare amministratori e nuovi arrivati in Tribunale.

Così è andata, e da quel giorno ne sono successe di tutti i colori. E se la Fondazione Einaudi ha continuato il suo lavoro, organizzando presentazioni di libri, lezioni e tutte le altre cose che ha sempre fatto, un anno esatto dopo l’offerta berlusconiana, nel novembre 2016, il presidente onorario Mario Lupo e gli ex consiglieri d’amministrazione hanno chiesto l’intervento del Prefetto di Roma per valutare «la grave situazione dell’Ente» e la legittimità della nomina di Giuseppe Benedetto a nuovo presidente della Fondazione. Tredici mesi dopo avere accettato la generosa offerta berlusconiana, era stato azzerato anche il consiglio di amministrazione. Manager che hanno gestito sessantamila (e rotti) dipendenti e organizzazioni internazionali complesse si sono lasciati soffiare l’Einaudi da sotto al naso.

La battaglia è proseguita tra carte protocollate e interventi del Prefetto, e si è chiusa pochi giorni fa con quest’ultimo che, in una lunga relazione, interrompe la procedura di liquidazione dello storico istituto considerando «congrua» la sua disponibilità finanziaria ed esprimendo tra l’altro una valutazione generosa della biblioteca e del “patrimonio archivistico” della Fondazione.

Contenziosi legali a parte, c’è un dato politico. «La Fondazione Einaudi, dopo il periodo berlusconiano, torna in casa liberale», scrive il presidente Giuseppe Benedetto in una lettera spedita ai soci e pubblicata sul sito internet. L’avvocato non sfuma affatto il senso politico dell’operazione legale-giudiziaria appena conclusa: «Esprimo soddisfazione per il riconoscimento prefettizio, giunto dopo anni di crisi della Fondazione, allontanatasi nel tempo dalla tradizione liberale essendo finita nell'orbita politica di Forza Italia», affonda.

La nuova dirigenza si prefigge ora di portare la «prestigiosa istituzione» all’antico splendore, ma, soprattutto, di allontanarla dal Cavaliere. Berlusconi, che già aveva investito dei soldi nell’Università del pensiero liberale, a Villa Gernetto, non si straccerà certo le vesti. Da qualche mese, oltretutto, l’ex premier ha promosso la nascita del “Centro studi del pensiero liberale”, un think tank presieduto dall’imprenditore brianzolo Francesco Ferri, che potrebbe avere un ruolo importante anche nell’individuare una parte delle candidature provenienti dalla “società civile” alle prossime elezioni politiche. Ha gli stessi scopi statutari della Einaudi, ma - evidentemente - crea meno problemi.

Paolo Emilio Russodi Paolo Emilio Russo   
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