Il flop delle destre, la fine di populismi e sovranismi. Una via d’uscita per la Lega. Meloni prigioniera

Le amministrative 2021 disegnano la nuova geografia politica post-pandemia. Punite le battaglie no vax e no pass. Lega evita il sorpasso a Milano. Fratelli d’Italia non riesce ad approfittare dello stallo leghista. Una nuova centralità per Forza Italia che vince in Calabria e resiste sopra il 5%. Il centrodestra riparte da qui

Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Ansa)
Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Ansa)

Tutti hanno chiaro in mente il 1993, il grande successo delle forze progressiste di centrosinistra nelle città. Un risultato che spinse al voto per le politiche l’anno dopo - le prime dell’era bipolarista  - dove però la gioiosa macchina da guerra del centrosinistra prese una scoppola difficile da dimenticare e vide salire al governo il Berlusconi I. Molti ieri scorrendo i risultati ricordavano i dati di quel biennio 93-94. E mettevano in guardia dalle facili illusioni ottiche. 

I risultati di queste amministrative possono indurre nello stesso errore: un buon risultato del Pd anche se a Roma arriva terzo dopo Fratelli d’Italia e lista Calenda; disfatta delle destre che sembrano aver perso il Magic Touch con la pancia del paese. Con il popolo. Riguarda soprattutto Salvini ma Meloni non riesce ad approfittarne. Come ha detto un raggiante Enrico Letta ieri sera una volta consolidato il risultato, “questo voto rafforza il governo Draghi, l’Italia e l’Europa”. Anche Matteo Salvini ha voluto precisare che “la Lega sta e resta convintamente in questo governo per occuparsi di lavoro, tasse, ripresa, salute e sicurezza”. Dalla lista sono scomparsi green pass, vaccini e tutto l’armamentario no pass e no vax messo in campo negli ultimi tre mesi che a quando pare ha infastidito l’elettore di centrodestra. L’unica ad alzare un po’ la testa è Giorgia Meloni che però, anche se per poco, non fa il sorpasso che era convita di fare. Dunque la sua richiesta di “andare subito al voto dopo aver votato Draghi al Quirinale” sembra più una mossa dovuta che una convinzione.

Un voto che fa chiarezza

Il voto del 3-4 ottobre fa chiarezza su tante incognite. Soprattutto spazza via i populismi. A destra e a sinistra dove il grande sconfitto è il Movimento 5 Stelle per cui la cura Conte non ha dato, al momento almeno, l’effetto sperato. Difficile immaginare cosa succederà nell’immediato futuro quando, come dice l’ex premier, “il tempo della semina sarà concluso e arriverà quello della raccolta”. La scena ieri sera in cui lo stato maggiore 5 Stelle - Conte, Fico e Di Maio - corre in modo un po’ goffo a Napoli dal neo sindaco Manfredi (candidato Pd-M5s) e abbandona Virginia Raggi nella solitudine della sconfitta è qualcosa che lascia presupporre a breve nuovi scossoni.

Le amministrative 2021 sono realmente il primo voto post Covid nel senso che iniziano a disegnare la nuova geografia politica post pandemia.

I quattro vincitori

Dalle urne escono, schematizzando, quattro vincitori e quattro sconfitti, ciascuno diverso per contenuti, storia e sviluppi futuri. Tra i vincitori c’è sicuramente il governo Draghi che appena chiuse le urne ha subito convocato la cabina di regia (oggi) per discutere la delega fiscale che andrà in consiglio dei ministri tra domani e giovedì. Come ebbe già a dire il premier, “i partiti discutono, fanno campagna elettorale ma il governo intanto deve governare” per spendere bene i soldi del Pnrr - diverse centinaia di milioni al giorno - che diversamente rischiano di restare incagliati nei meandri delle burocrazie. Ha vinto Carlo Calenda che a mani nude contro i grandi apparati, con una lista sola ma un gran lavoro fatto strada per strada nella Capitale conquista il 18,5% dei consensi. Un successo mai visto per una lista civica. Il corteggiamento verso i voti di Calenda è già iniziato da parte dei due finalisti, Michetti e Gualtieri. Nessuno dei due sconfitti, anche Raggi, guiderà i propri elettori verso un candidato o l’altro. Il punto è che Calenda sta costruendo una sua propria area politica, “un nuovo centro progressista riformista pragmatico” che non vorrebbe - ma dipenderà dalla legge elettorale - la grande alleanza a guida Pd. Vedremo.

 Ha vinto senza dubbio il Pd, tre grandi città al primo turno (Milano, Napoli e Bologna dove, nelle ultime due, l’alleanza con i 5 Stelle ha funzionato) quando nel 2016 neppure una, le suppletive a Siena (Letta) e a Roma-Primavalle, ex collegio 5 Stelle ora vinto da Andrea Casu, segretario del Pd romano.

Tra i vincitori c’è Forza Italia. Al di là delle cifre (26% in Calabria, 8 % a Napoli, sopra il 5% in tutte le grandi città), insperate fino a poche settimane fa, il centrodestra si salva e mantiene una prospettiva solo grazie a Forza Italia. Letta, dal Pd, la mette così: “Abbiamo dimostrato che il centrodestra è battibile perché non c’è più un federatore come lo è stato Silvio Berlusconi”.

Un riconoscimento e una centralità che i due leader della destra italiana avevano ignorato con troppo facilità. Forse. Berlusconi in questi giorni tra interviste, smentite e dichiarazioni a margine aveva detto e previsto un sacco di cose. Una soprattutto: “Il centrodestra in Italia non può esistere senza una forza moderata, liberal ed europeista. Per questo Giorgia e Matteo sono unfit per andare a palazzo Chigi e Forza Italia è indispensabile”. Hanno cercato di farle passare come parole dal sen fuggite. Le hanno smentite. Sono state però confermate dalle urne.

I vinti

La centralità che Forza Italia - intesa come area di consenso politico ma non come leadership al momento almeno assente - può rivendicare ci conduce dall’altra parte del foglio. Quella degli sconfitti di questa tornata elettorale. E si capisce così perché Berlusconi ha sempre detto sì ma anche frenato la nascita del “centrodestra di governo” -

Ha perso la politica: il 50% di astensione è una pessima notizia, non hanno votato le periferie e questo deve preoccupare anche sul fronte della tenuta sociale. Quelle periferie che avevano votato in blocco prima M5s e poi Lega. E’ la prova più evidente della sconfitta dei sovranismi e dei populismi. Di chi ha cavalcato no pass e no vax, chi ha detto no a Draghi e all’Europa e chi ha detto sì ma ha continuato ad agire come se fosse no.  Chi ha votato ha mandato un messaggio chiaro: basta perdere tempo in battaglie inutili e chiassose. “Non si vince con le sparate” ha commentato Berlusconi ieri complimentandosi con Occhiuto che ha stravinto in Calabria.

Salvini evita il sorpasso a Milano

 La Lega non va bene ma Fratelli d’Italia non ne approfitta. Salvini evita il sorpasso a Milano anche se solo di un punto percentuale (a 10,4 la Lega; 9,3 Fdi). A Roma Meloni vola al primo posto (17,8%, cinque punti percentuali in più rispetto al 2016), circa il triplo dei voti della Lega (6%) che però triplica i voti del 2016. Il primo posto nella Capitale è conteso da Calenda (17,7) che sembra aver superato il Pd (16,2).  In generale i risultati confermano il testa a testa tra Salvini e Meloni fotografato dai sondaggi in questi mesi.

Certificato il flop del centrodestra a trazione salviniana-meloniana, è necessaria ora una diagnosi accurata e una cura adeguata.

I due leader non potranno dare la colpa ai veleni pre- elettorali, il caso Morisi da una parte e il caso Fidanza dall’altra. I veleni in campagna elettorale sono un classico. Inutile dare la colpa alla magistratura. Salvini, a cui va riconosciuto il coraggio di metterci sempre la faccia, è stato ieri pomeriggio il primo leader a parlare e ad ammettere la sconfitta e gli errori. Soprattutto nella “modalità” della scelta dei candidati: “Li abbiamo scelti troppo tardi e non hanno avuto il tempo di farsi conoscere. Ora concentriamoci sui ballottaggi”.

L’autocritica di Salvini. Esulta Meloni

Il leader della Lega, comunque non ha dubbi sul futuro: “Il centrodestra deve procedere unito visto che comunque alle fine, al di là delle grandi città, avremo più sindaci di prima”. Almeno nei 119 comuni oltre i 15 mila abitanti. Il segretario ha puntato il dito contro gli scandali ad orologeria degli ultimi giorni, le interviste intempestive (ad esempio Giorgetti) e ha confermato una nuova agenda: “Stiamo e restiamo stabilmente nel governo Draghi per occuparci di lavoro, salute e sicurezza”. Giorgia Meloni può fare solo una cosa: rivendicare “la vittoria” e una buona prestazione (inferiore alle attese) e lanciare “il centrodestra a trazione Fdi perchè è molto competitivo”. Ma è una via chiusa, senza sbocco se Meloni non farà prima di tutto chiarezza nella sua base e nella sua classe dirigente rispetto ai nazionalismi e ai sovranismi che escono sconfitti dal voto. E rispetto a certe nostalgie del ventennio. Il fatto è che né Salvini né Meloni potranno mai essere premier di un paese fondatore dell’Europa. La Lega - saldamente nel governo Draghi - ha ancora qualche chance di rientrare nell’alveo delle forze di destra ma moderate che possono ambire alla guida del paese. Con o senza Salvini, non gli mancano i leader, Zaia ad esempio.  Più difficile il percorso per Giorgia Meloni che è rimasta fuori dalla larga maggioranza Draghi, ha accettato il progetto europeo dei Conservatori polacchi e ungheresi e così facendo si è messa nell’angolo con le sue mani. Fratelli d’Italia può ancora cambiare ed evitare così alla sua leader un destino da “perdente di successo” sulla scia di Marine Le Pen. È chiaro che questa metamorfosi richiede ancora più tempo.  

Berlusconi, Coraggio Italia e i sassolini dalle scarpe

Diceva Berlusconi ieri sera parlando al telefono con il neo governatore Occhiuto: “Abbiamo ottenuto una grande vittoria in Calabria, questo dimostra che non si vince con le sparate ma con un progetto politico concreto e condiviso da tutti”. Il giorno prima, a urne aperte, Berlusconi aveva attaccato il modo in cui sono stati selezionati i candidati: “Vengono fuori dalle scelte di questo o quel leader di partito invece che da scelte democratiche”.                

A proposito di centrodestra a trazione moderata e di nuovo centro - quell’area a cui sta lavorando anche Calenda - è da sottolineare il 5 % raggiunto in Calabria da Coraggio Italia (esordio assoluto della lista) ex berluscones usciti da Forza Italia per non finire nelle mani di Salvini e Meloni.  “Abbiamo bisogno di una riflessione profonda - diceva ieri sera Giovanni Toti, tra i fondatori di Coraggio Italia - sul perché abbiamo inseguito l'antiscienza più che la scienza, i no vax più che l'obbligo di vaccino, per quale ragione abbiamo talvolta sottolineato più le differenze sulla politica economica di Draghi che non le nostre affinità”. Il risultato è che “abbiamo consegnato la nostra esperienza di governo di un banchiere centrale, cultura anglosassone, più a destra di Giolitti, alla cultura di sinistra che non gli è propria. Credo che questa sia una colpa profonda, altro che l'autoassolutoria analisi sul sull'inadeguatezza dei candidati”.

 Le prossime due settimane, quelle che decideranno i ballottaggi su Roma e Torino dove la partita è apertissima, sapranno dire molto sulla direzione che intendono prendere Lega e Fratelli d’Italia. Insieme eppure mai così lontani.