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Fdi in subbuglio, tra chi evoca un processo a Donzelli e chi è già preoccupato per i prossimi appuntamenti elettorali

L’alert è arrivato fino ai piani alti del partito. Il senso del ragionamento è: più di qualcosa non ha funzionato sia in Umbria sia in Emilia Romagna

di Giuseppe Alberto Falci   
La premier, Giorgia Meloni (Ansa)
La premier, Giorgia Meloni (Ansa)

È prematuro chiamarlo processo visto che si tratta del primo partito a livello nazionale. Eppure dall’indomani della sconfitta in Umbria ed Emilia Romagna qualcosa si muove dalle parti di via della Scrofa, dove si trova la segreteria nazionale di Fratelli d’Italia. L’alert è arrivato fino ai piani alti del partito. Il senso del ragionamento è: più di qualcosa non ha funzionato sia in Umbria sia in Emilia Romagna. Il caso della regione il cui capoluogo è Perugia preoccupa i vertici di FdI. Alle europee di giugno il partito di Giorgia Meloni, in quel territorio, aveva ottenuto 128 mila voti svettando con il 32%. Quattro giorni fa il consenso si è di fatto dimezzato, la percentuale è scesa al 19,44 per cento in termini assoluti 62 mila preferenze per il partito della presidente del Consiglio. Evidente che non sia corretto confrontare due consultazioni che hanno sistemi elettorali differenti e  soprattutto un impatto diverso sulla popolazione.  

Sia come sia, l’allarme ha fatto scattare la caccia al colpevole. Chi è il responsabile di questo calo di consensi? Quali sono stati gli errori commessi? Ufficialmente l’ordine di scuderia è dissimulare. Evitare di creare il caso e rilasciare dichiarazioni come quelle consegnate ai quotidiani da Tommaso Foti, capogruppo di Fd’I a Montecitorio, e Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione del partito. Il primo ha dichiarato così a Libero: «Dall’inizio del governo Meloni siamo 11 a 3 in termini di vittorie. I rapporti tra alleati non sono in discussione, c’è sempre stato un principio di vasi comunicanti nel centrodestra per cui una volta sale uno, una volta sale l’altro. Il prossimo anno ci aspettano partite importanti per questo bisogna presentarsi bene allenati. L’allenatore saprà scegliere la miglior formazione possibile». In scia  Donzelli: «Se guardiamo a due mesi fa, il centrodestra avrebbe dovuto subire una batosta. Abbiamo perso, gli elettori hanno sempre ragione, e se ne deve prendere atto. Ma una cosa ci terrei a dirla, come premessa da cui è impossibile prescindere. Che nelle tornate regionali, da quando siamo al governo, abbiamo vinto 11 regioni e perso in 3. Il centrodestra conferma il suo consenso sul territorio».

L’arte della dissimulazione non è sufficiente a nascondere il malumore diffuso all’interno del partito. A più livelli il pissi pissi di palazzo evoca una sorta di processo: «È vero che siamo il primo partito, è vero che il calo dei consensi rispetto alle europee nelle due regioni al voto domenica e lunedì scorso è più o meno legato a logiche locale, ma è anche vero che noi come perno della coalizione avremmo dovuto metterci di traverso rispetto alla candidatura della governatrice uscente Donatella Tesei».

Ed è a questo punto del ragionamento che la responsabilità della sconfitta viene attribuita a chi come Donzelli detiene le chiavi dell’organizzazione del partito e dei rapporti con gli altri azionisti della coalizione. Inoltre, sempre le stesse fonti, rimproverano sempre a Donzelli di aver siglato l’accordo con Stefano Bandecchi, il Trump italiano, che avrebbe dovuto agevolare la vittoria del centrodestra e  ha invece allontanato tutto l’elettorato moderato.

Donzelli processato? Va da sé, Meloni non ridimensionerà Donzelli di cui si fida ciecamente e che conosce da tempo immemore. Fra i due il feeling professionale, e non solo, rimane. Difficile pensare che Donzelli possa essere sostituito come responsabile organizzazione. A maggior ragione, a poche settimane da Atreju che sarà una kermesse dalla quale Meloni intende rilanciare l’azione del partito. La discussione comincerà ma a bassa voce, senza sollevare polveroni. Tuttavia da ora in avanti non bisogna commettere errori del genere. La scelta dei candidati sarà vagliata attentamente puntando su profili che possono allargare.

Entro il 2025 torneranno al voto otto regioni. Alcune delle quali strategiche, come la Campania e il Veneto. Nella regione più popolosa del Mezzogiorno il centrodestra può sbancare al botteghino anche perché il centrosinistra a oggi è diviso in due a causa di Vincenzo De Luca intenzionato a candidarsi ugualmente per la terza volta. Discorso diverso in Veneto, regione bianca negli anni della Prima Repubblica poi diventata super leghista. Zaia non sarà della partita e Meloni vorrebbe conquistare una regione del Nord puntando sul senatore Luca De Carlo. Ecco perché nelle prossime settimane Meloni vorrà incontrare i due vicepremier Tajani e Salvini per iniziare a discutere. Iniziando dal comandamento: vietato sbagliare.

di Giuseppe Alberto Falci   
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