[Il ritratto] Fassino il “grissino di ferro” che ha scaricato Renzi e vuole il patto con i Cinque Stelle. Nostradamus con Travaglio e Appendino
L’ex premier lo aveva eletto come suo ambasciatore prima delle elezioni nella speranza di cucire e ricucire alleanze salvifiche, e che subito dopo il voto esprimeva il pensiero del Capo dicendo da Vespa che vedeva «molto difficile un accordo con i Cinque Stelle per la distanza enorme che ci separa», oggi è diventato il principale riferimento di quelli che guardano a un nuovo corso del Pd, magari senza Renzi e alleati dei grillini. È stato un buon sindaco, un buon ministro e un buon segretario di partito. Ma viene ricordato più per le sue parole incaute
Il dramma dell’etereo Fassino, così diafano nel suo metro e 92 per 66 chilogrammi, è che le sue parole sono sempre state più pesanti di lui. Da quella volta che a Repubblica Tv disse che «se Grillo vuol fare politica fondi un partito e vediamo quanti voti prende. E perché non lo fa?», lo chiamano Nostradamus, anche se «la sottile linea rossa» resta il suo soprannome più azzeccato. Eppure Piero Franco Rodolfo Fassino, figlio e nipote di partigiani, ex calciatore della Juventus nelle giovanili, cattolico credente formato dai gesuiti dell’Istituto Sociale di Torino, sessantottino senza eskimo già in giacca e cravatta a 14 anni, è un politico di lungo corso che è passato indenne dalla Prima alla Seconda Repubblica sopravvivendo alle lacerazioni dei post comunisti ingabbiati nelle liti distruttive fra Veltroni e D’Alema, bell’e pronto e preparato per la Terza che sta per nascere, e anche solo per questo meriterebbe di non essere troppo sottovalutato.
Deve questa sua longevità sicuramente a un certo fiuto politico e a buone doti da amministratore, tanto che nelle sue esperienze da ministro ha sempre ricevuto più lodi che critiche. Ma anche e soprattutto alla grande capacità che possiede di smentire se stesso. Il renziano di ferro, che l’ex premier aveva eletto come suo ambasciatore prima delle elezioni nella speranza di cucire e ricucire alleanze salvifiche, e che subito dopo il voto esprimeva il pensiero del Capo dicendo da Vespa che vedeva «molto difficile un accordo con i Cinque Stelle per la distanza enorme che ci separa», oggi è diventato il principale riferimento di quelli che guardano a un nuovo corso del Pd, magari senza Renzi e alleati dei grillini.
Fassino, il “grissino di ferro”
Così Fassino è tornato da Vespa e ha detto l’esatto opposto delle cose che aveva affermato appena qualche giorno prima: «Le vie d’uscita dallo stallo possono essere due: un governo per scrivere insieme nuove regole con una nuova legge elettorale, o prendere atto del fatto che bisogna tornare a un nuovo bipolarismo e che da tre i poli tornano a due. Uno c’è già ed è il centrodestra. L’altro può nascere tra pd e 5 Stelle». Badate bene: come visione politica è probabilmente molto più utile ai democratici di quella che sogna di fare la ruota di scorta a Berlusconi e alla Lega. Ma quello che stupisce è Fassino. Ancora una volta ha dimostrato di essere più veloce di se stesso. Leggero com’è ci riesce sempre. Sono le parole che pesano. O che lui non pesa, fate voi. Quando Renzi si candidò alle primarie del pd alla fine del 2012 lui era con Bersani. Naturalmente lo dichiarò: «Renzi? Grande capacità mediatica, ma il Paese ha bisogno di una guida esperta. Per questo io sto con Bersani».
Difatti. Dopo due mesi, con la velocità della luce, era già uno dei maggiori sostenitori di Matteo Renzi, e chi si ricordava più della guida esperta: «E’ lui l’uomo forte che rappresenta la capacità di novità». Da segretario dei Ds, eletto dopo la batosta del 2001, aveva fatto molto bene, salvando un partito già allora sull’orlo dell’abisso. Ogni tanto però gli scappava qualche parola di troppo, qualche previsione delle sue. Marco Travaglio ha raccontato che si lamentava spesso con il direttore dell’Unità, Antonio Padellaro, perché faceva a suo dire un giornale troppo sbarazzino e siccome nessuno sembrava dargli troppo ascolto una volta sbottò: «Se volete fare di testa vostra, fatevi un nuovo giornale vostro e poi vediamo come va». Padellaro e Travaglio gli dettero retta: nacque il Fatto Quotidiano che ancora c’è. L’Unità, invece, non c’è più. Due anni dopo, nel 2009, venne la profezia su Grillo. Già nel 2013 il Movimento era il primo partito. Solo che a Fassino ogni tanto gli scappa. E’ più forte di lui, quando gli girano. A maggio del 2015, da sindaco di Torino, stufo delle continue critiche che gli rivolgeva quella giovincella di consigliera comunale dei grillini, Chiara Appendino, sbottò in aula con il dito puntato: «Un giorno lei si segga su questa sedia se vince le elezioni e poi vediamo se sarà capace di fare tutto quello che oggi ha auspicato di poter fare!!». Eh santiddio. Quando ci vuole ci vuole. Ma chi si credeva di essere quella lì? Un anno dopo la Appendino si è candidata. Purtroppo l’ha stracciato: 70 a 30.
Ecco, a Fassino gli succede. Non è capace a star zitto. Cosìì finisce per essere ricordato per le sue parole, e non per quello che ha fatto. Tutti sanno che venne intercettato al telefono con Giovanni Consorte, manager Unipol, mentre gli diceva: «E allora siamo padroni di una banca?». Pochi rammentano che vinse tutti i processi contro il fratello di Berlusconi che aveva fatto pubblicare sul Giornale quella chiacchierata e pure contro Silvio, condannati anche a pagare un risarcimento. In realtà, è stato un buon segretario dei Ds, che sotto la sua segreteria risalirono la china tornando a vincere con Prodi, un buon ministro e anche un buon sindaco alla fine, perché ha cercato di dare un progetto a una città in profonda crisi. Il problema è che con quella sua aria da torinese secco e gentile nascondeva neanche troppo bene le magagne di un partito soffocante nella sua occupazione di potere, l’espressione di un sistema che stava asfissiando Torino. Dopo la sconfitta alle elezioni comunali, ha avuto più di un diverbio con la Appendino, che lo ha accusato di non aver detto tutta la verità sui conti disastrati: «E’ una bugiarda. Torni a studiare. Prendo atto che a ogni difficoltà anziché assumersi le proprie responsabilità, preferisce attaccare me con accuse false. O è in malafede o deve tornare sui banchi della Bocconi».
Ora tutto questo sembra dimenticato. «Bisogna guardare avanti», ha detto alla Stampa.
La rottura con Renzi
«Non si può fare politica con la testa voltata indietro». Andando avanti, è cominciata proprio da Torino la sua rottura con Renzi. In Piemonte ha deciso di giocare la carta di Daniele Bortoli come candidato alla segreteria regionale, assieme ad Orlando, per prendersi in mano il partito. Con l’appoggio anche di Sergio Chiamparino, uno che è passato da «renziano antelitteram» a «diversamente renziano»e infine adesso ad antirenziano. Solo che il governatore del Piemonte lo fa in silenzio, misurando sempre le parole. Daniele Bortoli non è solo un antirenziano della prima ora. E’ qualcosa di più. Come dimostra la sua critica più delicate verso l’ex premier: «Può capitare che un leader perdente e ulteriormente indebolito perda la strada del buon senso. Ma questa è la realtà e dobbiamo evitare che faccia danni ulteriori». Qualcuno sospetta che se non dovessero vincere sarebbero pronti a uscire dal partito per fondarne un altro: «Mai più con Renzi». Nascono anche da qui le voci di scissioni, che per adesso Fassino smentisce anche se non allontana del tutto: «Il rischio c’è sempre. Ma nessuno se lo augura».
Lui, il «grissino di ferro», che da bambino cantava 24mila baci imitando Celentano, come ha raccontato la sua tata Elsa, e che quando non parla ama Mozart, il jazz, Pirandello, Brecht e persino ballare il rock and roll, sostiene con l’aplomb di un vecchio saggio che per il governo non si può chiudere tutte le porte come fa Renzi. Se non spara una delle sue, il ragionamento non è campato in aria. Di Maio ha dichiarato che il tentativo con il centrodestra è abortito. Noi, dice Fassino, abbiamo il dovere di sederci a un tavolo, che non vuol, dire per forza fare un governo, ma confrontarsi, tenendo saldi alcuni nostri punti fondamentali: «La collocazione europeista contro ogni sovranismo. Una politica economica che rafforzi la creazione di lavoro tutelato e i sistemi di protezione sociale contro le disuguaglianze. Una gestione dell’immigrazione che non rinunci all’accoglienza e all’integrazione in un quadro di sicurezza dei cittadini. Un impegno forte per il rinnovamento delle istituzioni democratiche». Naturalmente di tutto questo ora non c’è in piedi più niente. Il tavolo con i cinque stelle l’ha fatto saltare Renzi. Il pd deve scegliere solo da che parte stare. Se ancora con l’ex premier o contro. Checché se ne dica, altra soluzione non c’è. E Fassino questo l’ha capito. Se sbottasse «Renzi fondi un suo partito e vediamo che cosa fa», sapremmo già chi è il prossimo presidente del Consiglio, anche se onestamente ci pare impossibile. Ma per adesso non l’ha detto. #staizittofassino.