Elezioni Sicilia, ora Renzi tenta l'apertura a sinistra. Ma rischia la premiership a Palazzo Chigi
Dopo la sconfitta alle regionali siciliane, il segretario del Pd apre all'alleanza con Mdp. Ma cresce anche la fronda interna che gli chiede un passo indietro. Ritorna l'ipotesi del Gentiloni Bis

Dal patto della “crostata” al “patto dell’arancino”. Più passano le ore, e più il paradigma politico delle elezioni siciliane somiglia ad un fine pasto un po’ indigesto per il Pd di Matteo Renzi, che forse stavolta dovrà dividere la famosa scatola di Maalox con Grillo e Cancelleri. Ma se per il M5S, a spoglio ancora in corso, c’è comunque la consolazione di aver più che raddoppiato i consensi dal 2012, con un exploit che promette il bis di qui a sei mesi alle politiche 2018, il Partito Democratico esce nettamente sconfitto dal voto siciliano. E non basta aver tenuto a distanza la sinistra-sinistra di Fava, D’Alema e Bersani. Quel che dimostra, plasticamente, il test in Trinacria è il fallimento della strategia di ri-posizionamento al centro del Partito Democratico, perseguita pervicacemente dal segretario dem negli ultimi tre anni a costo di una costante emorragia a sinistra, fino alla dolorosa scissione di primavera e all’altrettanto dolorosa sconfitta alle amministrative 2017 . La “rottura degli argini” preconizzata da Delrio è in corso e il 3% risicato di Alfano non è sufficiente a fermare il fiume in piena, in Sicilia come a livello nazionale. Né basterà, con un centro-destra rinvigorito dalla ritrovata unità e ormai proiettato verso l’ambizioso traguardo nazionale del 40%, la riproposizione del “patto del Nazareno” in nome della “governabilità” e delle “riforme”. Berlusconi, che in Sicilia vede crescere il gradimento suo e del suo partito con una forbice tra il 10 e il 15% anche in rapporto al peso degli alleati, non ha più bisogno di Renzi per uscire dall’angolo ed ora potrebbe essere tentato -piuttosto che dall’ipotesi di una Grosse Koalition- di dare la zampata finale all’enfant prodige della sinistra liberal italiana. Né più né meno di quanto già visto nel ’98 , quando il Cavaliere, con Prodi Presidente, fece saltare il famoso “patto della crostata”, affondando la Bicamerale di D’Alema e assestando un duro colpo al governo di centro-sinistra, che poi cadde per fuoco amico.
Il cambio di strategia che non spezza l'assedio
Come a dire: passano gli anni, cambiano alcuni dei protagonisti, ma la trama della vicenda politica italiana tende sempre a ripetersi. Come in una storia dal finale già scritto. Ecco perché, se Renzi non vuol fare la fine dei suoi predecessori, stavolta dovrà cambiare totalmente schema di gioco. Ritrovando lo spirito di squadra e, almeno in parte, la perduta unità a sinistra. Già in queste ore il Segretario lancia i primi segnali, partendo dal monito siciliano: a livello nazionale l’attuale centro-sinistra, con Pisapia ed i centristi di Alfano, è competitivo. Secondo le rilevazioni Emg arriva infatti al 26,5% . E con Mdp sarebbe addirittura vincente.
Ma la partita sulle alleanze a sinistra è tutt’altro che scontata. Bersani e i suoi non sono disposti a firmare una cambiale in bianco. Lo ha detto chiaramente il coordinatore Roberto Speranza: “Per costruire una coalizione c’è bisogno di profonda discontinuità, politica e programmatica”. Tradotto: Renzi è il principale responsabile degli errori di questi anni, non può essere lui il leader alla guida di una compagine vincente contro le destre. Anche a livello interno la partita si fa dura per il Segretario Pd, e non è detto che le tardive aperture a sinistra riescano a scongiurare un pressing che rischia di somigliare a un assedio: ad aprire le ostilità potrebbe essere il padre putativo del Pd, Veltroni, ospite previsto martedì alla trasmissione di Bianca Berlinguer Cartabianca. La fronda antirenziana, con i ministri Orlando e Franceschini è pronta di qui alla prossima direzione nazionale del 14 novembre a sfruttare l’esito delle elezioni siciliane per chiedere un “passo indietro” al Segretario nella guida della coalizione. Non è in gioco la poltrona del Nazareno, che gli avversari sono disposti a lasciare a Renzi. Il braccio di ferro si gioca sulla premiership per palazzo Chigi: per tenere la coalizione e provare a salvare il risultato alle politiche occorre una figura unitaria, non divisiva. Il nome che circola, ancora una volta, fra i corridoi è quello dell’attuale Premier Paolo Gentiloni. Qualche giorno fa, un interlocutore addentro alle segrete stanze come Michele Anzaldi assicurava diplomaticamente davanti ai nostri taccuini che Renzi e Gentiloni sono “due leaders complementari” , avvezzi al “gioco di squadra”. Ma non poteva non ammettere, fra le righe, che “al di là dello Statuto nella realtà l’incarico lo conferisce il Presidente della Repubblica sentendo le parti, guardando i numeri e valutando le necessità del paese”.