Crisi di governo, elezioni e il rischio di una mezza vittoria per il (centro)-destra
Il dazio da pagare per aver deciso di mandare a casa il Presidente Draghi alla fine potrebbe essere maggiore del previsto per Lega e Forza Italia
In un caldissimo pomeriggio d’estate il governo Draghi è caduto e per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana si andrà al voto in autunno. Il tutto mentre una serie di eventi che ricordano le piaghe d’Egitto si abbattono sul paese uno dopo l’altro: pandemia, siccità, coltivazioni devastate, roghi, inflazione alle stelle, caro-energia, persino le cavallette in Sardegna.
La concreta prospettiva di una vittoria elettorale
A scatenare la crisi sono stati i 5S di Conte, ma a staccare la spina definitivamente sono stati Silvio Berlusconi e Matteo Salvini incitati e spalleggiati da Giorgia Meloni. Si tratta di un trio che nell’ultimo anno e mezzo, pur facendo parte della stessa coalizione, ha vissuto da separati in casa, con conflitti che da latenti sono divenuti sempre più palesi e sempre più difficili da ricomporre, in particolare quando si è trattato di elezioni e candidature, ultimi il caso della Sicilia e quello della Lombardia. E che all’improvviso si ritrova di nuovo sulle stesse posizioni in un rinnovato afflato unitario la cui ragione è una sola: la concreta prospettiva di una roboante vittoria elettorale.
I numeri
Dietro la mancata fiducia all’esecutivo Draghi da parte di Berlusconi e Salvini c’è dunque un calcolo e una scommessa che parte dalle lusinghiere cifre dei sondaggi e dalla tendenza che questi ultimi hanno registrato negli ultimi mesi. Prima della crisi di governo le rilevazioni attribuivano grosso modo il 20% a Fratelli d’Italia, il 15% alla Lega e il 10% a Forza Italia. Numeri tali quindi da garantire il raggiungimento della soglia del 45% che in molti reputano necessaria per assicurarsi il numero di seggi tali da garantire una solida maggioranza in entrambe le camere.
Calcolo e scommessa
Il calcolo fatto negli ultimi giorni e reso evidente con l’uscita dall’aula del Senato è che dal punto di vista del confronto elettorale, per come si è sviluppata, la crisi di governo offre un vantaggio notevole: la disintegrazione del campo largo, l’alleanza tra PD e 5S, e quindi la possibilità di vincere un numero ancora più consistente di collegi. La scommessa è che il dazio da pagare in termini di consensi per aver scatenato la crisi sarà tutto sommato modesto.
Un problema al centro
A parte il fatto di aver precipitato il paese in una crisi avventurosa, tutto sommato inutile e sicuramente incomprensibile a chiunque debba dare fiducia al nostro paese, il ragionamento, dal punto di vista della coalizione dei tre partiti ha una sua logica che tuttavia alla fine potrebbe dimostrarsi stringente solo fino a un certo punto. Determinando le dimissioni definitive di Mario Draghi e facendolo senza che vi fosse una ragione forte come avrebbe potuto essere un contrasto su un provvedimento identitario o di bandiera, il centrodestra ha quanto meno confuso, ma probabilmente anche deluso parte dei suoi elettori, in particolare quelli più moderati che si ritrovavano in Forza Italia. Il loro disorientamento potrebbe acuirsi qualora il partito di Berlusconi e quello della Lega decidessero di dare vita a una lista unica per contrastare il progetto egemonico di Meloni. La coalizione potrebbe essere percepita allora come troppo appiattita a destra e trovarsi così ad avere un problema al centro che è il luogo elettorale dove i voti si guadagnano e vengono sottratti all’avversario.
Altri smottamenti
Il quadro potrebbe essere complicato dal malessere di quella parte della Lega meno barricadera e più pragmatica e governista che si riconosce nella linea di Giancarlo Giorgetti e dei presidenti di Regione Luca Zaia e Massimiliano Fedriga. Il malessere è lì latente e anche se alla fine rimanesse tale potrebbe comunque determinare qualche piccolo smottamento.
Un dazio maggiore del previsto
Il dazio da pagare per aver deciso di mandare a casa il Presidente Draghi alla fine potrebbe essere maggiore del previsto. Forza Italia, rinunciando al suo ruolo centrista, potrebbe registrare la predita di una quota significativa di consensi cui si potrebbe aggiungere una limatura di quelli leghisti, senza che Fratelli d’Italia possa aumentare oltre i suoi consensi esterni all’alleanza, avendo probabilmente già preso dai 5S tutto quello che era possibile prendere.
Mezza vittoria
Questione di pochi punti percentuali, che tuttavia potrebbero determinare un risultato più vicino al 40% che al 45% e assicurare una maggioranza debole al Senato. Quest’ultimo, a seguito della riforma costituzionale, avrà solo 200 membri; le sorti di un futuro governo potrebbero quindi, come prima e più di prima, essere appese a una manciata di senatori. E l’ipotesi di una schiacciante vittoria alla fine rivelarsi solo una mezza vittoria. Che poi è anche una mezza sconfitta, come ricorderà Pierluigi Bersani.