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Europee 2024: la grande scommessa di Meloni, l'incognita Salvini, le difficoltà di Schlein e Conte

Una tornata elettorale che si apre alle 3 del pomeriggio e che per molti è il girone di ritorno di come andarono le Politiche di due anni fa

Giuseppe Alberto Falcidi Giuseppe Alberto Falci   
Da sinistra: Meloni, Salvini, Tajani, Schlein, Conte (Ansa)
Da sinistra: Meloni, Salvini, Tajani, Schlein, Conte (Ansa)

Ultimo giro di comizi. Da mezzanotte silenzio elettorale. Oggi urne aperte dalle 3 del pomeriggio. Si vota per le elezioni europee e alle amministrative di diverse città strategiche per gli equilibri politici del Paese. Ma sono le prime a preoccupare i partiti di maggioranza e opposizioni. Il sistema di voto è proporzionale e questo ha innescato la partita all’interno della coalizione. 

Il test supremo per Meloni

Giorgia Meloni si gioca tanto in questa competizione. La presidente del Consiglio ha voluto personalizzare il match, trasformandolo in una sorta di referendum sull’azione dell’esecutivo. Insomma, si legge elezioni europee ma ci si trova davanti un quesito del tipo: l’esecutivo Meloni, a quasi due  anni dal suo insediamento, ha superato la prova o dovrà ripetere l’anno? Per un attimo l’entourage di Meloni ha pensato di potere fare en plein alle elezioni europee. Superare il 30% risulterebbe un successo enorme, equivalente al 40% di Renzi nel 2014 o al 34% di Matteo Salvini nel 2019. Oggi però le aspettative dei meloniani si sono notevolmente abbassate. «Basterebbe confermare il numero delle elezioni politiche» ha scandito Raffaele Fitto, ministro agli Affari europei e dirigente assai ascoltato da Meloni. Non a caso la presidente del Consiglio in queste ore si è detta preoccupata del possibile forte tasso di astensione: «Ho bisogno che i cittadini non si girino dall’altra parte, a me serve essere forte. Sono sempre preoccupata per l’affluenza. Le Europee sono elezioni strane. Ma non sono preoccupata per il mio risultato. Vediamo come va». Vincere ma non stravincere sarebbe in fondo lo scenario ideale per l’inquilina di Palazzo Chigi. Se fosse così non si aprirebbe il dossier rimpasto, scenario storicamente delicato perché significherebbe andare a ridiscutere ogni singola casella. 

Macché rimpasto

Meloni fin qui ha rispedito al mittente la parola rimpasto, sottolineando che non appartiene alla sua storia politica. Dopodiché le europee, vissute da tutti come il girone di ritorno delle elezioni politiche, sono da sempre un passaggio complicato per chi sta al governo. Nel 2019 l’asse gialloverde che sembrava destinato a regnare per cinque anni venne spezzato da Salvini all’indomani dell’exploit di consensi per il rinnovo del Parlamento Ue. E adesso? In pochi scommettono su una scenario in cui salti tutto e si torni al voto. Certo poi la politica non è una scienza esatta. Tutto dunque può succedere. 

L'incognita degli alleati

Tanto dipenderà dalla performance dei due alleati di Giorgia Meloni. Matteo Salvini ha puntato tutte le fiches sul generale Vannacci. La mossa non è stata condivisa dallo stato maggiore dei leghisti del Nord che attendono al varco il loro capitano. Se Vannacci intercetta la pancia del Paese infuriata con l’esecutivo Meloni, il leader della Lega salva sé stesso e il progetto di Lega nazionale. Altrimenti i vari Zaia e Fedriga, espressione della vecchia Lega antifascista del Nord, chiederanno il conto. In sintesi, verrebbe prima di tutto messa in discussione la linea politica del leader di via Bellerio e come conseguenza la sua leadership. 

Il campo comodo di Forza Italia

Una tornata elettorale che invece dovrebbe far respirare Antonio Tajani. La forza moderata e rassicurante del centrodestra “rischia” di superare la Lega di Salvini. A quasi un anno dalla scomparsa di Silvio Berlusconi in tanti definiscono la vitalità di Forza Italia «un miracolo fatto da Antonio». Il leader degli azzurri ha silenziato le anime più eretiche della casa madre, ha rivitalizzato il partito nei territori, gode di un rapporto personale con Giorgia Meloni, è stimato in Europa, ed è la voce della maggioranza più ascoltata dal Capo dello Stato. Comunque vada sarà un successo, sussurrano da quelle parti. 

Tutte le difficoltà di Schlein

Quanto al centrosinistra, il campo largo è ancora in alto mare. Il sistema proporzionale non aiuta le coalizione ma esalta i distinguo. Elly Schlein sembra uscire rafforzata dalla polarizzazione con Giorgia Meloni. È vero, si dovrà aspettare il voto prima di qualsiasi giudizio definitivo. A oggi non sembrano esserci terremoti all’orizzonte. Poi chissà. 

Conte, e gli altri

Giuseppe Conte è preoccupato per la forte astensione al sud e perché storicamente il M5s non ha mai sfondato alle europee. Nel corso della campagna elettorale ha fatto spesso il controcanto al Pd. Ma è consapevole che senza un’alleanza organica con il Pd non potrà tornare a Palazzo Chigi. 

Ecco poi  ci sono i vari cespugli centristi. Matteo Renzi ha puntato tutte le fiches sulla lista Stati Uniti d’Europa, risultato di una fusione con Emma Bonino. La soglia del 4% è alta ma non impossibile. Certo se si fosse alleato con Azione di Calenda sarebbe stato più facile. Il grande centro rinascerà? Il cantiere è sempre aperto, senza perdere di vista il centro del centrodestra presidiato da Antonio Tajani e Maurizio Lupi. Dopo le europee se ne riparlerà. Nell’attesa tutti, da destra alla sinistra di Fratoianni e Bonelli che ha schierato Ilaria Salis, fino alla lista Terra Pace e Dignità di Michele Santoro, incrociano le dita sull’affluenza: la grande incognita di questa due giorni di voto. Assieme al Mezzogiorno d'Italia. 

Giuseppe Alberto Falcidi Giuseppe Alberto Falci   
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