Gli effetti collaterali del No di Giorgia. Il rischio per il nostro Pnrr e per la legge di bilancio
Abbiamo bisogno di un Commissario forte con deleghe economiche per gestire le nuove regole del Patto di stabilità e il rinvio del Pnrr. Il No del governo ci mette all’opposizione. E rischiamo di avere deleghe minori. Ecco come sarà la nuova Commissione. La promessa di Ursula: “Pronti a governare prima del voto Usa”

Il delegato Nato per il fronte sud, ruolo sollecitato dal governo italiano, sarà affidato ad uno spagnolo. Si dice che non ci sia alcun nesso di causalità con il No di Fratelli d’Italia al bis di Ursula von der Leyen. Sarà. Resta il fatto che era stato il governo italiano a sollecitare questa “nuova” figura, ma all’Italia non è toccata e che questo succede proprio dopo lo sciagurato No. Coincidenze.
La scelta di Giorgia Meloni di mettere il governo nazionale all’opposizione dell’esecutivo europeo è qualcosa le cui conseguenze non possiamo misurare nè oggi nè domani. Gli effetti collaterali, che ci saranno sicuramente, si spiegheranno nel tempo e in varie forme. Possiamo stare certi che ogni giorno saranno una delle più ricorrenti chiavi di lettura delle analisi politiche: la scelta di una destra antisistema; il rifiuto di diventare una destra europeista e moderna; il famoso “guado di Giorgia” di cui si parla da mesi da cui la premier è uscita “restando quello che siamo” in nome di una presunta coerenza che però non coincide con con l’interesse nazionale.
Alcune date certe
Ci sono comunque alcune date certe in cui sarà possibile misurare fino a che punto l’Italia sarà considerata “per il suo peso di terza manifattura e seconda per valore industriale a livello europeo e perchè abbiamo un governo stabile” che sono i motivi per cui Giorgia Meloni l’altro giorno ha spiegato di “non temere ritorsioni”.
Qui non si tratta di ritorsioni, si tratta di scelte ovviamente legittime: il governo italiano ha scelto di non condividere il percorso di questa maggioranza europea, di mettersi contro e di valutare quello che farà dossier su dossier, di non fidarsi nonostante i rapporti privilegiati che Meloni ha avuto nell’ultimo anno con von der Leyen e nonostante i numerosi riconoscimenti, soprattutto sull’immigrazione. E’ chiaro che avremo il nostro commissario “ministro”. Ma con quali deleghe è a questo punto insondabile.
Alcune date certe, si diceva. E capitano tutte nell’ultima parte dell’anno. La prima sarà tra metà agosto e i primi di settembre: entro il 15 i paesi membri devono indicare a von der Leyen i nomi dei loro candidati, “un uomo e una donna” ha precisato la neo eletta. La Presidente ha spiegato di voler “fare presto con la squadra” perchè vuole essere operativa “entro la fine di ottobre”. Una data non casuale: prima del 5 novembre, prima del verdetto Usa e di sapere chi sarà il prossimo inquilino di Washington.
Tre passaggi stretti
In quelle stesse settimane il governo dovrà affrontare passaggi smetti e e delicati. Almeno tre. Il primo: a settembre Bruxelles, la nuova Commissione, ci dirà quale dovrà essere “la traiettoria” del rientro del nostro deficit e della diminuzione del nostro debito. Ci diranno insomma come dovranno essere applicate le nuove regole del Patto di Stabilità, quello firmato a dicembre 2023, e la “cura” a noi riservata visto che, ce ne siano dimenticati, siamo sotto procedura d’infrazione. Il secondo: in quegli stessi giorni il governo dovrà scrivere la legge di bilancio 2025, trovare quei trenta miliardi necessari per mantenere i provvedimenti della scorsa legge di bilancio, a cominciare dal taglio del cuneo fiscale e dall’accorpamento delle aliquote Irpef. I punti 1 e 2 sono collegati: il deficit, la capacità di spesa, per il 2025 sarà decisa dal nuovo Patto di stabilità.
Il terzo punto su cui si misureranno gli effetti collaterali della scelta di giovedì 18 luglio e del No a Ursula è il Pnrr. Uno dei primi step della nuova Commissione riguarderà il Pnrr. L’Italia - non solo ma soprattutto - chiede di allungare i tempi del Piano che prevede la consegna dei cantieri entro il 2026. L’Italia sarà anche il primo paese per richiesta delle rate - incassata la quinta andiamo per la sesta - il problema è che abbiamo “messo a terra” solo il 20% dell’incassato. Non ce la faremo mai a finire entro il 2026. Per noi, per la nostra economia, per le nostre finanze è indispensabile che il Pnr venga spostato di un paio d’anni.
Fitto in pole ma…
Per tutti questi motivi - e non solo - il governo italiano avrebbe dovuto scegliere di essere alleato del “Vdl2” (bis di von der Leyen) e non contrario. L’Italia ha bisogno di avere una commissione amica, almeno sulla carta pur valutando di volta in volta come votare sui singoli dossier. Che è quello che Giorgia Meloni ha detto che farà, con il piccolo dettaglio che per presunta strategia politica (non farsi superare a destra dalle destre; non lasciare a Salvini lo spazio per logorarla da destra; vedere che succede a Washington) ha voluto alzare il ditino e mettersi dall’altra parte. Per tutti questi motivi il più arrabbiato in queste ore è proprio il ministro Raffaele Fitto. In seconda battuta Giancarlo Giorgetti.
Giorgia Meloni proporrà sicuramente Fitto. Ci serve un commissario economico, con una delega pesante come quella al Bilancio, abbinata alla competenza sul Pnrr. Identikit che risponde in tutto e per tutto al suo ministro più fidato restio però a traslocare a Bruxelles se la delega non fosse quella che serve e visto i dossier che segue a Roma sono altrettanto pesanti. E cruciali.
La nuova Commissione
Ancora due parole sulla nuova Commissione. Superate le colonne d'Ercole della rielezione, la presidente dell'esecutivo Ue non vuole ripetere gli errori del quinquennio appena trascorso: uno su tutti, rimanere prigioniera dei giochi di potere tra i big di Palazzo Berlaymont. Thierry Breton, Margrethe Vestagger, Frans Timmermans, solo per fare alcuni esempi, hanno a lungo duellato in questi anni, tra tensioni e dispetti. Von der Leyen vuole quindi una Commissione più snella nella struttura e più accentrata nei poteri. Francia, Spagna e Polonia i paesi a cui dovrà fare maggior riferimento.
Come primo step, von der Leyen ha annunciato una serie di nuove deleghe: alla Sburocratizzazione (con il grado di vicepresidente), alla Difesa, al Mediterraneo, all’Equità inter-generazionale, agli Alloggi, alla Pesca e agli Oceani. Nomi altisonanti per spacchettare ulteriormente i poteri di singoli commissari e, soprattutto, direzioni generali.
Francia, Spagna e Polonia sono Paesi con cui Ursula deve comunque fare i conti.
Sarà, certamente, una Commissione a trazione Popolare. Sono 13 i membri del Ppe, contro quattro Socialisti (Danimarca, Spagna, Malta e Romania). Cinque se Nicolas Schmit, Spiztenkandidat di S&D, otterrà la delega agli Alloggi sebbene il Lussemburgo sia governato dal Ppe. I liberali, oltre a Kaja Kallas e Breton, possono puntare su pochissimi big. I Conservatori avranno due commissari, un italiano e un ceco. Con una differenza: il partito di Petr Fiala ha votato a favore di von der Leyen, Fratelli d'Italia contro. “Lavorerò il più possibile con chi mi ha sostenuto” ha scandito von der Leyen. Nel Ppe c’è una nutritissima fronda che vuole escludere l'Italia dalla stanza dei bottoni e che non ha alcuna intenzione di ascoltare più gli inviti di Forza Italia a dialogare con Ecr. Tempi duri per Tajani.
E' difficile, comunque, che von der Leyen voglia assegnare a Roma una delega palesemente punitiva. Più realisticamente, l’Italia potrebbe puntare alla Sburocratizzazione o alla Coesione. Niente di che, insomma.
La visita di Costa
La premier è convinta che l’Italia avrà il ruolo che le spetta in Europa indipendentemente dal voto contrario di Fdi. Il suo staff indica, a riprova di questo, che lunedì Palazzo Chigi riceverà il nuovo presidente del Consiglio europeo, il socialista Antonio Costa che, al pari di von der Leyen, non ha avuto il sostegno italiano per la nomina. “Non lo abbiamo votato ma si sono sentiti già dal giorno dopo e ora viene a Roma” è la spiegazione di una prima linea del partito. Diciamo che Costa deve fare il suo giro istituzionale nelle 27 capitali e comincia della più vicine. Un altro punto a favore della scelta di Meloni indicati dal partito è che “noi siamo fuori dal cordone sanitario” visto che abbiano avuto due vicepresidenti. Altro motivo per cui “non ci sono timori sulla trattativa delle prossime settimane”. Non c’è dubbio che se avessimo votato a favore sarebbe tutto più semplice.
Preoccupa anche la scelta della donna da indicare. E se fosse scelta la donna invece dell’uomo? E quale potrebbe essere la donna con le stesse competenze di Fitto?
Nelle scorse settimane erano circolate le ipotesi di Elisabetta Belloni, capo dei servizi e sherpa del G7, o di Letizia Moratti. Ma nessuna delle due, stando ai bene informati, sarebbe davvero in corsa. Si parla piuttosto di una figura che ancora non è caduta sotto i riflettori, non “politica”. Anche perché il “cavallo” su cui punta il governo italiano resta il ministro pugliese, con il via libera già incassato, stando alle dichiarazioni pubbliche, degli alleati. “Fitto sarebbe un ottimo commissario” dice Matteo Salvini, che ha fatto sapere di essere in “totale sintonia” con la premier. Disinnescare Salvini era uno degli obiettivi di meloni: almeno questo per ora è stato raggiunto.
Antonio Tajani si è spinto anche oltre: “Anche se non del mio partito, Fitto sarebbe il miglior commissario possibile” perché “conosce bene le dinamiche di Bruxelles”.
La concorrenza
Intanto c’è da mandare avanti la macchina del governo. Lunedì pomeriggio ci sarà un Consiglio dei ministri con il varo della nuova attesa legge sulla Concorrenza, che rientra tra gli adempimenti del Pnrr. Sempre sul Piano dovrebbe arrivare anche la nuova relazione semestrale mentre venerdì sarà la volta del Piano per le Zes. Tutti impegni che stanno in capo a Fitto. Da sistemare presto, a maggior ragione se all'orizzonte ci fosse il salto da ministro a commissario.