[L’intervista] “Vi spiego perché il decreto Dignità è una buona legge che difende i lavoratori”
Dialogo con Maurizio Di Fazio, autore del libro “Italian Job, viaggio nel cuore nero del mercato del lavoro italiano”. “Non c’è progresso possibile se manca un quadro regole. Spesso dietro patina progressista si celano concetti di sfruttamento antichissimi. Tutto si basa sull’algoritmo che è l’incarnazione del vecchio padrone che cinicamnte pensava al suo profitto riducendo il prestatore d’opera a mero elemento di intercambiabile di un ingranaggio infernale”

“E’ come se si fosse creata una nuova classe sociale non ancora codificata, un nuovo proletariato di sfruttati che vede saldate categorie un tempo molto lontane fra di loro come i piloti delle compagnie low cost e gli operai delle fabbriche regrediti a condizioni pre-fordiste, i riders e i commessi della grande distribuzione e della logistica, costretti a turni massacranti e resi quasi schiavi dall’algoritmo dell’efficienza. Sul piano dei diritti nel lavoro in questi anni si è davvero toccato il fondo, era necessaria un’inversione di tendenza”. Maurizio di Fazio è l’autore di “Italian Job. Viaggio nel cuore nero del mercato del lavoro italiano” Sperling &Kupfer) quasi una discesa dantesca nella selva oscura dei nuovi lavori all’italiana, dove l’imperativo della flessibilità e del profitto hanno sostituito ogni regola, ogni diritto, ogni possibilità di intermediazione sindacale, destrutturando il vecchio concetto di lavoro organizzato, dentro una cornice di smaterializzazione che a volte trasforma persino il luogo fisico di lavoro in una app, e lo stesso salario in un’opzione variabile, soggetta alla resa del singolo e non più alla contrattazione collettiva delle prestazioni. Sono gli effetti di 25 anni di riforme, l’ultima delle quali, il Jobs Act,rappresenta il punto d’arrivo della precarizzazione del lavoro, la resa incondizionata alle logiche dell’economia on demand, suggellata dall’abolizione dell’articolo 18. E poco importa se crescono il Pil e l’occupazione, sottolinea il libro, quando dentro il coteggio dei nuovi occupati finiscono anche lavoretti di pochi mesi o poche ore.
Di Fazio, il decreto “Dignità” è legge. E’ un provvedimento che da’ le risposte che chiedono i lavoratori italiani?
“Personalmente sono favorevole, lo vedo come un primo passo necessario nella giusta direzione, con un riequilibrio verso il mondo dei lavoratori, dopo tanta deregulation lato impresa. Il lavoro a somministrazione, ad esempio era diventato un passe partout per sfruttare e legalizzare milioni di ragazzi. Il ritorno alla causale dopo 12 mesi è importante così come la riduzione del tetto da 36 a 24 mesi. Si poteva osare di più sull’articolo 18, che in questi anni è stato ingiustamente trasformato in uno spauracchio e che andrebbe invece reintrodotto, magari sotto altre forme, come strumento di tutela del lavoro. Invece penso che si debba fare attenzione sui voucher appena ripristinati monitorando affinché dall’agricoltura e dal turismo non vengano progressivamente estesi ad altri settori, provocando le storture del recente passato che hanno visto l’erogazione di decine di milioni di voucher applicati indistintamente a qualsiasi tipo di lavoro. Infine trovo positivo il tentativo di agganciare i finanziamenti ottenuti dalle aziende al periodo di permanenza in Italia. Forse è vero che non si possa eliminare lo sfruttamento per decreto, ma a questo punto era necessario dare un segnale e creare discontinuità. Bisogna sfatare il mito tardo-liberista che vorrebbe tradurre flessibilità e iniezione di risorse all’impresa automaticamente in posti di lavoro.
Il Jobs Act però sembrerebbe aver funzionato: l’Istat certifica come dalla sua introduzione nel febbraio 2015 a giugno 2018 siano stati creati 900 mila posti di lavoro in più, anche se per due terzi a termine.
“Guardando i dati soprattutto dell’anno scorso si vede che il 90% dei nuovi assunti è a tempo determinato con contratti di un mese o di pochi giorni. Il trend era questo: un netto peggioramento della qualità del lavoro a fronte di un aumento della quantità di nuovi assunti che però non possono e non devono giustificare il trionfalismo di marca renziana, che difatti è stato bocciato dalle urne. Non si può accettare un futuro legato a filo doppio a lavoretti che di lavoro non hanno più nulla perché spesso non sono nemmeno più agganciati a un’idea di salario vera e propria. I giovani lo sanno: oggi si viene pagati spesso nelle forme più bislacche, con rimborsi spese, cambi merce, persino like su Facebook in cambio in visibilità. Le parole definiscono la sostanza delle cose. Torniamo a chiamare le cose col loro nome: il salario deve essere un salario, il lavoro deve essere un lavoro, e non può essere definito tale quando copre l’arco di una giornata o di alcune ore. Il lavoro, quello vero, deve preludere ad un progetto anche di vita, a una garanzia di futuro così come viene stabilito a parole nella nostra Costituzione.

Italian Job parla della qualità del lavoro, delle relazioni all’interno delle aziende, del venir meno del ruolo dei sindacati all’interno dei luoghi di lavoro. Ci si si rende conto che questa precarizzazione selvaggia ha investito non soltanto i settori tradizionali del lavoro meno qualificato ma anche professioni in tempo molto ambite come nel caso Ryanair o come i lavoratori della FCA. Marchionne celebrato in questi gg come il grande innovatore il pontiere che ha saputo salvare la vecchia fiat portandola a diventare una grande multinazionale a cavallo fra due mondi, ma a che prezzo?
“Intenzionalmente giustappongo i lavori più classicamente collegabili a bassi salari e sfruttamento e a fianco a loro parlo di lavori che ancora oggi nell’immaginario collettivo sono percepiti come privilegiati. Parlo dei piloti delle low cost perché anche se percepiscono stipendi ancora sopra la media nazionale vivono una situazione assolutamente paradossale, che prevede il conteggio della retribuzione soltanto a partire dal momento in cui sono in volo. Tutti i tempi che intercorrono prima, dall’esame del velivolo all’imbarco passeggeri, fino all’accensione dei motori non è retribuito. Una logica del cottimo che costringe al doping da prestazione, pericolosissimo per mestieri così delicati e carichi di responsabilità".
Recentemente, una statistica della London School of Economics ha certificato che il 60% dei piloti è stressato ed assume psicofarmaci per gestire la tensione. E’ normale?
"E’ proprio come se si fosse creata una massa indistinta di un nuovo sottpproletariato che vede categorie un tempo molto lontane fra di loro accomunate dagli stessi problemi. Come gli operai delle fabbriche “modello” che non avrebbero mai immaginato, quarant’anni fa una dimensione del lavoro aziendale senza contratto fisso, senza mutua, tredicesima, assistenza sanitaria. Un quadro di tutele che allora era frutto di una continua tensione verso la progressione nei diritti, ed oggi sembra inimmaginabile, complice il progressivo arretramento dei sindacati".
Nel libro parli anche delle professioni intellettuali: giornalisti, artisti, scrittori, professionisti dello spettacolo.
“Quello dei giornalisti è un problema serio, perché proprio i giornalisti che oggi dovrebbero essere considerati fondamentali guardiani dell’informazione contro le fake news in realtà vengono sviliti da retribuzioni risibili e da una prospettiva di stabilizzazione che rappresenta ormai un miraggio per migliaia di professionisti. La stessa dura battaglia per l’equo compenso portata avanti dal sindacato in questi anni si è ridotta al riconoscimento di soli 3000 euro all’anno. Idem per i lavoratori intermittenti del mondo dello spettacolo, molto meglio tutelati in altre nazioni europee, come in Francia, dove anche il tempo che trascorre tra un ingaggio e l’altro viene coperto da un sussidio statale".
La sinistra davanti al grande equivoco della globalizzazione e alle nuove forme di economia non ha saputo cogliere i rischi dietro le opportunità vere o presunte legate all’apertura dei mercati e alla flessibilizzazione? L’esempio emblematico nel libro è quello dei riders, definiti “collaborarori” dal datore di lavoro ma a tutti gli effetti dei dipendenti sottopagati a cottimo. Si riuscirà a portare ordine in questo settore?
“Bisogna che la politica inizi a superare questo equivoco, che l’ha vista consegnarsi in modo quasi messianico alle grandi aziende multinazionali della Gig Economy nella convinzione che il progresso e modernità non potessero che avere effetto positivo su economia ed occupazione. In realtà non c’è progresso possibile se manca un quadro regole. Spesso dietro la patina progressista si celano concetti di sfruttamento antichissimi. Tutto si basa sull’ algoritmo che è l’incarnazione del vecchio padrone che cinicamnte pensava al suo profitto riducendo il prestatore d’opera a mero elemento di intercambiabile di un ingranaggio infernale. Una riedizione di Tempi moderni di Chaplin, in versione 2.0."
Perché in Germania Foodora ha accettato di equiparare i propri fattorini a lavoratori subordinato, mentre non lo ha mai fatto in Italia?
"Le aziende non parlano di “ dipendenti “ ma di “collaboratori”. Rimangono emblematiche le parole di Giuanluca Cocco ad Foodora Italia, che qualche anno fa definiva i ciclofattorini come dei privilegiati perché fanno un lavoro all’aria aperta e guadagnano qualche soldo pedalando: oggi si capisce che era una grandissima mistificazione”.
Italian Job è una riflessione amara sul mondo del lavoro italiano, ma è anche un’invito alla riflessione sul consumo consapevole. Cosa dovremmo fare ogni volta che clicchiamo il pulsante “acquista” sulle nostre app?
“Oggi siamo arrivati alla metafisica dei consumi. Ognuno di noi si è abituato a consumare in un modo sempre più frenetico e sempre più egoistico, alimentando un circolo vizioso che spinge sempre più verso il massimo dello standard di prestazione al prezzo inferiore, nel più breve tempo possibile. E’ una vera e propria rivoluzione della concezione dell’acquisto, specie da quando c’è Amazon : costa meno, viene recapitata in tempi record . Ma dietro tutto questo c’è lo sfruttamento dei lavoratori schiacciati dentro un sistema che massimizza il profitto al vertice e non lo redistribuisce alla base, desertificando tutto attorno a se. Noi ci accorgiamo come le nostre scelte si ripercuotono su noi stessi solo quando a nostra volta vestiamo i panni dei lavoratori. L’erosione dei nostri diritti inizia da lì: dalla pretesa di prestazioni standard innaturali come dalle aperture h 24 delle Gdo, da un biglietto aereo a prezzo stracciato come dalla pretesa di leggere un buon articolo senza pagare un centesimo per il lavoro che c’è dietro".