Draghi trova più soldi per le fasce più povere. Il Quirinale stoppa speculazioni sul bis di Mattarella
Il risiko per l’elezione del Presidente della Repubblica si fa sempre più complicato. Il premier tiene il punto sull’impianto della legge di bilancio e sul taglio tasse. Nessuna tassa per i ricchi. Due miliardi in più per la fascia fino a 35 mila euro

Una cosa si può dire che con certezza: Mario Draghi non sta facendo nulla per compiacere una parte o l’altra del Parlamento in vista delle urne presidenziali. Va avanti, invece, come ha detto ieri in un convegno dedicato a Guido Carli, cercando di osservare la regola per cui “nella ripartenza bisogna collaborare tutti per l’opportunità straordinaria” data anche dal Pnrr “per ridurre le diseguaglianze” ed evitare conflitti sociali come quelli degli anni '70. E come sempre, anche ieri seduto in prima fila ad ascoltare la conferenza stampa di tutte le ministre del suo governo che presentavano il pacchetto di norme penali contro la violenza di genere, nulla traspare dal viso del premier. La Sfinge, del resto, è uno dei suoi nickname almeno tanto quanto Supermario.
Nonostante i suoi sforzi, anche nel silenzio pervicace con cui non replica ad alcuno scenario che ormai da giorni impazzano su siti di informazione e quotidiani, è sempre lui al crocevia della scena. Al centro del risiko Quirinale. Vuole salire al Quirinale? Sì, ma con quali voti visto che la maggior parte dei parlamentari non lo voterebbe perchè vuole che continui l’azione di governo ma soprattutto per non mettere a rischio la legislatura? Vuole restare a palazzo Chigi? E allora perchè non dirlo. Sta addirittura pensando di lasciare l’incarico di governo, qualunque cosa accada? O sono solo voci veicolate ad arte da fonti “qualificate” per fare pressione sul Parlamento perchè accetti in blocco la sua candidatura? Una cosa è certa: Sergio Mattarella non cerca il bis. E ieri ha pure fatto pervenire tutto il suo fastidio per tattiche e pressioni.
No al contributo di solidarietà
Anche il metodo del premier è sempre lo stesso: ascoltare tutti, anche fuori dal Parlamento, e poi decidere. Fare sintesi. E poiché quasi mai le decisioni mettono tutti d’accordo, è chiaro che una parte risulta più o meno accontentata. L’oggetto della contesa ora sono “due”: legge di bilancio e taglio delle tasse, come investire gli 8 miliardi che il governo ha destinato ad alleggerire la pressione fiscale. Notare bene che si tratta di due procedimenti - in realtà il taglio delle tasse è un capitolo della manovra - già approvati da cabine di regia e consiglio dei ministri dopo svariate riunioni. Già in Commissione al Senato dove sono arrivati ben 6300 emendamenti di cui 4500 circa “solo” delle forze di maggioranza. Cioè di quelle che hanno approvato il pacchetto in Consiglio dei ministri. A questo si aggiunge che i sindacati - non in Parlamento e neppure al governo ma sempre interpellati dal premier in ogni decisione che riguarda il mondo del lavoro - hanno criticato lo schema di investimento degli 8 miliardi, sette destinati al taglio dell’Irpef e uno al taglio dell’Irap. Così ieri il premier nella solita cabina di regia prima del consiglio dei ministri, ha “riaperto” il dossier fiscale per smussare alcune disparità emerse nelle ultime ore.
Ma nuovi aiuti per i redditi sotto i 35 mila euro
La proposta sul tavolo ieri mattina, dopo un lungo pomeriggio a tu per tu con i sindacati, era chiara: congelare per un anno il taglio dell’Irpef per i redditi sopra i 75 mila per trovare i soldi per abbassare le bollette alle famiglie più povere. Un “contributo di solidarietà” valido un anno per rendere più equo questo primo taglio di tasse. In questo modo veniva data risposta a due richieste: dare di più ai più poveri; limitare gli effetti del caro-bollette sui bilanci familiari delle fasce più basse di reddito. Inoltre, un’ulteriore limatura del cuneo fiscale sotto i 35 mila euro. Ma la maggioranza si è spaccata sul “contributo di solidarietà”, la prima parte della proposta: FI, Lega, Iv e parte del M5s si sono messi di traverso: “Sa di patrimoniale” hanno detto. Pd, Leu e altri pentastellati l’hanno difesa. Il risultato però alla fine, al di là dei tatticismi di giornata nel cavalcare una polemica piuttosto che un’altra, accontenta un po’ tutti: il Mef ha comunque trovato 300 milioni contro il caro-bollette (oltre i 500 già previsti); Draghi ha comunque deciso di tagliare ulteriormente il cuneo fiscale sotto i 35 mila euro. Si tratta di un miliardo e mezzo recuperato sempre dal capitolo Irpef.
Le tabelle del Mef
Alla fine nulla è stato tolto ai più ricchi. Molto di più è stato dato ai più poveri. Pur restando nello stesso schema: 7 miliardi per il taglio dell’Irpef; un miliardo per l’Irap. E ai sindacati che ancora ieri denunciavano la disparità per le fasce più povere, il Mef ha dimostrato, tabelle alla mano, che non è così. Quasi la metà dei 7 miliardi (3,3) va ai redditi fino a 28 mila euro; circa 2,7 alla fascia tra 28 e 50 mila euro; un miliardo per le due fasce restanti. Il punto è che la prima fascia, la più bassa, è anche quella più affollata con 32,7 milioni di contribuenti. Ecco perchè alla fine risulta più basso il benefici annuo derivato dal taglio dell’Irpef (pari a 150 euro). Nelle dinamiche politiche si cerca sempre, per schematizzare, chi vince e chi perde. Talvolta succede che “vincono” tutti: i più ricchi si tengono il taglio Irpef che spetta alla loro fascia (i più beneficiati sono le fasce tra i 28 mila e i 75mila con una media di 500 euro di risparmio fiscale); i più poveri avranno 800 mila euro contro il caro bollette e e un miliardo e mezzo destinati ad una decontribuzione dello 0,7% per i redditi fino a 35mila euro. Che si sommerà - rimarca il governo - al taglio Irpef.
Il risiko Quirinale
“Draghi ha fatto una proposta che ha convinto tutta la maggioranza. Non ci sono state divisioni, c'è stata una valutazione approfondita e una soluzione nell'interesse di tutti” ha commentato Mariastella Gelmini, ministro per gli Affari regionali. Draghi prosegue lungo la via del dialogo anche con le parti sociali: tra due settimane partirà, come promesso, il tavolo a palazzo Chigi sulla riforma delle pensioni e sarà anche approvata entro fine anno (lo ha detto il ministro Orlando) la norma sulle delocalizzazioni finora bloccata dai veti in maggioranza.
Anche Italia viva, insieme a Lega e Forza Italia, è soddisfatta: “Salutiamo con grande favore la decisione del presidente Draghi e del Consiglio dei ministri di confermare in Legge di bilancio l'impianto dell'intervento fiscale di riduzione delle tasse a cui abbiamo dato un contributo determinante anche grazie al lavoro determinante della Commissione Finanze. Del resto qualsiasi ipotesi che preveda un prelievo aggiuntivo, non andrebbe nella direzione che lo stesso premier Draghi ha più volte ribadito e in cui ci riconosciamo pienamente: non è il momento di prendere i soldi ai cittadini, ma di darli”.
Anche questo episodio deve essere contestualizzato.Il punto è capire se i partiti di maggioranza affrontano questa Manovra come la prima o l’ultima del governo Draghi. In altre parole se è un provvedimento su cui cercare consenso in vista di una campagna elettorale nella primavera 2022. Oppure se è più semplicemente la prima di Draghi e la penultima della legislatura. La differenza è enorme: nel primo caso si capiscono più che bene i 6300 emendamenti di cui 4617 solo delle forze di maggioranza. Per cui c’è da aspettarsi di tutto nelle prossime settimane perché ciascuno, da Lega a Iv, da Forza Italia a 5Stelle, difenderà e vorrà quello che qualcuno ha promesso. Nel secondo caso siamo di fronte al più classico dei posizionamenti delle forze parlamentari che come sempre vedono nella legge di bilancio l’occasione migliore per “rappresentare”, e quindi portare soldi, al collegio che li ha eletti.
Il Pd fa arrabbiare il Colle
Vedremo. L’unica cosa che non è in forse è che dal 18 gennaio ogni giorno è buono per la convocazione delle Camera e aprire l’urna presidenziale.
Mai il puzzle è stato così complicato. Ieri si è aggiunto un “pezzo”: un intervento abbastanza clamoroso da parte del Quirinale. L’occasione è stata la proposta di legge costituzionale firmata dallo stato maggiore del Pd che abolisce il semestre bianco e vieta la rielezione del Presidente uscente. Esattamente quello che chiede e ripete in ogni occasione pubblica il Presidente Mattarella che non ha alcuna intenzione di dare seguito alla sirene che salgono dal Parlamento e proprio dal Pd circa il mantenimento del tandem vincente: Draghi a palazzo Chigi, Mattarella al Quirinale. Almeno fino a fine legislatura. La riforma del Pd però avrebbe valore “dalla prossima volta”. Non adesso. E sotto sotto è diventato un modo per compiacere Mattarella. E magari invitarlo a restare ancora un po’.
Tutto questo però ha infastidito il Quirinale. Che ieri ha fatto filtrare il suo malumore: se la norma passa, deve valere fin da subito.
Torna anche l'ipotesi Ursula. Con Lega fuori
Il Nazareno, insomma, ha fatta arrabbiare Mattarella. Tanto che ieri girava voce che questa fosse veramente la pietra tombale sul suo secondo mandato. A questo punto però il dossier Quirinale diventa sempre più complicato per il Pd. Eliminato il candidato che contava di più in casa democratica (ma molto meno in ambito Lega), resta solo Mario Draghi.
Il Presidente del Consiglio, senza dubbio, aspira al trasferimento ed i partiti non sono in grado di dirgli di no. Sulla carta, il consenso è molto alto, talmente alto, che anche i franchi tiratori sarebbero inutili . Per altri invece Draghi non avrebbe i voti per salire al Colle. Chi lavora a stretto giro con il premier chiarisce anche che la legislatura arriverebbe alla fine, affidata per gli ultimi dieci mesi ad uno tra il ministro Franco e la guardasigilli Cartabia. La novità di ieri è che in questo caso la Lega potrebbe uscire dalla maggioranza consegnando governo e maggioranza al cosiddetto format Ursula. Romanzo Quirinale, appunto.