La maggioranza in pressing sulla legge di Bilancio: 6300 emendamenti. E Draghi sta perdendo la pazienza
Nonostante accordi già blindati e sottoscritti, Forza Italia presenta 1100 emendamenti. Pochi meno di mille 5 Stelle e Lega. Pd intorno a 800. I 5s ci riprovano con cashback. La Lega con flat tax. Indiscrezioni su dimissioni del premier dopo il via libera alla manovra

Seimila e trecento emendamenti. Forza Italia ne firma 1100, M5s più di novecento, il Pd 865, Lega 976. Persino il gruppo Misto prova a dire la sua con 890. Ragionevole, tutto sommato, Italia viva che ne ha presentati meno di cinquecento. A ben vedere, si è “quasi” comportata bene Fratelli d’Italia che, pur essendo l’unica opposizione, si è fermata a 785. Ora, il giochino della valanga di emendamenti è tipico di ogni legge di bilancio. E’ la legge più importante dello Stato, quella che decide la spesa e i soldi che possono essere distribuiti, per molti parlamentari è il motivo stesso della loro presenza in Parlamento. Ma questo accadeva prima della pandemia, nelle annate normali, quando il testo della legge arrivava in Commissione consapevole di poter crescere il budget di un paio di miliardi destinati a mance. e mancette. La speranza era che non accadesse in occasione della prima - e forse unica - manovra firmata da Mario Draghi, in un passaggio molto stretto della legislatura in bilico tra elezione del Capo dello Stato, fine anticipata della legislatura, l’onda lunga della quarta ondata del virus, una crisi istituzionale e di rappresentanza nei partiti che in quattro anni ha ridisegnato completamente il consenso nel paese.
Parlamento incartato
Invece le cose accadono come e peggio di prima. Tanto che c’è da chiedersi a che gioco stiano giocando un po’ tutti i protagonisti della scena politica. Premier e ministro economico Franco hanno parlato chiaro nei numerosi incontri in cabina di regia e al tavolo del consiglio dei ministri: la legge di Bilancio ha un budget di circa 25 miliardi di cui otto sono destinati al taglio delle tasse (le aliquote passano da cinque a quattro; sette miliardi per il taglio dell’Irpef; un miliardo per il taglio dell’Irap), il tesoretto per il Parlamento bloccato a 600 milioni. Mai così poco. Hanno anche fatto capire, premier e ministro, di non tirare troppo la corda perchè il tempo è poco, le cose da fare sono molte, il cronoprogramma del Pnrr incombe con scadenze serrate. E invece sul decreto fiscale Fratelli d’Italia s’è messa a fare il solito ostruzionismo a oltranza per cui la norma è nelle sabbie mobili della Commissione alla Camera. E al Senato sono spuntate 6.300 bandierine.
Pd: “Al Mef c’è un problema di metodo"
I 5 Stelle, non contenti di aver tutto sommato salvato il Reddito di cittadinanza, hanno pensato bene di presentare emendamenti che ne allargano l’utilizzo agli stranieri in Italia da 5 anni (adesso è dieci) e altri che ripristinano l’accesso al Superbonus del 110% che il governo ha corretto con paletti per evitare abusi. Forza Italia ha battuto tutti ma c’era da aspettarselo: è l’unica forza di maggioranza che non ha avuto un suo relatore come invece ha avuto M5s. “Mille e cento emendamenti? Vedremo se Draghi ci ascolta. Altrimenti punteremo i piedi” ha detto ieri la capogruppo al Senato Anna Maria Bernini. La Lega si è messa a chiedere miliardi per “congelare” l’aumento delle bollette, per tagliare ancora le tasse, per bloccare le cartelle. “Dove si prendono i soldi? Non ci sono dubbi, dal reddito di cittadinanza…”. Forza Italia è sulla stessa linea. Si mettono di traverso M5s e Pd. In realtà tutti chiedono che si intervenga sul Superbonus: dovrebbe essere rivisto il tetto Isee di 25mila euro per le abitazioni monofamiliari, legando la proroga anche ai tempi di presentazione delle domande. FI vorrebbe altri due miliardi per il taglio di Cosap e Tosap e promette barricate se non avrà ascolto, Automotive e flat fax oltre i 100mila euro sono i cavalli di battaglia della Lega. Tra gli emendamenti spuntano il cashback (M5s) e le concessioni per i balneari.
Anche i dem ha alzato bandiere, più di ottocento. “Al centro scuola e bollette” dicono. Ma ciò che fa più discutere sono le parole del vicesegretario Provenzano: “Al Mef c’è un problema di metodo” nel senso che le misure e i provvedimenti non vengono spiegati. Ad esempio, non sarebbe stato ben chiarito l’effetto del taglio dell’Irpef sulle fasce più basse. E dire che il ministro Franco ha fama di essere uno fin troppo logico, quasi didascalico.
E se Draghi si dimettesse da premier ….
Insomma, un quadro molto complicato nonostante impegni pubblici e trasversali dei vari leader perchè “Draghi prosegua nel suo prezioso lavoro” addirittura anche dopo il 2023… dove non stupisce che ieri siano circolate indiscrezioni quasi choccanti perchè originate da fonti molto vicine a palazzo Chigi: Draghi, stufo di questo continuo tira e molla e della palude dei partiti, sarebbe pronto a dimettersi subito dopo l’approvazione della legge di bilancio. Dimissioni choc, che spiazzerebbero tutti i partiti messi a quel punto anche davanti all’urgenza di scegliere un candidato condiviso per il Colle. Del resto, una volta approvata la manovra, incardinato il Pnrr, aver vaccinato il Paese quasi al 90 per cento (entro la fine dell’anno), il premier può legittimamente dichiarare missione compiuta. E avere mani libere, senza alibi o altro, per andare al Colle. A quel punto, se così non dovesse essere, il Parlamento se ne assumerà le conseguenze. A cominciare dalla dimissioni di Draghi da palazzo Chigi. Un altro scenario circolato nelle ultime ore parla sempre di dimissioni da premier però un secondo dopo aver constatato che non essere stato eletto Presidente della Repubblica. Ruolo a cui l’ex presidente della Bce aspirerebbe senza aver mai pronunciato in pubblico mezza sillaba su questo argomento.
L’assalto alla manovra
Inconsapevoli o colpevolmente sordi e ciechi, ieri i leader di vari partiti hanno dimostrato di voler giocare col fuoco.
La manovra, che doveva essere blindata e andare via veloce, cambia i connotati via via che le delegazioni escono da palazzo Chigi dove, nella sala Verde, Draghi sta incontrando tutti i gruppi per blindare il testo della manovra. I 5 Stelle lunedì, Forza Italia, Lega e Pd ieri pomeriggio, oggi Italia viva, Leu e Autonomie. C’è spazio per poche modifiche e concordate. Della serie che i 6300 emendamenti sono diversivi destinati a sparire e a ridursi nei classici 500 “segnalati”. E allora, perchè presentarli?
Cambierà il Superbonus che avrà maglie più strette, aumenteranno i fondi per arginare i rincari delle bollette, arriverà una nuova sospensione delle tasse per i tavoli esterni a bar e ristoranti. Ma il tempo è poco da qui a fine anno e arrivare in Aula al Senato il 17 dicembre, come programmato, sembra oggi difficile.
Anche i sindacati si lamentano
A tutto ciò va aggiunto il pressing dei sindacati per cambiare la proposta, già condivisa dai partiti, del taglio delle tasse. Draghi “ascolta e cerca una sintesi” come raccontano Lega, Forza Italia, Pd dopo averlo incontrato nella sala verde di Palazzo Chigi. Il “metodo” lo ha raccontato lo stesso premier, a un evento sulla transizione ecologica davanti a sindacati e imprese. “Per sfide essenziali per l'Italia e il futuro - ha detto Draghi - l’importante è che tutti trovino il modo di andare d’accordo". In ballo ci sono solo una “crescita davvero equa e sostenibile” e una “rivoluzione industriale” innescata dalla transizione ecologica che per non lasciare indietro nessuno deve nascere sulle basi di un “buon sistema di relazioni industriali” e una cooperazione tra “industria, istituzioni, sindacati, scuola” per “aiutare lavoratori di oggi e di domani”.
E’ un messaggio che parla di unità nazionale e non sfugge ai partiti che entrano a Palazzo Chigi e guardano alla prossima sfida per il Quirinale fiduciosi che Draghi continui a fare il premier.
La pazienza sta per scadere
Dai partiti passa la tenuta dell'accordo in manovra per il taglio di 8 miliardi di tasse (7 sull'Irpef, 1 sull'Irap) che poco piace alle parti sociali. “Chiediamo ancora al governo di cambiare idea” diceva ieri mattina Pierpaolo Bombardieri della Uil che con Luigi Sbarra (assente Maurizio Landini) ascoltava le parole di Draghi dalla platea. I sindacati ventilano lo sciopero. Il motivo è che non sono stati interpellati su come impegnare gli 8 miliardi. E francamente non si capisce perché avrebbero dovuto visto che non siedono in Parlamento. Ci vuole tanta pazienza per gestire le continue rivendicazioni dei sindacati e dei vari partiti. E Draghi, che finora almeno ha ascoltato sempre molto e tutti, potrebbe non averne più.