Draghi e Letta, eccellenze che l’Italia snobba e l’Europa invece corteggia
Entrambi gli ex premier sono stati incaricati di dare le linee guida della nuova Europa. Intanto ieri, dopo aver sottoscritto tre importanti memorandum commerciali con la Tunisia di Saied, Meloni è volata a Bruxelles per il Consiglio informale. I leader Ue favorevoli a Draghi. Ma la maggioranza in Italia frena. Salvini lo attacca

Oggi un altro italiano, un altro ex premier, parlerà all’Europa del suo futuro fornendo ricette e soluzioni. E’ una possibile pagina storica. Di cui andare fieri e orgogliosi. E su cui riflettere seriamente. Dopo le anticipazioni del rapporto sulla Competitività di Mario Draghi (che sarà presentato ufficialmente solo dopo il voto) tocca ad Enrico Letta illustrare al Consiglio europeo cosa devono fare i 27 per realizzare pienamente ed implementare il mercato unico. Un’altra relazione, frutto di mesi di lavoro, che detta i compiti da fare per il Consiglio e la Commissione che verrà. Poi dovremo anche chiederci com’è che quelli che noi non riusciamo/vogliamo a fare i premier, vengono invece scelti a livello europeo per analisi e ricette così strategiche. Sono mestieri diversi, senza dubbio. Ma sia per Letta che per Draghi e la brusca interruzione dei rispettivi incarichi ia palazzo Chigi non fu certo quello il problema.
La quinta libertà
E’ stato Enrico Letta, che dopo la segreteria Pd è diventato presidente dell’Istituto Jacques Delors (e prima ancora ha avuto la docenza all’istituto di formazione politica Science Po, ad anticipare ieri alcune linee del proprio report. “Nel rapporto indico due grandi problemi. Il primo è la frammentazione, ci sono settori interi dove non è l’Europa ma sono i 27. Questa frammentazione fa sì che Cina e Stati Uniti ne approfittino. Quindi bisogna eliminare tante frammentazioni e fare in modo che si riesca ad approfittare della nostra intera dimensione di scala. Succede nella produzione di aeroplani e infatti vinciamo”. Il secondo problema è “la mancanza di innovazione, di ricerca e di sviluppo che negli Stati Uniti e in Cina è molto maggiore”. Letta ha anticipato proporrà di “eliminare tante frammentazioni e tante frontiere, di unificare ed integrare”. Sulla seconda criticità la proposta riguarda “la quinta libertà di movimento fondativa dell’Europa”. Il mercato unico che Delors aveva creato - ha spiegato Letta - era chiamato “mercato unico delle quattro libertà di movimento di beni, servizi, capitali e persone. Io proporrò di inserire una quinta libertà che riguarda il tema della conoscenza, della ricerca, della innovazione e delle competenze.E cercherò di dare la forza giuridica e tutti gli strumenti perchè questo trascini l'Europa dentro il XXI secolo fino in fondo, altrimenti saremo sempre indietro”. Rafforzare lo spazio comune partendo dai tre pilastri del mercato interno: trasporti, telecomunicazioni, commercio. La proposta non è la creazione di un bilancio federale nè la stabilizzazione del debito comune - sarebbe al di fuori dell’incarico - ma la realizzazione di una serie di riforme omologhe e contemporanee nei 27 finalizzate a rafforzare il mercato unico, le frontiere europee e le opera infrastrutturali. Dopo il roaming, l’alta velocità.
Complementari
I due report, per quello che ne sappiamo finora - Letta svelerà tra poche ore l’impianto della sua proposta lunga 150 pagine, per Draghi occorrerà aspettare la fine di giugno - sembrano complementari. Fatti e pesanti per correre insieme. Quasi che i due autori avessero deciso di agire separati per poi “colpire” uniti per riuscire a realizzare di più, prima e meglio.
Martedì, in Belgio, in una delle tante conferenze a cui è invitato, Mario Draghi ha stupito un po’ tutti per aver anticipato una piccola parte delle conclusioni di un report frutto di mesi di incontri e colloqui (l’incarico gli fu dato a settembre dalla presidente von der Leyen). Draghi ha sempre detto come la pensa sull’Europa. Anche quando era premier, in ogni suo intervento a Bruxelles, a Strasburgo e ovunque il funzionamento e il futuro dell’Europa fossero il tema sul tavolo, ha sempre messo al primo posto la necessità di avere lo "Stato Europa” e non più la somma di 27, con confini e bilanci comuni, unico modo per sostenere le sfide economiche e commerciali che arrivano da Stati Uniti e Cina e le incertezze della geopolitica. Martedì a La Hulpe, in Belgio, l’ex presidente della Bce ha sottolineato l'urgenza di una maggiore e rapida integrazione. “Non abbiamo il lusso di poter rinviare le decisioni, per assicurare coerenza tra i diversi strumenti per rilanciare la competitività della Ue occorre un nuovo strumento strategico per coordinare le politiche economiche”. Il suo report sarà un vero e proprio manifesto per la nuova Europa che dovrà eliminare tutte quelle regole comunitarie assurde e dannose che hanno fatto sì che oggi un’auto cinese costa il 40% di una costruita in Europa. Appartiene al capitolo competitività la necessità di rafforzare le difese militari, l’approvvigionamento energetico, di avere un bilancio federale con una dotazione di almeno 500 miliardi di euro di fondi europei per rilanciare e sostenere la competitività e le riforme nei singoli Stati. E poi una strategia per difendere le industrie europee, per tenere il passo con le nuove tecnologie e garantire le risorse all’agenda climatica. L’Europa è un gigante normativo ma si è ridotta, così facendo, ad un nano politico e finanziario che deve cambiare urgentemente e radicalmente. Con ricette diverse e da punti di vista diversi, due eccellenze italiane stanno indicando alla prossima Commissione, al prossimo Consiglio e Parlamento europeo cosa fare, come e perchè. Un programma comune firmato dall’Italia. Su cui Giorgia Meloni non si è ancora neppure vagamente pronunciata.
Il silenzio di Meloni, il vento a favore in Europa
Anche ieri a Bruxelles al Consiglio europeo informale è stata una dei pochi leader Ue che non hanno commentato il prezioso lavoro in ticket Draghi-Letta. Eppure questa specificità tutta italiana - potremmo definirla superiorità intellettuale e programmatica - è una carta che premier e governo devono giocarsi sui tavoli che contano, europei e Nato.
Inutile dire che sia Letta che Draghi hanno perfettamente lo standing per ricoprire ruoli di vertice in Europa. E’ altrettanto chiaro che il nome di Draghi è presente da mesi nei vari bilaterali tra i leader europei. Era dicembre quando iniziò a parlarne il presidente Macron. E’ anche evidente a tutti, anche ai più ingenui, che parlarne ora, a cinquanta giorni dalle urne europee, vuol dire fare un bel falò di proposte, idee e progetti. La domanda che tutti si fanno è perchè Draghi - che parla di rado anche se con abbondanza - abbia lui stesso voluto anticipare alcuni passaggi del suo report che finora era stato tenuto segreto. Non i principi generali - lo Stato Europa - che sono noti da sempre. Lui ovviamente smentisce con chiunque lo abbia avvicinato di ambire ad incarichi o altro. E’ semplicemente giusto e necessario che i 750 milioni di cittadini europei conoscano la diagnosi del malato Europa prima che vadano a votare.
Detto questo il toto Draghi è purtroppo cominciato. Per lui sarebbe più idoneo, forse, il ruolo di Presidente del Consiglio europeo anziché della Commissione. Un ruolo più operativo e delicato visto che il presidente del Consiglio è colui che deve trattare con i singoli stati per far camminare le decisioni della Commissione.
Ma per ipotizzare ogni tipo di scenario è necessario aspettare l'esito delle elezioni. Un concetto che ieri a Bruxelles ha ben espresso Emmanuel Macron, forse il principale sponsor di Draghi. “E’ un amico formidabile ed è stato un grande presidente del consiglio - ha detto Macron - ma la politica non si fa così. Ora dobbiamo prima di tutto andare a votare e vedere cosa voteranno gli europei. Poi si parlerà di nomine”. Draghi piace perfino a Viktor Orban che per la seconda volta ieri ha espresso il suo gradimento pur precisando di non voler “interferire” con questioni italiane. A Bruxelles, a parte i grandi temi in agenda a cominciare dalla due guerre e dal sostegno militare all’Ucraina, un altro tema molto discusso nei colloqui a margine è stata l’opportunità o meno di indicare uno Spitzenkandidat per la commissione. I polacchi premono e l'ex premier Mateusz Morawiecki ha anche già un nome, quello dell'europarlamentare Jacek Saryusz-Wolski. Il leader del Pis polacco ha avuto un lungo dialogo con Meloni anche sulle “configurazioni politiche dopo le elezioni del Parlamento europeo”. Cautela, ma non chiusura, da parte di Morawiecki sul nome di Draghi: “Resta da vedere se ci sia abbastanza potere politico per presentarlo come un candidato valido”.
Il no di Salvini. E di Fratelli d’Italia
Par di capire che fino al 9 giugno l’ex presidente della Bce resterà lontano da microfoni e conferenze. O, almeno cercherà di fare meno riferimenti possibili alla nuova Europa, poco o nulla che possa essere confuso con un suo manifesto programmatico. “Sapete com’è quello che entra in conclave papa e poi ne esce cardinale” ironizzava ieri il capogruppo di Fdi alla Camera Tommaso Foti. E il pensiero di tutti è andato ai primi giorni del ’22 quando Draghi, allora premier, dovette rinunciare al Quirinale.
Ha sorpreso invece l’entusiasmo sul nome di Draghi raccolto tra i presidenti di regione italiani tutti a Bruxelles per il Comitato europeo delle regioni. Fedriga, Tesei, Cirio, Marsilio, tutti i governatori di destra hanno espresso l’auspicio di vedere Draghi con alti ed importanti incarichi.
Si vede che non sono stati briffati prima. Nessuno dal partito gli ha dato la linea sul punto.
Il libro
Sicuramente non lo ha fatto la Lega. Ha colpito - ma fino ad un certo punto - il tempismo con cui Matteo Salvini ha fatto uscire le anticipazioni del suo libro (in uscita il 25 aprile) in cui per l’appunto di parla di Draghi. In quelle pagine Salvini svela uno stile dell'ex premier che non ha convinto molto il leader leghista. Che faceva parte del suo governo ma, racconta, non è stato consultato sulla scelta dei ministri (alcuni “sconcertanti”). Mentre “fui sondato come tutti i leader del centrodestra per una sua eventuale ascesa al Colle”. Il problema, racconta Salvini nel libro, “è che quando gli chiesi cosa sarebbe successo del governo, la risposta fu che ci avremmo pensato allora”. Una risposta che non piacque perchè nessuno di coloro che stava al governo voleva elezioni anticipate. Che invece arriveranno comunque a luglio perchè Draghi non riusciva già a governare una squadra che pensava di fare campagna elettorale invece di assumere decisioni importanti. E così a votare si ci siamo andati lo stesso. E proprio in quel settembre del 2022.
Del futuro di Draghi ne parlano un po’ tutti i partiti italiani alle prese con le liste per le elezioni europee (il 20-21 si depositano i simboli; il 29-30 le liste). Ma a voce alta lo fanno solo Matteo Renzi perchè “per avere gli Stati Uniti d’Europa serve Draghi”. E, separatamente, anche Calenda.