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Mattarella ha detto qualcosa di “sinistra": il paese reale, i diritti non riconosciuti, le disuguaglianze

Nei sedici minuti dal Quirinale, il Capo dello Stato decide di non fare alcun riferimento ai più attuali dossier della politica. Difende però la Carta e pronuncia un duro atto di accusa. Dalle guerre alla violenza. Chiede il rispetto dei diritti e la ricerca di una nuova umanità. Il dovuto plauso bipartisan dei vari leader. A cominciare dalla premier

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   

Tutti dicono “bravo Presidente”, “grazie Presidente”. Ha parlato “a tutti noi”, “ci ha indicato cosa fare nel 2024”, dalla ricerca della pace ai giovani, la violenza come tratto e nemico comune di queste nostre vite così diffusa in ogni aspetto del quotidiano che quasi non ci rendiamo conto. Tutti, da Giorgia Meloni, che lo chiama e ci parla subito dopo la diretta a reti unificate dal Quirinale, a Elly Schlein, tutti i ministri e uno per uno e tanti parlamentari, da destra e da sinistra, plaudono alle parole che Sergio Mattarella ha voluto scegliere per il tradizionale saluto di fine anno agli italiani e alle italiane. E’ francamente stupefacente vedere nel profluvio di dichiarazioni come Gasparri (“richiami giusti e saggi”) e Fratoianni (“discorso straordinario”) si riconoscano e facciano proprie le parole del Presidente della Repubblica. Che in realtà, parlando di diritti, disuguaglianze, povertà, lavoro povero, necessità di cultura per combattere la violenza, ha pronunciato più parole che risuonano a sinistra che a destra.

Il paese reale

In realtà il Presidente della Repubblica accontenta qualcuno e scontenta altri. Indica cose altrimenti taciute o quasi. Dà una rappresentazione del paese reale che non corrisponde all’elenco di successi che la maggioranza snocciola in occasione di bilanci e analisi. Come sta l’Italia? Bene, benissimo, abbiamo sentito dalla premier Meloni il 18 dicembre sul palco di Atreju eccitando la platea e il 29 sera alla Camera da Tommaso Foti, il capogruppo di Fratelli d’Italia che citando Marinetti ha elencato le prove del successo del governo: occupazione al 62%, crollo dell’inflazione, borsa, spread.
Non è esattamente così. Mattarella ha fatto, come sempre, l’arbitro e ha rimesso in fila e dato voce a tutto quello che non va, quello di cui si sta dimenticando chi fa politica tutti i giorni e ha l’onore e l’onere della rappresentanza. Posto che lamentarsi è sempre una brutta abitudine, avere però la conoscenza reale dei fatti è fondamentale per impostare scelte e decisioni per il futuro. E il Capo dello Stato, ci permetterà questa licenza, ha detto “cose di sinistra” cui il governo di destra dovrebbe prestare attenzione. Certo, chi si aspettava parole di Mes, Patto di stabilità o riforma costituzionale è rimasto deluso. Ma era un’illusione mal riposta: mai sentiremo Mattarella dire qualcosa di esplicito sulla riforma costituzionale che il governo si appresta ad approvare. Eppure, a modo suo, parlando di diritti e unità ha certamente rivendicato la centralità e l’unicità della nostra Carta.

Tempi di angoscia

Ecco quindi il Paese reale raccontato dall’arbitro che controlla la partita delle nostre vite dal Quirinale in sedici straordinari minuti. Sono tempi di “angoscia” per le guerre nel pianeta, per le “violenze” che crescono, non solo nel mondo ma anche in Italia. Per i diritti che ancora mancano, per i malati che non sono curati adeguatamente, per i giovani “disorientati ed inascoltati”, per gli anziani scarsamente assistiti, per il lavoro “sottopagato”, i troppi femminicidi ed anche per i tanti che eludono le tasse e quasi se ne vantano invece di essere “orgogliosi” di contribuire allo sviluppo del Paese. Sedici minuti che sono un duro atto di accusa benché Meloni al telefono abbia poi detto al Capo dello Stato di condividere “ogni parola del suo intervento”. Mattarella punta il dito sulla sanità dove “i tempi delle liste d'attesa sono inaccettabilmente lunghi”, sul diritto allo studio quando dice che “i costi degli alloggi universitari sono improponibili”, sul lavoro “che manca e quello sottopagato”, contro “il rischio della diffusione delle armi”, in favore dei giovani che si sentono “fuori posto, disorientati, se non estranei rispetto ad un mondo che non possono comprendere”.

La costruzione della pace

In realtà il discorso agli italiani inizia dalle guerre, “le devastazioni che vediamo nell’Ucraina invasa dalla Russia per sottometterla e annetterla” e “l’orribile ferocia terroristica del 7 ottobre di Hamas contro centinaia di inermi, bambini, donne, uomini e anziani d’Israele”. Ha parlato dell’ “angoscia” per conflitti che divampano ed altri che covano pericolosamente, prefigurando quella guerra mondiale “a pezzi” che è una “felice” invenzione lessicale di papa Francesco. Con nettezza quando parla di Ucraina e con grande equilibrio nel condannare le atrocità di Hamas e la reazione di Israele che “provoca migliaia di vittime civili”, il presidente ha cercato di guardare oltre ed indicare come affrontare il delicatissimo dibattito sula pace. “E' indispensabile fare spazio alla cultura della pace. Parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità”. Il Quirinale ha voluto mostrare tutta la preoccupazione rispetto ad una escalation muscolare che sembra aver bloccato qualunque riflessione profonda sul valore del pacifismo.

La centralità e la difesa della Carta

Non ci sono, nel discorso, riferimenti specifici alla politica anche se tutto l’intervento, mettendo l’umanità e i diritti al centro, rinvia all’attuazione della Carta costituzionale come “via maestra” per raggiungerli e rispettarli. “La Costituzione riconosce i diritti, che significa quindi che essi sono preesistenti a tutto e inviolabili”. Mattarella ha citato più volte la forza della Repubblica, ed una volta anche la parola Patria, ma assai di più il termine Costituzione, la cornice entro la quale l'Italia deve andare avanti, crescere e diventare una società migliore. “Solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace sono i valori che la Carta pone a base della nostra convivenza. E che appartengono all'identità stessa dell’Italia”. Per questo sceglie di chiudere il discorso garantendo agli italiani che “uniti siamo forti”. Si può leggere, qui, un implicito richiamo a fare molta attenzione a quando si mette mano a riforme che possono stravolgere i perfetti equilibri della nostra struttura costituzionale. Un paese più efficace e competitivo non passa per forza da un premier più forte e un Capo dello Stato più debole. Tutto questo tra le righe.

“Avversari e non nemici”

“Politico” anche il passaggio in cui parlando della “necessità di abbassare i toni” sembra chiamare in causa molto protagonisti del dibattito pubblico, e non solo politici: c’è la “pessima tendenza di identificare avversari o addirittura nemici. Verso i quali praticare forme di aggressività. Anche attraverso le accuse più gravi e infondate. Spesso, travolgendo il confine che separa il vero dal falso”. La persona e il rispetto della sua dignità sono quindi i pilastri irrinunciabili di una convivenza civile che ripudia le guerre, guarda al progresso (“umanizziamo l’intelligenza artificiale”) e al benessere “senza mai però volgere lo sguardo altrove come spesso si fa sui migranti”. Guai a banalizzare tutto questo in esercizio retorico. Anzi, cominceremo a guarire quando sapremo di nuovo dare il peso che mettano alle parole. quando sapremo di nuovo vedere quello che diciamo e metterlo in pratica. E’ stato questo il cuore del discorso

L’aumento della violenza

C’è un filo rosso che lega tutto l’intervento, dalle guerre alla politica: l’aumento della violenza. Quella “più odiosa” è quella contro le donne: “Vorrei rivolgermi ai più giovani - ha precisato il Capo dello Stato - Cari ragazzi, ve lo dico con parole semplici: l'amore non è egoismo, possesso, dominio, malinteso orgoglio. L’amore - quello vero - è ben più che rispetto: è dono, gratuità, sensibilità”. Sempre ai giovani è un garbato richiamo dal sapore squisitamente civico: “Possiamo dare tutti qualcosa alla nostra Italia. Qualcosa di importante. Anche con la partecipazione attiva alla vita civile. A partire dall’esercizio del diritto di voto”. Perché “è il voto libero che definisce la strada da percorrere, non rispondere a un sondaggio, o stare sui social”. Citando Moretti, verrebbe quasi da dire che si è alzata sul chiasso dei nostri giorno un’autorevole voce che ha saputo dire in modo chiaro qualcosa di sinistra. E che ha indicato, tra le altre, una medicina spesso infallibile: il “coraggio di ascoltare l’altro che mai deve essere identificato come un nemico”.

 

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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