Le diplomazie al lavoro per aprire il “corridoio del grano” ed evitare fame, rivolte e carestie

Il premier Draghi ha ricevuto il presidente bulgaro Petkov. Palazzo Chigi ha portato per prima il dossier alla Casa Bianca. Zelensky ha denunciato i rischi a Davos. Nei porti ucraini sono bloccate 22 milioni di tonnellate di cereali. Il ruolo di Sofia e Ankara

Il premier Mario Draghi e il suo omologo bulgaro Kiril Petkov - Foto Ansa
Il premier Mario Draghi e il suo omologo bulgaro Kiril Petkov - Foto Ansa

Le fonti ufficiali negano che il premier Draghi ieri nel faccia a faccia a palazzo Chigi con l’omologo bulgaro Kiril Petkov abbia affrontato il dossier grano e cereali. Un dossier chiave su due fronti: l’emergenza alimentare a livello mondiale; la porta per avviare un canale di dialogo con Mosca. Se si sono parlati i generali per chiudere l’agonia dell’acciaieria Azofstal, la “tregua del grano” potrebbe essere il primo vero passo verso una conferenza di pace.

Un corridoio alimentare

Di sicuro lo ha messo in chiaro il presidente Volodomyr Zelensky intervenendo ieri al Forum economico di David:  “E’ necessario sbloccare i nostri porti marittimi. Bisogna usare tutti i canali diplomatici, perché da soli non possiamo lottare contro la Russia”. Kiev sta sensibilizzando la Commissione europea, il Regno Unito, la Svizzera, la Polonia, la Nazioni Unite, “stiamo chiedendo a tutti di prendere misure per un corridoio per l'export del nostro grano e dei cereali - ha aggiunto - altrimenti la penuria avrà effetti sul mondo e ci sarà una estensione della crisi energetica”. Zelensky ha denunciato anche che la Russia sta rubando il grande ucraino e lo porta via nave in alcuni paesi. “Stiamo spiegando alle ambasciate di quei paesi che stanno acquistando grano rubato dai nostri silos. Credo che una volta che lo sapranno, non vorranno più acquistare grano rubato”. Le altre facce della guerra.

Di sicuro aprire un “corridoio alimentare” e tentare una “tregua del grano” è l’opzione a cui ha iniziato a lavorare da tempo il governo Draghi in asse con Zelensky. Dopo averlo portato nello Studio Ovale della Casa Bianca il 10 maggio scorso, i dossier ormai è all’attenzione di Nazioni Unite, della Commissione Europea, ci sta lavorando Ankara (che ha un ruolo chiave)  e gli sherpa del G7 che nella riunione di fine giugno ne faranno uno degli argomenti principali della riunione. Sperando che da qui ad allora qualcosa sia già accaduto.

Le vie infinite della diplomazia

La diplomazia può conoscere vie infinite. La storia insegna che situazioni di conflitto complicatissime si sono poi risolte grazie anche ad argomenti impensabili. Il primo disgelo Usa-Cina, e parliamo degli anni settanta, avvenne intorno ad un tavolo da ping pong. Il primo disgelo tra Russia e Ucraina può avvenire grazie ai milioni di tonnellate di grano ferme nei silos ucraini e nei porti di Odessa. Per l’esattezza parliamo di 22 milioni di tonnellate tra cereali (grano, mai e orzo) e semi di girasole. Quelle materie prime la cui penuria ha fatto alzare i prezzi al consumatore finale del 40 per cento.

Sono fermi nei silos intorno ai porti di Odessa e altri porti ucraini che affacciano sul mar Nero e sul mar d’Azov. Dal 24 febbraio scorso non è più partita una nave: la marina russa ha minato (così riferisce lo stato maggiore ucraino e l’intelligente occidentale) il tratto di mare davanti ai prati per bloccare ogni attività commerciale. ciale  I silos sono tutti pieni del raccolto del 2021 (tra l’alto uno dei più copiosi) e non c’è posto per accogliere il raccolto di quest’anno (che sarà invece uno dei più poveri). Non c’è dubbio che in pace o in guerra quella merce non può essere lasciata lì a marcire mentre il resto del mondo viene affamato.

Il 28% del fabbisogno mondiale

Russia e Ucraina assicurano insieme il 28% del fabbisogno mondiale di cereali. I cargo fermi nei porti ucraini sono destinati soprattutto a Egitto, Sudan, Nigeria e Asia. Il mercato africano rischia di restare già adesso senza grano. Bloccare quelle navi è insomma il presupposto di una crisi alimentare su scala mondiale che comporta automaticamente carestie, morte e migrazioni. E se la umana pietas non dovesse essere una motivazione sufficiente, la carestia alimentare in Africa vuol dire anche guai seri per tutti gli investimenti che Russia e Cina stanno portando avanti nel continente africano.  Insomma, una crisi umanitaria conseguenza del blocco del grano avrebbe conseguenze devastanti per gli affari di Mosca e Pechino.

Le alternative ai porti ucraini

Tutto questo sta girando sui tavoli delle varie diplomazie da quando la “tregua del grano” è stata trattata come valida opzione nel bilaterale Draghi- Biden il 10 maggio. Il dossier si arricchisce di giorno in giorno.

La via principale resta convincere Mosca a liberare i porti, liberarli dalle mine e far partire le merci. Perchè, appunto, è anche nel loro interesse. E del principale partner: la Cina.

Si stanno ovviamente valutando anche tutte le alternative possibili. Che non sono però molte. Via terra, su rotaia o camion, è praticamente impossibile. Le ferrovie ucraine hanno binari non compatibili con quelli europei e quindi sarebbe necessario trasbordare tonnellate di merce. Via gomma, utilizzando i camion, è come svuotare il mare con un cucchiaio. L’unica alternativa possibile sembra l’utilizzo dei porti bulgari sul Mar Nero, Burgas e Varna. In fondo, poche miglia di mare a ovest di Odessa. Da qui i cargo potrebbero raggiungere facilmente la Grecia e poi l’Africa. E’ una trattativa tra Europa, Sofia e Ankara che intreccia altre partite. Draghi se ne è fatto portavoce per l’Europa. Ma è bene che i dettagli restino al momento coperti.

Bollettini disastrosi

Ai primi di maggio il bollettino del World food program (Wfp) dell’Onu ha lanciato l’allarme «per evitare che la crisi globale della fame sfugga al controllo». Secondo la stessa agenzia, agli attuali 276 milioni di persone che nel mondo, dopo la pandemia, soffrono la fame (prima del Covid erano 135 milioni) rischiano di aggiungersene altri 47 milioni. «I silos di grano dell’Ucraina sono pieni. I porti sul Mar Nero sono bloccati, lasciando milioni di tonnellate di grano intrappolate in magazzini a terra o su navi che non possono muoversi» hanno denunciato le Nazioni Unite.  L’export di frumento tenero russo e ucraino va soprattutto verso il Nord Africa e il Medio Oriente. Dipendono dalle importazioni ucraine Paesi che hanno già problemi di tutti i tipi: Egitto, Indonesia, Bangladesh, Turchia, Tunisia, Marocco, Yemen e Libano. L’Ucraina, inoltre, pesa per il 15% nelle esportazioni globali di mais, usato soprattutto nei mangimi animali.

Il rischio di rivolte e migrazioni

Non solo: sempre ieri a Davos la Coldiretti ha diffuso i risultati di una ricerca da cui risulta che “solo per l’aumento dei prezzi del grano che sono aumentati del 36%, la guerra è già costata oltre 90 miliardi di dollari a livello globale”.  Gli effetti a cascata si sono fatti sentire su tutti i prodotti alimentari. Le quotazioni del grano così aumentate hanno generato inflazione nei paesi ricchi e in quelli poveri sta provocando carestie e rischi di rivolte. Sono ben 53 gli Stati a rischio alimentare.

Quello del grano è insomma un tema centrale per tutti i paesi coinvolti. L’Europa sa bene carestie e rivolte in Africa producono immediatamente fenomeni migratori su larga scala. E Mosca probabilmente non ha avuto tempo in questi mesi di pensare che bloccando il grano avrebbe fatto un danno anche a se stessa. E alla cara amica Cina dove il Covid sta tenendo bloccato anche il porto di Shangai.

La centralità del grano aumenta le capacità diplomatiche del grano. E’ una necessità economica, come stanno spiegando le varie cancellerie. E può diventare il primo tentativo di un tavolo per la pace. L’occasione per cui  Mosca e Kiev possono ricominciare a parlarsi.