[Il ritratto] Di Maio con il cuore in gola e Salvini in assetto da calcio. La favola dell’incoronazione della terza Repubblica
Paolo Savona ha degli occhiali appesi al collo che pendono sulla giacca, ma per leggere il giuramento (l’unico che prende in mano il foglio) ne tira fuori un altro paio dal taschino della giacca. La cosa più importante però è la sua stretta di mano con Mattarella: è la più lunga di tutte, quasi a sanzionare pubblicamente la pace raggiunta
Il primo giorno di scuola del nuovo governo questa volta sembra quasi il primo giorno di raduno di una squadra di calcio, perché Matteo Salvini, piazzato sull’ultima poltrona a destra, quella più vicina al tavolo del giuramento, pare un allenatore navigato, con quella postura a gambe large e braccia conserte, lo sguardo che vaga per la sala e sui suoi giocatori con l’aria di chi non aspetta l’ora di passare all’azione e agli esercizi sbrigando in fretta le formalità di rito. Luigi Di Maio, accanto a lui, ha disegnato sul volto il cuore che batte, e lo vedi dalle labbra strette in un sorriso emozionato, dagli occhi che non riescono quasi a vedere la piccola folla di parenti e amici dei ministri assiepata di fronte, la ressa dei giornalisti e dei fotografi che stanno persino cercando di chiamarlo. Alla 16 e qualche minuto il governo del cambiamento ha cominciato a giurare davanti al Presidente della Repubblica nel Salone delle Feste con i suoi tendoni rossi sulle grandi finestre, i sontuosi tappeti e le 19 poltrone bianche per i 18 ministri e il premier sulla destra del tavolo dove li aspetta Mattarella per compiere il rito. C’è un clima strano, forse per la prima volta, una atmosfera capovolta, perchè i giornalisti ammucchiati già da un po’ di tempo sembrano muoversi quasi come a casa loro, e gli ospiti sembrano i ministri che si scambiano frasi smozzicate fra di loro e si guardano intorno spaesati.
Quelli dei Cinque Stelle sono arrivati tutti insieme, 15 minuti prima delle 16, su un furgone taxi, Di Maio a marciare davanti, accanto al ministro della Difesa Elisabetta Trenta in giacca e calzoni neri con sorriso smagliante, un solo commento per i giornalisti in attesa: «Lavoro per creare lavoro. Non facciamo nessun tipo di annuncio. Prima ci si mette a lavorare e poi si dice che cosa si è fatto». Salvini invece è sceso da una macchina superblindata, giacca blu - che avrebbe tanta voglia di levarsi - e cravatta verde, facendosi largo in mezzo ai cronisti prima di ammettere che «sì, sono emozionato». Dietro di lui, c’è Giancarlo Giorgetti in versione molto più ufficiale, completo scuro e cravatta azzurra a pois. Il primo ad arrivare è stato Giovanni Tria, nuovo ministro dell’economia, docente universitario a Tor Vergata, ex consigliere di Brunetta ed ex collaboratore del Foglio. L’ultimo il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, macchina grigia blindata anche per lui, ma sempre in disparte. Particolare non irrilevante: non s’è mai è preso la scena. Come se fosse sin dal pirmo giorno soltanto l’uomo di raccordo del governo Di Maio e Salvini, che entrano in testa al gruppo nel salone delle Feste, da veri comandanti della missione. Mentre i ministri aspettano Mattarella, l’unico che non si agita è Moavero Milanesi, che è alla sua terza esperienza, avendo fatto parte sempre come ministro degli esteri nei governi Monti e Letta. Quello che sta meno fermo è Salvini, che appoggia le mani sulle ginocchia, poi ritrae le braccia e le mette conserte, con le gambe larghe che mostrano calzini supercolorati a strisce orizzontali. Nella formazione seduta a lato del tavolo rosso non c’è Giorgetti, sottosegretario alla Presidenza, che in verità è il vero uomo politico della formazione, mediatore ma anche abile decisionista, grande lavoratore, apprezzato trasversalmente da tutte le correnti del Parlamento, un milanese da understatement, che conta molto di più di quel che appare - e per fortuna -. Poi, in questo silenzio che copre persino i bisbigli lontani dei nuovi ministri, arriva Mattarella con Conte, che si pone di fronte a lui per recitare la formula di rito: «Giuro di essere fedele e di osservare lealmente la Costituzione e le sue leggi nell’interesse esclusivo della Nazione». Stretta di mano, sorriso fermo, con le fossette sulle guance.
Dopo di lui Salvini. Modi sicuri. Recita la formula senza leggere il foglio, ma solo controllando ogni tanto il testo con un’occhiata veloce. Sottolinea con forza due parole: «lealmente» e «esclusivo». Di Maio si abbottona la giacca blu. E ripete il giuramento senza staccare lo sguardo dal testo. Dopo tocca a Fraccaro, che pare molto emozionato mentre legge il foglio, quasi avesse paura che gli sfugga qualche parola del giuramento. Giulia Bongiorno, Pubblica Amministrazione, in completo con pantaloni, è quella più energica, tratto deciso e sicuro. Erika Stefani, Affari regionali, ha un completo blu, collana e anelli alla mano destra. Pure lei non sembra tanto emozionata. Così come Barbara Lezzi, ministro per il Sud, giacca bianca, niente collane, niente anelli. A guardar le donne si nota quasi come una lontananza antropologica fra le leghiste e le grilline: le riconosci subito. Paolo Savona ha degli occhiali appesi al collo che pendono sulla giacca, ma per leggere il giuramento (l’unico che prende in mano il foglio) ne tira fuori un altro paio dal taschino della giacca. La cosa più importante però è la sua stretta di mano con Mattarella: è la più lunga di tutte, quasi a sanzionare pubblicamente la pace raggiunta. Poi sfilano Lorenzo Fontana, Alfonso Bonafede che recita la formula tenendo la mano sul cuore, Elisabetta Trenta, in completo nero con i calzoni, il professore di ginnastica Marco Bussetti assurto al dicastero dell’Istruzione, ma almeno lui con una laurea vera in 110 e lode a differenza di quella che l’ha preceduto, e con un curriculum da dirigente pieno di presidente e direttore, Alberto Bonisoli con una sgargiante cravatta rossa, Giulia Grillo tutta sorridente e Gianmarco Centinaio, con due braccialetti al polso sinistro, quello verde della Lega Nord e quello azzurro della Lega di Salvini. L’ex generale dei carabinieri Sergio Costa (Ambiente) batte i tacchi militarmente e si porta la mano al cuore. Giovanni Tria recita piano la formula, mentre Enzo Moavero è l’unico che non legge proprio, ma ripete solo a memoria il giuramento senza neanche abbassare lo sguardo sul foglio.
Adesso tutti a Palazzo Chigi per il cambio di governo con Gentiloni e un altro rito, quello del campanello. Savona viene assalito dai cronisti, ma avanza spedito dicendo solo che lui è «specializzato in silenzi». Quelli dei Cinque Stelle invece sono ancora tutti in gruppo. Dopo essere arrivati stretti dentro un furgoncino, se ne vanno di nuovo ammischiati su un altro taxi. Prima di salire Di Maio, scambia due parole: «Ho sentito Grillo, ho sentito tutti. Un grazie di cuore a Beppe Grillo a cui non dedico la vittoria perchè lui è con noi. Lo incontrerò domani e lavoreremo insieme». Mentre Salvini cerca di farsi latrgo nella ressa. Fimnalmente s’è levato la giacca che tiene sul braccio. «Mi fate passare?», chiede ai giornalisti che gli fanno muro attorno. Poi si concede un attimo: «Posso solo dirvi che sono emozionato e ringrazio tutti quelli che ci hanno accompagnato fino a qua. Ringrazio i miei due bimbi e spero mi stiano guardando in televisione». Il primo giorno è sempre così. Siamo tutti felici e contenti. Perché nella realtà le favole possono anche andare all’incontrario.