[Il retroscena] Dibba difende Di Maio dalla fronda dei “Fichi”. Già quindici i dissidenti. “Salvini pompato”

Aumentano i malumori degli eletti tra i Cinquestelle nei confronti delle mosse di Matteo Salvini: già 15 dissidenti in pochi giorni. Attorno al presidente della Camera, Roberto Fico, si stanno raccogliendo i critici nei confronti di Luigi Di Maio: li chiamano “i Fichi”. Per frenare la rottura torna in campo dal Guatemala Alessandro Di Battista. “Salvini è pompato dai giornali, ecco perché ha oscurato Di Maio”. Poi, però, tira le orecchie al vicepremier: “Deve convincere il nostro alleato minore a dire no a Tav, Tap e a ritirare le truppe sull’Afghanistan”. Sul gasdotto il leader M5s gli da subito ragione: “Non è un’opera utile”

Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio
Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio

La novità nel M5S, alle prese con un sacco di tensioni interne, è il Dibba che scende in campo nel ruolo di paciere. Ritagliandosi, contemporaneamente, quello di padre nobile del Movimento. Così Alessandro Di Battista, direttamente dal Guatemala dove si trova con compagna e figlio, prova a contenere i malumori dentro al M5s contro Luigi Di Maio in quanto protagonista indiscusso del patto con Matteo Salvini. A mano a mano che il leader della Lega si andava ritagliando uno spazio preponderante sui media e si mostrava in grado di condizionare l’immagine del governo, dentro i Cinquestelle crescevano i malumori. E anche nell’area dell’opinione pubblica dei “simpatizzanti”, qualcuno iniziava a porsi delle domande sulle prospettive del M5s. Lo ha fatto anche Marco Travaglio - il direttore del quotidiano di riferimento - qualche giorno fa, con un editoriale piuttosto aspro, nel quale ipotizzava che a Di Maio e ai suoi convenga “staccare la spina”, per scongiurare il rischio di rimanere “con il cerino in mano” prima che la decisione di rompere l’alleanza di governo venga presa dagli alleati.

Ma il dato più significativo è la crescita delle fronda interna nei confronti del “capo politico”. Dalla vicenda della nave Diciotti in poi, rispetto alle scelte di Di Maio, ci sono state almeno quindici prese di distanza pubbliche. Il riferimento dell’opposizione interna è naturalmente Roberto Fico, presidente della Camera e anima “sinistra” dei grillini, l’unico ad avere sfidato platealmente il segretario della Lega per l’atteggiamento verso i migranti “sequestrati” sulla nave della Guardia costiera, salvo venire subito “scaricato” dall’altro vicepremier. Più il Carroccio sposta a destra l’asse dell’esecutivo, più l’area della dissidenza si ingrossa. Elena Fattori Luigi Gallo, Aldo Penna, Virginia La Mura, Paola Nugnes, Gregorio De Falco Gianluca Ferrara, Doriana Sarli, Giuseppe Brescia, Andrea Colletti, Gilda Sportiello, Cristian Romaniello, Valentina Sganga e l’europarlamentare Fabio Massimo Castaldo sono gli eletti che, solo dalla vicenda della Diciotti in poi, hanno pubblicamente preso le distanze da quella che considerano una deriva lontana dai principi del Movimento. Prima erano solo “fronda”, ora sono sempre più una corrente organizzata. Chi sono? “Noi siamo i Fichi”, ci ride sopra uno di loro, alludendo al nome del presidente della Camera. Tra i riottosi si conta addirittura un ministro, quello per il Sud, Barbara Lezzi che, all’indomani di quella vicenda aveva difeso Fico dagli attacchi del suo collega ministro dell’Interno: “Caro Salvini, salvando i migranti l’Italia ha fatto il suo dovere. Restando doverosa la pretesa condivisione europea, nessuno deve impartire lezioni alla terza carica dello Stato circa la prerogativa di esprimere legittime posizioni”, aveva detto. E La Fattori era andata ben oltre: “La politica degli scudi umani è indegna di un Paese civile. E’ possibile che il nazista Eichmann e i suoi milioni di complici stessero semplicemente eseguendo gli ordini?”. “Alimenta l’odio”, diceva Gallo, presidente di commissione a Montecitorio. “La frase ‘prima gli italiani’, i bianchi o i neri o quelli con gli occhi azzurri, non è una frase che semplicemente non comprendo: è un pugno nello stomaco”, aveva confessato la senatrice Nugnes. “Il M5S è responsabile, ma Salvini parla alla pancia del Paese, come fossimo tutti adolescenti”, ha scritto Gianluca Ferrara. E così via.

La tensione rischia di aumentare nelle prossime settimane quando il governo dovrà scrivere la legge di Bilancio, che evidentemente dovrà scontentare qualcuno tra M5s e Lega. E molti sospettano - e temono - che ancora una volta a dover abbozzare saranno i grillini. Di fronte a queste tensioni si è riaffacciato Dibba. Qualcuno ha pensato che potesse essere il jolly che l’M5s intende giocarsi per le Europee di primavera per scongiurare il sorpasso leghista, ma lui nega. In collegamento dal Sud America con la Festa del Fatto, però, ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte, prendendo una posizione mediana tra Di Maio e Fico e provando a prendere tempo. “I giornali stanno pompando in maniera incredibile Matteo Salvini”, ha detto ieri. Ecco perché il Movimento sembra oscurato: la colpa è dei media. “Lui fa la sua partita provando a distruggere definitivamente Fi dal punto di vista del consenso, a inglobarla... Il mio giudizio è che per tutto l’establishment la Lega salviniana è meno pericolosa del Movimento 5 stelle. Quindi dicono che M5s è subalterno, che Luigi è subalterno... Ma non mi pare”. Anche Di Battista ammette che il titolare del Viminale si sta muovendo bene, mostrando implicitamente il timore che il suo acume tattico possa rappresentare un’insidia per i Cinquestelle: “Si gioca la sua partita e la stampa lo attacca. Lo vedete come si atteggia, dice ‘indagatemi’, dice che rischia 30 anni di galera... Ma cosa volete che rischi? Non rischia nulla”.

Dibba, però, ai leghisti concede una apertura di credito solo temporanea. “La voglia di cambiare radicalmente le cose della Lega si vedrà sul tema della nazionalizzazione di Autostrade. Sento che già Giancarlo Giorgetti fa ammunina. Andiamoci piano? Andiamoci piano un c... Le autostrade devono tornare a essere gestite dal popolo italiano”, grida. E aggiunge: “Ho il timore che in via Bellerio ci sia una Lega maroniana camuffata”. Così sfida il Carroccio su alcuni argomenti concreti, indicando due o tre cose che Di Maio dovrebbe fare: “E’ compito e dovere di una forza del 32 per cento convincere il socio di minoranza a rinunciare a un'opera stupida e idiota che non serve a niente come la Tav”, dire di no “al Tap perché l'Italia non è una succursale degli Stati Uniti” e, addirittura, ritirare le truppe dall’Afghanistan, “una guerra inutile, persa, lunga e mascherata da missione di pace”. Tutti temi di politica estera che hanno rafforzato in qualcuno la convinzione che Dibba sia pronto a candidarsi proprio per Strasburgo. Anche lì, però, ci sono alcuni seguaci di Fico che non hanno apprezzato le recenti mosse del vicepremier leghista in fatto di politica estera. “Viktor Orban è nel gruppo politico europeo che, assieme ai socialisti, è il principale responsabile di questo stallo in cui si trova l’Europa. Non si può rifiutare il principio di solidarietà fra i Paesi europei e definirsi, allo stesso tempo, amico del governo italiano”, ha scritto in una nota l’europarlamentare Fabio Massimo Castaldo. “Non si può essere parte della vecchia nomenklatura come il Ppe di Merkel, Juncker e Berlusconi e spacciarsi poi per forza di cambiamento...”, ha aggiunto. Almeno su uno dei dossier più delicati il capo politico del Movimento 5 stelle ha già ascoltato Dibba. Nonostante l’impegno preso dal premier Giuseppe Conte con Donald Trump, e confermato nel corso di una conferenza stampa alla Casa Bianca, il vicepremier grillino ieri ha definito la Tap “un’opera non utile”. Il gasdotto che per Conte era “opera strategica per l’Italia e per il Sud Europa” e che si era impegnato a sbloccare “incontrando il sindaco e le autorità locali”, trova quindi di fronte a sé l’opposizione del principale partito della maggioranza. Uno a zero per Fico e per Di Battista. Anche a costo di esporre il presidente del Consiglio a una brutta figura.