Armatevi e partite! Il dibattito parlamentare sulle nuove armi da inviare in Ucraina non ci sarà
Almeno non subito, anche perché non serve. Meloni e Crosetto rassicurano gli Usa: ci siamo
Quando si parla di cose ‘serie’ come le armi, la guerra, quella tra Ucraina e Russia, e il relativo coinvolgimento dell’Italia, in quanto membro della Nato come della Ue, nella fornitura di armamenti a una delle due parti in causa (l’Ucraina, ovviamente) conviene mettere da parte l’ironia e, anche, il pressapochismo. Dunque, cerchiamo di mettere in fila, innanzitutto, alcuni elementi di politica estera, e internazionale, e solo dopo di politica interna.
Ucraina, arrivano nuove difese aeree dalla Nato, ma iniziano anche i sussurri di pace
Le notizie che arrivano dal fronte ucraino sono, come sempre, drammatiche. Le aziende strategiche ucraine nel campo dell'energia, dell'aeronautica e dell'automobilistica sono appena state nazionalizzate e messe a lavorare 24 ore al giorno per le esigenze delle forze armate. Mentre, dall’altra parte, circa 50.000 mobilitati russi sono già stati inquadrati nelle unità di combattimento. Ucraina e Russia rafforzano le loro posizioni preparandosi ad un inverno che sembra poter congelare le posizioni sul terreno, magari in attesa di un negoziato di cui si parla, o meglio si sussurra, che possa portare a un effettivo cessate il fuoco. La Russia "resta aperta" a negoziati con l'Ucraina ma "al momento non vede tale possibilità", così dice Mosca, perché Kiev ha sancito per legge il divieto di qualsiasi trattativa con la Russia, ha affermato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. L'Ucraina è pronta a trattative solo quando Mosca ritirerà le sue truppe dal Paese, e quindi non lo farà con il presidente Vladimir Putin, gli ha risposto Mikhaylo Poldolyak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Ma nessuno dei due ha commentato le indiscrezioni uscite nelle ultime ore sui media americani. Quelle del Wall Street Journal, secondo il quale i consiglieri per la sicurezza di Putin e del presidente Usa Joe Biden si parlano, e da mesi. O quelle del Washington Post, che riferisce di pressioni degli Stati Uniti sul presidente ucraino perché accetti di intavolare trattative di pace. A sbilanciarsi è stato invece il governo tedesco, secondo la cui portavoce c'è "un'apertura alle trattative da parte degli ucraini", ma non corrisposta da Mosca. Non è possibile stabilire se le dichiarazioni provenienti da Mosca e Kiev rispondano a una pretattica in vista di un ‘vero’ negoziato. Quel che è sicuro è che anche sul terreno le parti rimangono trincerate su posizioni che sembrano cristallizzarsi. Da settimane ormai si parla di un possibile tentativo di sfondamento degli ucraini sul fronte di Kherson, nel sud. Le autorità locali filorusse hanno fatto sapere di avere evacuato dalla sponda destra del Dnepr tutti i civili che hanno accolto l'invito ad andarsene. Ma circa 30.000 russi, molti appartenenti alle forze d'elite, rimangono in attesa. E Putin ha detto che 50.000 russi arruolati con la recente mobilitazione si sono uniti alle forze combattenti. Anche Kiev ha annunciato un rafforzamento, soprattutto delle sue difese aeree, con l'arrivo da Usa, Spagna e Norvegia dei nuovi sistemi d'arma Nasams e Aspide, dopo i pesantissimi danni subiti a causa dei bombardamenti missilistici russi, in corso da quasi un mese, che hanno distrutto o danneggiato il 40% delle centrali elettriche. Per questo le autorità di Kiev hanno riferito che i blackout d'emergenza saranno necessari per almeno altre due settimane, a condizione che non vi siano nuovi raid. A questo punto, secondo Kiev, la Russia sta rimanendo a corto di missili e per questo ha già concluso un accordo per acquistarne dall'Iran. Se di ciò vi saranno le prove, la Commissione europea ha minacciato nuove sanzioni a Teheran. Ma proprio nel fronte Ue si è aperta una crepa, con l'Ungheria contraria al nuovo pacchetto di sostegno finanziario per il 2023 che la Commissione discuterà in questa settimana. Kiev è entrata intanto in una vera economia di guerra, con l'esproprio di diverse aziende quali il produttore di idrocarburi Ukrnafta, il costruttore aeronautico Motor Sich e quello di camion AvtoKraz. Imprese che "saranno gestite dal ministero della Difesa per rispondere alle necessità urgenti delle forze armate" ha spiegato il titolare del dicastero, Oleksii Reznikov. Gli impianti resteranno in funzione 24 ore al giorno e 7 giorni la settimana " alle necessità della difesa dello Stato" fa il premier ucraino Denis Shmygal.
La posizione del governo italiano dentro la Ue e le rassicurazioni del ministro Crosetto
E qui entra in gioco la posizione della Ue, ma anche quella del nuovo governo italiano. La visita della premier Giorgia Meloni ai vertici delle istituzioni Ue, la settimana scorsa a Bruxelles, ha rassicurato quanti temevano possibili discontinuità del governo di centro destra rispetto alle posizioni dell'Italia sui dossier più strategici dell'Unione e sulle sfide più importanti che sta affrontando: sostegno all'Ucraina e condanna della Russia, Nato, "autonomia geostrategica" europea, conti pubblici, attuazione del Pnrr; persino sul dossier divisivo dell'immigrazione, Meloni ha messo l'accento sul rafforzamento delle frontiere esterne, che vede tutti gli Stati membri d'accordo. Fin qui, le posizioni del nuovo governo italiano restano perfettamente integrate nel quadro Ue, compatibili con le "regole del gioco" della Ue.
Non a caso, proprio ieri, il ministro alla Difesa, Guido Crosetto, nel corso del colloquio telefonico con il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, tenutosi nel pomeriggio di ieri, ha detto che “Continueremo a sostenere con convinzione e determinazione l'Ucraina e le sue Forze Armate e saremo pronti a proseguire il nostro sforzo finché sarà necessario". "Italia e Stati Uniti continueranno a operare insieme per fronteggiare le sfide internazionali - ha anche detto Crosetto nel colloquio, definito franco e cordiale, durante il quale il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti si è congratulato con il ministro per la nomina al vertice del dicastero ed ha anche espresso parole di grande apprezzamento per l'Italia e le sue Forze Armate e per l'enorme contributo offerto a favore della sicurezza internazionale: "L'Italia è un alleato fedele sul quali gli Stati Uniti possono contare, oggi più di prima" ha affermato Crosetto, sottolineando che "il rapporto bilaterale e multilaterale esistente tra Italia e Stati Uniti rappresenta il futuro del nostro Paese". Crosetto ha ribadito l'impegno dell'Italia sia in ambito Nato sia nel contesto dell'Unione Europea. Il supporto politico e militare al lato Est dell'Alleanza Atlantica e all'Ucraina è, ovviamente, fortemente apprezzato dagli Stati Uniti che, come ha più volte ripetuto Austin, vedono nell'Italia uno degli propri alleati più vicini ed affidabili. Crosetto e Austin hanno quindi concordato di vedersi di persona quanto prima per poter approfondire gli argomenti trattati e consolidare ulteriormente l'amicizia tra Italia e Usa, dando continuità al costruttivo dialogo tra i due paesi nel campo della Difesa.
Il problema, paradossalmente, riguarda gli Usa, non l’Italia. Oggi si terranno le elezioni di mid-term e il rischio che i repubblicani – trumpisti e non – conquistino la maggioranza alla Camera e, anche, nel nevralgico Senato è sempre più vicino
Il problema, che si rileva ogni giorno che passa, Oltreoceano, è che qualcosa tra Washington e Kiev e' cambiato. Non è detto che sia in peggio, ma dall'estate rovente al troppo mite autunno succede che emerge puntualmente una differenza tra Stati Uniti e Ucraina. La linea di Zelensky che dice no a qualsiasi negoziato di pace con Mosca è una forte limitazione alle opzioni politiche di cui invece l'amministrazione Biden ha bisogno per sostenere la guerra con la Russia, in casa (con il Congresso che potrebbe passare ai repubblicani) e con gli alleati. Più la guerra s'allunga, più la recessione avanza, più le difficoltà di mantenere il consenso cresceranno. I segnali sono molteplici e - visto lo scenario interno, focalizzato sull'inflazione e i sondaggi sulle elezioni di Midterm sfavorevoli ai democratici - il messaggio di una Casa Bianca più vicina al negoziato, più attenta alla scuola del realismo kissingeriano, non è casuale. L'amministrazione Biden è ferma nell'opposizione alla guerra d'aggressione di Vladimir Putin, ma altrettanto convinta che si debba trovare un modo per non allargare il conflitto e provare a tessere il cessate il fuoco e poi intavolare la pace.
L’ultimo segno viene dal Wall Street Journal: secondo il quotidiano di Wall Street, Jake Sullivan, il consigliere di Biden per la sicurezza nazionale, negli ultimi mesi ha avuto una serie di conversazioni riservate con i principali consiglieri di Putin nel tentativo di ridurre i rischi. Sullivan sarebbe stato in contatto con Yuri Ushakov, consigliere di Putin per la politica estera, e con Nikolai Patrushev, il suo omologo russo. Quella di Sullivan è una strategia corretta: la Russia è una potenza nucleare, è fondamentale mantenere aperti i canali di comunicazione, evitare l'escalation e ridurre ogni 'disturbo' che possa provocare un 'incidente' letale.
Mentre la campagna del voto di Midterm s'infiamma e giunge al termine, continuano a filtrare notizie di un cambio di tono sul dossier di Kiev. Una settimana fa Nbc News ha pubblicato la notizia di una burrascosa telefonata tra Biden e Zelensky, un colloquio del giugno scorso in cui il presidente americano reagisce duramente dopo aver ascoltato le lamentele del presidente ucraino sulle forniture di armi. E due. Il terzo elemento che fa brillare il radar è un articolo del Washington Post dell'altro ieri: l'amministrazione Biden avrebbe chiesto a Zelensky di non dichiarare più pubblicamente il suo 'niet' totale a futuri negoziati di pace con la Russia. E' una posizione che per gli Stati Uniti è insostenibile per ragioni evidenti: dopo il voto cambieranno gli equilibri politici interni, far votare al Congresso le leggi per finanziare la spesa militare per l'Ucraina sarà più difficile, alla Camera il nuovo speaker potrebbe essere Kevin McCarthy, il repubblicano che ha già dichiarato tutti i suoi dubbi sulla strategia della Casa Bianca in Ucraina. Difficoltà interne cui bisogna aggiungere le inevitabili complicazioni con gli alleati. Per il capo del Pentagono, Lloyd J. Austin, convincere tutti a continuare a sostenere la resistenza di Kiev senza una prospettiva vera di negoziato sarà un'impresa.
Il decreto Draghi (sempre votato dai 5Stelle) e come funziona l’invio delle armi all’Ucraina
E qui, però, si ritorna dentro la politica italiana. Il punto è che è in previsione il sesto invio di armi (forniture di equipaggiamenti e armamenti) del nostro Paese all’Ucraina, la polemica è salita. Ne sono stati fatti, finora, ben cinque, di invii di armi, e fin qui nessuno – tranne la sinistra radicale – ha mai protestato, neppure i 5stelle. I 5Stelle, infatti, appoggiavano il governo Draghi che, di fronte allo scoppio della guerra, decise – con un decreto interministeriale approvato a marzo del 2022 – di inviare una serie di aiuti, oltre che umanitari ed economici, anche militari. Quel decreto ha ‘coperto’ tutti gli invii di rifornimenti e armi inviati finora e decisi, ogni volta, dal governo Draghi, ministro alla Difesa Lorenzo Guerini. L’autorizzazione, e il relativo dibattito parlamentare, si è tenuto una volta sola, a marzo. La formula del decreto ministeriale, infatti, offre ‘copertura’ agli invii di armamenti, tutti ‘secretati’, previa obbiglatoria informativa presso il Copasir, il comitato di controllo dei servizi segreti i cui membri (opposizione compresa: ieri FdI, oggi Pd, M5s, Terzo Polo) ne vengono messi a conoscenza, ma con l’obbligo del segreto, in quanto trattasi, ovviamente, di notizie sensibili. Oggi, il Copasir, fino a ieri presieduto da Adolfo Urso, diventato ministro (al Mise), deve ancora nominare il suo nuovo presidente, che spetta per prassi all’opposizione, anche se ancora non si sa se andrà al Pd (con Guerini o Boccia) o ai 5Stelle.
Ora, come ha fatto capire il nuovo ministro alla Difesa, Crosetto, ve ne potrebbe essere un sesto (che dovrebbe prevedere meno mezzi di terra e più sistemi di difesa aerea e anti-missilistica), ma anche il sesto invio è coperto dal vecchio decreto.
Certo, entro l’inizio dell’anno prossimo vi dovrà essere un nuovo decreto, sempre interministeriale, e dunque un nuovo dibattito parlamentare, perché quello vecchio scade il 31 dicembre, ma per ora – se il sesto invio venisse deciso ad horas – non servirebbe né un decreto né un dibattito parlamentare, almeno fino dicembre. Certo è – fanno notare ambienti dell’opposizione vicini all’ex ministro Guerini – “politicamente, abbiamo delle nuove Camere e un nuovo governo e, quindi, procedere a un nuovo dibattito dentro le Camere e scrivere un nuovo decreto è opportuno” ma ciò non toglie che il furore ideologico dei 5s –fino a ieri, non hanno mai sollevato obiezioni e ora, per fini propagandistici, si ‘scoprono’ pacifisti senza se e senza ma – è campato in aria. Ne è nata, in ogni caso, una polemica al calor bianco tra il ministro Crosetto e il capo 5s Conte.
Polemica al fulmicotone tra Crosetto e Conte
I "bulli", come si sono apostrofati tra di loro, se le suonano. Il duello a distanza tra il leader M5s Giuseppe Conte e il ministro della Difesa Guido Crosetto. Entrambi, li ha visti suonarsele di santa ragione, proprio sulla guerra in. Secondo il co-fondatore di Fratelli d'Italia, sulle armi a Kiev, l'ex premier si comporta come un bulletto di quartiere. La replica dell'avvocato non è per nulla distensiva: "Io bullo di quartiere? Crosetto è un bullo della democrazia".
L'avvocato ha messo in soffitta la pochette da tempo. Grande protagonista della manifestazione per la Pace di Roma, Conte si candida al ruolo di principale oppositore del governo Meloni sulla politica estera. Di fronte alle voci che danno per certo l'approdo in Consiglio dei ministri di un nuovo decreto armi all'Ucraina, il leader pentastellato dice: "Il ministro Crosetto non si azzardi a un nuovo invio di armi senza passare per il Parlamento", aggiungendo: "No all'escalation militare e al rischio della deflagrazione nucleare. Serve una conferenza internazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite".
E’ arrivata subito la risposta del diretto interessato. Dalle pagine del Corriere della Sera, Crosetto ha definito il monito di Conte "l'intercalare di un bullo più che il tentativo di dialogo tra persone rispettose delle istituzioni". E aggiunge: "L'onorevole Conte può stare sereno. Il ministero - non il ministro che non dispone delle istituzioni ma le serve - seguirà le leggi come sempre". Tra l'altro, il titolare della Difesa accusa l'avversario di essere uno strumentalizzatore delle ragioni dei pacifisti: “Il ministro della Difesa sta facendo - per spiegarlo bene a Conte - quello che lui e altri hanno deciso di fare dicendo sì ai 5 decreti per l’invio di armi decisi dal governo Draghi del quale i Cinque Stelle erano il maggior sostegno parlamentare. Se oggi ha cambiato idea è per altro, cioè per strumentalizzare il corteo e le ragioni delle associazioni pacifiste, che rispetto e comprendo e con cui sarò sempre disponibile a interloquire. Conte non è interessato né al dialogo né al percorso coerente ma cerca solo di metterci su una bandierina e seguire la convenienza del momento”.
Seppur con toni gentili, come da consuetudine di Crosetto, non è proprio un messaggio di 'pace’: "Oggi Crosetto mi dà del 'bullo di quartiere'. Esternazione inaccettabile da un ministro della Repubblica. Sapete qual è la lesa maestà? Essere sceso in piazza per la pace senza bandiera di partito con i cittadini e pretendere che il governo politico di Meloni venga in Parlamento a confrontarsi democraticamente sulla strategia in Ucraina e l'invio di armi, permettendo a tutte le forze politiche di esprimersi". E ancora: “Ora non ci sono governi di unità nazionale, c'è la politica che su scelte così importanti non scappa dal confronto parlamentare. Altrimenti sì che si è bulli, ma non di quartiere: della democrazia". L'appuntamento tra i due è fissato: non appena arriverà il decreto, se arriverà, a Montecitorio.
I drammi di casa Pd: morire o no per Kiev?
E qui, però, entra in gioco un altro problema, il solito ‘tira e molla’ che va avanti dentro il Pd… “Morire, o no, per Kiev?”. Se lo chiedono nel Pd, riecheggiando l’antico grido neutralista alle soglie della II guerra mondiale (“Morire per Danzica?”). Una discussione complessa, difficile e complicata da una variabile che, con l’invio di nuove armi all’Ucraina, le ragioni della pace e della guerra, il pacifismo e i guerrafondai, non c’entra per nulla, ma in realtà c’entra molto: il prossimo congresso.
A spanne, le posizioni sono due (o, meglio, tre): la sinistra dem – da Orlando a Provenzano, passando per Cuperlo e, si capisce, per il padre putativo di tutti costoro, Bettini - vuol ‘ripensare’ le forme di coinvolgimento italiane nella guerra. Un nuovo invio di armi è visto male (malissimo): vorrebbero una risoluzione che impegni il governo a cercare la pace a ogni costo. La seconda posizione è esplicitata dalla scelta dell’ex ministro alla Difesa, Lorenzo Guerini: non sabotare né aderire alla manifestazione pacifista romana e appuntarsi la bandiera ucraina spuntata sul suo profilo What’App. I riformisti dem (Base riformista, i Giovani turchi, i liberal) vogliono continuare a sostenere le ragioni di Kiev e, dunque, anche l’invio di armi italiane perché, senza l’Ucraina, nessuna pace è possibile. La terza posizione è quella di Letta. Ondivaga e incerta, come da un po’ è ormai Letta, soggetta a indecisioni o non scelte del momento. Certo, ambienti vicini a Guerini (in gara per essere il nuovo presidente del Copasir, insidiato, però, da Francesco Boccia, più vicino a Letta di lui) sono sicuri che “il Pd confermerà la sua scelta a sostegno dell’Ucraina, invio di armi comprese”.
La sinistra interna, invece, vuole discutere, trattare, mediare. Ma non con il governo Meloni, per carità, ma con Conte, 5S e sinistra radicale per stabilire un fronte comune delle opposizioni. Ovviamente, escludendo il Terzo Polo e puntando a una risoluzione tutta centrata sulla diplomazia e la pace, non certo sulla guerra e sulle armi. Il braccio di ferro interno ai dem è però complicato proprio dal ginepraio che avvolge il (presunto) sesto invio di armi all’Ucraina. Il ministro alla Difesa, Crosetto (successore di Guerini, ottimi i rapporti tra i due), ci sta lavorando, ma – come detto – l’invio di armi sarà secretato (lo visiona solo il Copasir) e non abbisogna di voto, in quanto coperto dal decreto varato da Draghi. Solo che, politicamente - si ragiona nel Pd - il decreto e le risoluzioni parlamentari sull’Ucraina sono diventate, politicamente, ‘vecchie’ in quanto varate nella ormai passata legislatura. Ne servono di nuove, in quella appena iniziata, e arriveranno. Lì si vedrà se la posizione ondeggiante del Pd virerà verso il ‘pacifismo’ a 5Stelle o verso l’interventismo democratico caro ai terzopolisti.
Infine, il congresso, che si terrà a metà marzo. La sinistra cerca un campione (Orlando?) perché i candidati che propongono Letta e/o Franceschini (Nardella, Ascani o il ticket Nardella/Ascani) non soddisfano e mira all’alleanza organica con i 5s. I riformisti un candidato lo hanno, Bonaccini (forse in ticket con la Bonafé) e guardano al centro. E la guerra in Ucraina sarà un ‘tema’ congressuale.