[Il retroscena] Di Maio rovescia il tavolo e blocca il super condono inserito a sua insaputa
Il vicepremier denuncia: “Qualcuno ha cambiato l’articolo sul condono nel decreto fiscale prima che arrivasse al Quirinale”. I sospetti su Giorgetti e sui tecnici Mef. Il Colle, però, smentisce: “Non è mai arrivato nessun testo”. Conte si prende la responsabilità: “Ho fermato io il decreto”, ma ammette che le modifiche salva-evasori esistevano davvero. E’ l’ultimo attacco di una lunghissima serie fatto dai Cinquestelle agli organi dello Stato: Inps, Consob, Ragioneria, Bankitalia, persino il Coni. Nel governo hanno un problema con le leggi: ieri si è scoperto che la legittima difesa non aveva copertura economica e che il decreto Sicurezza di Salvini conteneva un errore sui saldi economici

Nel mirino di Luigi Di Maio ci sono almeno “Dieci piccoli indiani” a cui il vice premier l’ha giurata. Ad alimentare la sindrome da accerchiamento del vice premier prima c’era erano stati l’Inps, poi la Ragioneria generale dello Stato, Bankitalia e - genericamente - “i tecnici del ministero dell’Economia”. In seguito la Consob e persino il Coni, per non parlare del capo di gabinetto di Giovanni Tria, accusato di avere introdotto sponte sua nel Def un passaggio sulla Croce Rossa . L’ultimo intruso contro cui ora si scaglia Luigi Di Maio - incerto se si tratti di “una manina politica o una manina tecnica” - rischia però questa volta di procurargli guai seri. La “bomba” è stata tirata durante l’intervista a Porta a Porta: “Domattina (oggi ndr.) si deposita subito una denuncia alla Procura della Repubblica perché non è possibile che vada al Quirinale un testo manipolato”. Il casus belli che ha fatto partire l’accusa - inedita per la sua gravità - è l’estensione del condono fiscale voluto dalla Lega, con tanto di scudo penale, anche ai casi di riciclaggio, fino a coprire le inadempienze relative alle imposte su attività e immobili detenuti all'estero.
Il "complotto"
L’accusa è di quelle pesanti: “All’articolo 9 del decreto fiscale c’è una parte che non avevamo concordato nel Consiglio dei ministri. Noi in Parlamento non lo votiamo questo testo se arriva così. Questa parte deve essere tolta. Non ho mai detto che si volevano aiutare i capitali mafiosi. Nel testo che è stato trasmesso al Quirinale c’è una sorta di scudo fiscale e una non punibilità per chi evade”. La modifica, a sentire il vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico, sarebbe stata fatta non dal Consiglio dei ministri, ma appunto da una “manina” intervenuta nel tragitto del provvedimento tra Palazzo Chigi e il Quirinale, lungo solo qualche centinaio di metri. “Io questo non lo firmo e non andrà al Parlamento. Io non lo faccio votare”, aveva avvertito parlando coi colleghi di Palazzo Chigi. In realtà, non si capisce a chi Di Maio si riferisca precisamente: se l’accusa sia ai “soliti” tecnici del ministero dell’Economia o, come sostiene qualcuno, al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il leghista Giancarlo Giorgetti. Fatto sta che Di Maio picchia duro ma sforzandosi di non dare fuoco alla polemica con gli alleati: “Non ho ragione di dubitare della Lega, ci siamo stretti la mano. Se ci facciamo passare sotto al naso provvedimenti così allora cominciano i problemi grossi”. Ma allora chi è stato? L’accusa si è velocemente tramutata in una gaffe, dal momento che la Presidenza della Repubblica, tirata in ballo, ha smentito prontamente di avere addirittura ricevuto un testo, con un secco comunicato, di quelli che fanno male: “In riferimento a numerose richieste da parte degli organi di stampa, l’ufficio stampa del Quirinale precisa che il testo del decreto legge in materia fiscale per la firma del Presidente della Repubblica non è ancora pervenuto”.
Blitz o non blitz?
Quale testo commentava allora il vicepremier? “Confermo la fiducia a tutto il governo” ha puntualizzato, mentre gli alleati della Lega, con un altro comunicato, chiarivano, piuttosto seccati, che non c’era stato alcun blitz e che tutto si era svolto come doveva: “Noi siamo gente seria e non sappiamo niente di decreti truccati. Stiamo lavorando giorno e notte sulla riduzione delle tasse, sulla legge Fornero e sulla chiusura delle liti fra cittadini ed Equitalia”. Due ore dopo si è prestato a fare da parafulmine, tentando di levare tutti dall’imbarazzo, addirittura il premier. Giuseppe Conte ha rivendicato di essere lui la “manina”. La presa di posizione - ufficiosa - di Conte è arrivata in tarda serata, dopo che si era toccato un livello di scontro istituzionale pari soltanto a quello scoppiato con il rifiuto opposto da Sergio Mattarella a controfirmare la nomina all’Economia del ministro Paolo Savona: “Fonti di Palazzo Chigi fanno sapere che il Presidente Conte, informato mentre era a Bruxelles delle criticità emerse nel decreto sul tema della pace fiscale, ha bloccato l’invio ufficiale del testo al Quirinale”. Quella arrivata al Colle, dunque, era una bozza “anticipata in via meramente informale”. L’ammissione di Conte, però, è una conferma che l’articolo contestato dai pentastellati fa veramente parte del decreto. Il che, per Di Maio e per i suoi, sarebbe inaccettabile. Ora i Cinquestelle pretendono che l’articolo sia “stralciato”, che si torni a ridiscutere di tutto il condono fiscale che non piace agli elettori pentastellati e che per “il governo del cambiamento” rischia di rivelarsi un autogol, anche perché, come ammetteva lo stesso vicepremier, “si applica a pochissimi casi”.
Il dilemma del riciclaggio
La cosiddetta pace fiscale, nell’ultima bozza del decreto fiscale, successiva all'approvazione del testo da parte del Consiglio dei ministri, fissava la soglia di 100mila euro all’anno relativa alla “singola imposta”, prevedendo anche la possibilità di far rientrare i capitali custoditi all’estero. Ma, per ammissione del vice premier, “Qui c’è il riciclaggio”. Del resto, già sulla versione base si erano registrati forti malumori nella base pentastellata e non solo. Anche alcuni “ribelli” vicini al presidente della Camera Roberto Fico avevano preso le distanze. La senatrice Elena Fattori l’ha detto chiaro e tondo: “L’accordo tra M5S e Lega sulla pace fiscale si può definire un condono. I condoni non erano nel programma del Movimento”. Forse sono state proprio queste proteste e il “sentiment” della rete a convincere Di Maio ad effettuare una - complicata, come si è vista - inversione a U. Tanto più che il malcontento nei confronti del condono va ad aggiungersi a quello provocato dalla linea tenuta dal governo sull’immigrazione, la Tap e la legittima difesa.
Errori tecnici e perdite di tempo
Proprio su quest’ultimo tema ieri si è registrato un altro inciampo della maggioranza. Sempre di errore tecnico si tratterebbe: la commissione Bilancio ha buttato una giornata perché la proposta del governo non indicava coperture economiche adeguate per finanziare il gratuito patrocinio per chi, per difendere la propria attività o la propria famiglia, esageri con la reazione e uccida l’aggressore. L’errore è costato il rinvio della discussione allontanando ulteriormente l’approvazione di un provvedimento particolarmente caro da sempre alla Lega. Senza che nessuno abbia accusato “manine”, ieri il Servizio Bilancio del Senato ha bocciato anche il Decreto Sicurezza presentato da Matteo Salvini e in discussione a Palazzo Madama. La Ragioneria generale dello Stato, che pure è sempre nel mirino dei pentastellati, non aveva detto niente, ma i tecnici di Palazzo Madama si sono accorti che l’articolo uno presenta un problema. Il governo aveva previsto che il passaggio col quale si cancella la possibilità che il permesso venga concesso per motivi umanitari - mantenendo la possibilità di rilascio del permesso di soggiorno soltanto in condizioni speciali - fosse “a costo zero”, senza “ alcun costo per la finanza pubblica”. Per i tecnici del Senato non è così, dal momento che aumenterà i carichi degli uffici giudiziari. Il governo dovrà correre ai ripari pure lì.