[Il retroscena] Di Maio minaccia Berlusconi con il conflitto di interessi, ma rischia l'autogol
Il leader dei Cinquestelle promette di mettere "nel contratto di governo col Pd una legge che impedisca a Silvio Berlusconi di controllare organi di informazione" e strappa il plauso degli anti-renziani del Pd. Lo scopo è quello di convincere il leader di Fi che conviene pure a lui che Salvini si sganci e dia vita ad un governo giallo-verde, con la Lega a difendere i suoi interessi. Ma la legge presentata dai deputati pentastellati si applica soltanto a membri del governo o parlamentari nazionali in carica e l'ex premier non lo è più. "Penso che Berlusconi si candiderà alle Europee", annuncia infatti Tajani
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Una “minaccia vuota” come l’ha definita qualcuno o, invece, l’artiglieria pesante per aprire un solco tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi e costringere il primo ad allearsi coi Cinquestelle a mo' di scudo umano? Pochi minuti prima che Roberto Fico tornasse al Quirinale sostenendo di avere “esaurito il suo mandato”, rivendicando come successo l’avvio del dialogo tra M5s e Pd, Luigi Di Maio ha incontrato la stampa a Montecitorio. “Credo sia arrivato il momento di metter mano a questo continuo conflitto di interessi che c’è sull’informazione privata. Che sia arrivato il momento di dire che un politico non può possedere reti di informazione in Italia”, ha buttato lì, come se fosse una frase “normale”.
Il leader dei pentastellati, che fino a due giorni fa trattava col centrodestra per mettere in piedi un governo ed era disposto a sopportare l’appoggio esterno degli azzurri ad un esecutivo a sua guida, ha ritirato fuori la vecchia proposta di una legge contra-personam, che impedisca al Cavaliere di possedere televisioni. “L’informazione deve essere più libera possibile: dobbiamo far qualcosa sia sulla governance della Rai che sulle tv private. Fa un po’ specie che Silvio Berlusconi in questo periodo usi le proprie tv e i propri giornali per mandare delle pesanti “minacce” a Matteo Salvini e alla Lega, qualora decidessero di sganciarsi dal centrodestra”, ha aggiunto.
Il tema del conflitto di interessi appassiona e contraddistingue la sinistra antiberlusconiana sin dal 1994 ed è tornato sistematicamente nelle diverse legislature che si sono susseguite. L’unico governo ad approvare una legge sui conflitti di interessi, per la verità, è stato proprio quello di centrodestra, con l’allora ministro per la Funzione pubblica Franco Frattini. “Il conflitto di interessi sarà nel contratto di governo tra il M5s e il Pd”, garantisce Di Maio. L’annuncio doveva avere un duplice scopo. Il primo è quello di attirare all’accordo in discussione le simpatie dei dem più antiberlusconiani che da sempre chiedono che il Parlamento discuta una misura di questo tipo. Non è casuale che Roberta Pinotti, ministra della Difesa, abbia apprezzato e aperto al “dialogo coi Cinquestelle sui temi di etica politica” e che lo abbiano fatto anti-renziani professi come Goffredo Bettini.
Il secondo scopo era più sofisticato: minacciare le proprietà del Cavaliere potrebbe spingerlo a “lasciar andare” la Lega per conto suo, a fare un passo indietro e a consentire a Salvini di governare con Di Maio con l’appoggio esterno dei berlusconiani anche allo scopo di “contenere” eventuali azioni ostili dei pentastellati.
Meglio condizionare un governo non ostile rinunciando a farne parte o andare all’opposizione rischiando di pagarne le conseguenze? Tra i pentastellati si sono convinti che il Cavaliere dovrebbe preferire la seconda ipotesi. “Ha usato su Mediaset un linguaggio preoccupante. Si vuole toccare l’avversario sulla libertà privata e sul patrimonio. E’ cosa da anni ‘70, da esproprioproletario”, si è infuriato il leader di Forza Italia durante un comizio ad Udine, dove sta tirando la volata al candidato governatore leghista Massimiliano Fedriga. Ma la minaccia pentastellata è seria? Tra gli azzurri pensano di no. A dimostrarlo ci sarebbero due evidenze. La prima - più ovvia - è che per fare una legge contra-personam sul conflitto di interessi bisogna che l’obbiettivo della legge ricopra una carica pubblica e Berlusconi, al momento, non ne ha.
Chi può ragionevolmente pensare che il leader di Fi, che non è stato candidabile, possa entrare a far parte di un governo da ministro, dopo averne presieduti ben quattro? La seconda ragione è che di conflitto di interessi si è già discusso a lungo nella scorsa legislatura e anche allora non si era trovato il modo di “incastrare” il leader di Fi che, come è noto, non è “titolare” nè delle sue aziende, nè - per esempio - del quotidiano di famiglia.
La maggioranza che aveva provato a metterlo nel mirino è la stessa che si sta configurando in queste ore, composta da M5s e Pd. Il neo questore di Montecitorio, il pentastellato Riccardo Fraccaro, e la deputata del suo stesso partito, Fabiana Dadone, presentarono proposte che sono state poi unificate - nel 2015 - con quelle del piddino Gianclaudio Bressa e Irene Tinagli, già deputata di Scelta Civica. Le “Disposizioni in materia di conflitti di interessi nonché delega al Governo per l’ “adeguamento della disciplina relativa ai titolari delle cariche di governo locali e dei componenti delle autorità indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione” scritte dal braccio destro di Fico, era applicabile a “presidente del Consiglio, ministri, viceministri, sottosegretari, commissari straordinari di governo, membri delle Authority e degli organi di vertice della Banca d'Italia, presidenti delle Regioni e delle Province autonome e componenti delle rispettive Giunte, parlamentari italiani e consiglieri regionali”. Il Cavaliere non ricopre nessuno di questi ruoli e, come ha anticipato ieri Antonio Tajani, al limite potrebbe decidere di candidarsi per diventare europarlamentare nel 2019.
L’incompatibilità che chiedevano pentastellati e Pd, che aveva avuto via libera a Montecitorio a fine 2016 ma non è mai stata approvata dal Senato, prevedeva oltretutto che “l’incompatibilità relativa alle attività imprenditoriali può essere evitata attraverso l’adozione degli strumenti indicati per superare i conflitti di interessi, a partire dal blind trust”, cioè l’affidamento della gestione ad una terza persona. Come è noto il fondatore di Fi non è più amministratore di nessuna delle sue aziende e da molto tempo ha mandato avanti i figli nei ruoli apicali o ha mantenuto in quei ruoli manager di sua fiducia che agiscono per conto proprio. E’ sufficiente che il Cavaliere resti fuori dal governo e dal parlamento italiano perché la legge non lo interessi minimamente.
Se anche dovesse spuntare un episodio di conflitto di interessi “nascosto” nelle dichiarazioni patrimoniali, non si può dire che l’ex premier ne uscirebbe sbancato: la proposta discussa e approvata a metà nella scorsa legislatura prevedeva sanzioni amministrative da un minimo di 5.000 ad un massimo di 50.000 euro, cioè suppergiù quello che l’ex moglie Veronica Lario riceve come “alimenti” in un giorno e mezzo. Una eventuale disciplina sul conflitto di interessi, oltretutto, potrebbe rivelarsi un boomerang per i Cinquestelle, che sono legati a doppio filo con la Casaleggio & Associati. “Il M5S è di proprietà di una srl posseduta da un privato che non si è mai fatto votare. Non mi sono chiare le sue finalità”, ha tuonato Berlusconi, provando a chiudere così la polemica.