[L'analisi] Il giallo del decreto manipolato: ecco perché il governo è davvero a rischio
Il vice premier a Porta a Porta denuncia l’intervento di una manina sul dl fiscale: nel testo scudo fiscale e non punibilità per chi evade, cose non concordate. La denuncia del vicepremier semina sospetti e diffidenze nell'alleanza di governo
A Porta a Porta, da Bruno Vespa, il leader a Cinquestelle Luigi Di Maio tuona contro una “manina” che avrebbe manipolato il testo sulla pace fiscale. Quasi contestualmente alla registrazione della trasmissione la notizia compare sui social: “È accaduto un fatto gravissimo! – si legge su Facebook - Il testo sulla pace fiscale che è arrivato al Quirinale è stato manipolato. Nel testo trasmesso alla presidenza della Repubblica, ma non accordato dal Consiglio dei Ministri, c'è sia lo scudo fiscale sia la non punibilità per chi evade. Noi del Movimento 5 Stelle in Parlamento non lo votiamo questo testo se arriva così. Questa parte deve essere tolta. Non ho mai detto che si volevano aiutare i capitali mafiosi”. E ancora: “Non so se una manina tecnica o politica, in ogni caso domattina si deposita una denuncia alla Procura perché non è possibile che vada al Quirinale un testo manipolato”, spiega il capo dei pentastellati.
La presa di posizione scatena, ovviamente, le critiche degli avversari politici ed apre scenari complessi anche tra gli alleati di governo. Anzi, per la prima volta – secondo alcuni osservatori – c'è il rischio concreto di mettere a rischio la tenuta dell’esecutivo.
La situazione
Vediamo di capire meglio. La situazione prima di tutto. Allo stato attuale la Presidenza della Repubblica ha chiarito che quel testo non era mai stato trasmesso al Quirinale. Il presidente del Consiglio a sua volta ha sospeso l’invio del provvedimento al Colle. Da considerare che mentre ciò accadeva il leader della Lega si trovava in Russia, e a proposito lo stesso Luigi Di Maio ha tenuto a chiarire in tv “piena fiducia negli accordi presi con Matteo Salvini”. Il ministro pentastelalto ha precisato per altro che la parte non prevista del decreto si può levare.
L'articolo 9 del dl
Tutta la vicenda, intrisa ufficialmente di giallo, ruota attorno all’articolo 9 del decreto. E’ un dato di fatto che il testo uscito da Palazzo Chigi il 16 mattina contiene l'articolo contestato dal ministro del Lavoro, un condono vero e proprio. Quell’articolo recita: "Nei confronti dei contribuenti che perfezionano la procedura di integrazione o emersione ai sensi del presente articolo e limitatamente alle condotte relative agli imponibili, alle imposte e alle ritenute oggetto della procedura: a) è esclusa la punibilità per i delitti di cui agli articoli [2, 3,] 4, 10-bis e 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74; b) è altresì esclusa la punibilità delle condotte previste dagli articoli 648-bis e 648- ter del codice penale, commesse in relazione ai delitti di cui alla lettera a); c) si applica l'articolo 5-septies del decreto-legge 28 giugno 1990, n.167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227; d) si applicano le disposizioni in materia di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento del terrorismo di cui al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, ad eccezione di quanto previsto dall'articolo 58, comma 6, del medesimo decreto; e) le condotte previste dall'articolo 648-ter.1 del codice penale non sono punibili se commesse in relazione ai delitti di cui alla lettera a), sino alla data del 30 settembre 2019, entro la quale può essere attivata la procedura".
In soldoni sostiene che verso chi decide di far emergere un limitato nero non verranno applicate talune norme penali, quelle che scattano verso chi ha evaso: per omessa dichiarazione, infedele dichiarazione, e una serie di reati simili oltre a riciclaggio e soprattutto autoriciclaggio. Un vero colpo basso per i cinquestelle. Il discorso – nota tuttavia Franco Bechis sul Corriere dell’Umbria - è il seguente: “La persona che aderisce al condono anche su cifre contenute rischierebbe senza quelle previsioni normative da uno a dieci anni di prigione. A quel punto – continua il giornalista – nessuno farebbe più il condono”. Ora è vero che nella riunione di maggioranza il vice premier pentastellato avrebbe precisato che “le pene non scatterebbero se si evade meno di 100 mila euro”. “In ogni caso il decreto – nota ancora Bechis - consente quei 100 mila euro "all'anno" e potrebbe essere in teoria applicato sugli ultimi cinque anni in alcuni casi. Quindi senza depenalizzazione il condono non si potrebbe fare”.
La denuncia di Di Maio
Per Di Maio si tratta tuttavia di un fatto gravissimo da portare a conoscenza dell’opinione pubblica e della magistratura. Nella bozza del decreto fiscale in mano al Mef infatti, - come si legge sul Fatto Quotidiano - sono “inserite misure come la non punibilità per i reati di riciclaggio, uno scudo fiscale sui capitale all’estero, la sanatoria anche sull’Iva. Misure non concordate che infatti il leader dei cinquestelle denuncia con rabbia durante la trasmissione di Vespa”.
Ma cosa può essere successo? Chi abbia avuto una parte decisiva nella paventata manipolazione è cosa difficile da decifrare. Franco Bechis riporta, citando “primarie fonti del M5S", che il famigerato articolo 9 “era sì contenuto in una bozza del provvedimento, ma è stata discussa in riunione di maggioranza e si sarebbe deciso di cassarla”. Dunque “non allargando il condono (che vale fino a 100 mila euro a patto che siano non superiori al 30% di quanto dichiarato) come invece è scritto ora nel provvedimento anche "all'imposta sul valore degli immobili all'estero", e alla "imposta sul valore delle attività finanziarie all'estero". E sempre secondo tali fonti citate dal direttore del Corriere dell’Umbria “espungendo anche la parte che depenalizzava qualsiasi reato tributario compiuto per quel nero che si stava facendo emergere. Stando al M5s la Lega sarebbe stata d'accordo su quella modifica alla bozza originaria”.
Bechis: "Non si tratta di un gran condono"
Secondo il noto giornalista in ogni caso non si tratta di un gran condono: “Non vale per evasori fiscali totali, né per grandi evasori. Si applica a chi ha presentato una dichiarazione pagando il 43% di tasse su un reddito massimo di 333 mila euro nell'anno. Se in quella dichiarazione si è dimenticato di inserire da o a 100 mila euro, può farlo ora volontariamente come si fosse trattato di una banale dimenticanza e pagare il 20% di tasse sulla cifra "scordata". Chi lo può fare? Chiunque ha dichiarato un reddito vero che però arrotondava in nero. Quindi dal professore di scuola che arrotondava con le lezioni private al commerciante o al professionista che fatturava i due terzi di quanto davvero incassato e teneva in nero l'altro terzo”.
A leggere il Fatto Quotidiano però lo stesso Quirinale avrebbe bacchettato gli uffici ministeriali, e in particolare la Direzione generale delle Finanze, invitando “il ministero a rimuovere quella norma”. Secondo il giornale diretto da Travaglio (particolarmente critico in tema di condoni) “fonti dell’Alto Colle romano avrebbero fatto sapere di aver chiesto di modificare le parti sulle depenalizzazioni”, pur non sapendo “come le modifiche saranno effettuate”. Va chiarito che dopo le dichiarazioni di Di Maio una nota del Colle ha assicurato che “il testo non è mai giunto al Presidente. Ma l’intervento del Quirinale c’è stato”, scrive il quotidiano. E pesa come un macigno la dichiarazione di Di Maio: “In questa forma, il voto del M5S sul condono non ci sarà”.
L’esecutivo ha dunque un grande incendio davanti. E’ vero che Conte si è impegnato in prima persona a far chiarezza, senza smentire il suo vicepremier e confermando che al Quirinale, in via informale, una bozza del decreto è stata inviata. Ma la dura presa di posizione di Luigi Di Maio di fronte alle telecamere sembra aver inevitabilmente aperto crepe, diffidenze e sospetti dentro l’alleanza che regge Palazzo Chigi.
La Lega
Da ambienti importanti della Lega, recitano oggi le agenzie di stampa, proverrebbero “stupore, irritazione e gelo”. In una nota gli esponenti del Carroccio affermano “Noi siamo seri, non sappiamo niente di decreti truccati”. E qualcuno vi ha voluto leggere una sorta di rimprovero al leader alleato. “Se Di Maio non è in grado mantenere i patti, problema suo”, sembrano voler dire. Il testo-bozza del dl fiscale – farebbero notare le solite fonti parlamentari - era del resto “ben nota ai Cinque stelle, che ne parlavano come di un testo quasi definitivo, sottolineando come lo scudo per i capitali all'estero contro cui si è scagliato Luigi Di Maio, nella bozza non c'è”. Per Massimo Garavaglia, sottosegretario "verde" all'Economia "lo sapevano tutti". Lo sapeva anche Di Maio?, incalzano i cronisti. "Non lo so...", taglia corto lui. E quando gli si domanda se sia la sua la 'manina' che ha cambiato, come qualcuno ipotizza, il testo, risponde accennando un sorriso: "No".
Ciò che conta è che esiste un accordo politico per il programma e la cosa diventa adesso delicata. Se i cinquestelle lo mettono in discussione - dicono negli ambiti leghisti - allora si rimette in discussione tutto, anche i punti tanto graditi ai pentastellati e poco amati dal Carroccio, come pensioni d’oro, pensioni di cittadinanza e forse persino il reddito di cittadinanza. D’altra parte la base del M5S avrebbe forti mal di pancia per misure di marca leghista come la pace fiscale e i conflitti potrebbero divampare oltre ogni aspettativa.
Necessità di ricucire
Di Maio e Salvini dovranno dunque lavorare parecchio per eliminare i veleni che con questa vicenda sembra si siano diffusi nell’aria dell’alleanza governativa. Per disinnescare le mine. Sempre che ne abbiano la volontà. Dovranno trovare una ricucitura forte altrimenti l’intero impianto della manovra, che in questo momento Conte difende dagli artigli dei falchi di Bruxelles cercando sponde e alleati, rischia di saltare in aria. E, a voler essere sinceri, queste tensioni sorte all’interno dell’asse di governo non aiutano certo a rassicurare gli ambienti europei, spesso prevenuti nei confronti del governo del cambiamento.
Per questo c’è chi come Bechis ritiene quella compiuta da Di Maio a Porta a Porta una scivolata.“Anche avesse avuto tutte le ragioni del mondo una ingenuità, che rischia di non avere grandi via di fuga. Perché se succedono cose di questo tipo, non vai in tv a spararle ad alzo zero, ma la prima cosa che fai è chiedere una riunione con il premier, la Lega e il ministro dell'Economia”, sostiene il direttore. Per trovare una soluzione. Magari per cambiare il decreto. Mondarlo di quel passaggio. “Magari si trova il compromesso, magari no – nota - Se effettivamente la Lega ha concordato con te di buttare via quel testo, ti aiuterà a cacciare chi ha fatto lo scherzetto”.
Tuttavia è inevitabile considerare un altro aspetto che Bechis mette in risalto: “Quel condono (nel testo che non piace a Di Maio) paga più della metà del costo del reddito di cittadinanza (costa 9 miliardi e le tasse su banche e assicurazioni ne coprono solo 4)”. Se si fa saltare tutto, “bisogna trovare altre coperture per il reddito di cittadinanza e bisogna farlo in pochissime ore”. Uno sforzo obiettivamente difficile da compiere.
I rischi per la tenuta dell'esecutivo
Per questo la bordata di Di Maio potrebbe mettere a repentaglio, stavolta sì concretamente, l’esistenza stessa del governo. Del resto in questo momento, col vento elettorale in poppa, il capo della Lega potrebbe anche trovare conveniente farlo saltare. Senza contare che esiste chi non esclude la possibilità di convergenza dell'altra parte. Siccome conosco Di Maio da molti anni e sono l'ultimo a pensare che sia sprovveduto o che non sappia quello che fa - conclude per esempio Franco Bechis - ho il dubbio che questa mossa mirasse proprio a questo: mettere fine al governo del cambiamento. Allora sarebbe stata assai efficace”. Sarà così? Il dubbio – direbbe qualcuno – sorge spontaneo, ma potrebbe rivelarsi solo congettura. Potrebbe esserci una spiegazione più semplice, forse ingenua: che il M5S non voglia spingersi oltre un certo limite sulla strada della “pace fiscale” o dei “condoni” che dir si voglia perché pagherebbe prezzi duri in termini di consenso e fiducia. In ogni caso un dato di fatto resta: il governo è un po’ meno stabile di prima. Servirà una buona dose di buona volontà e diplomazia da parte dei leader degli schieramenti, del premier mediatore Conte e del Capo dello Stato per rassenerare gli animi e contenere voglia di elezioni e spinte allo sfascio.