[L’inchiesta] Il pasticcio del decreto Dignità e gli ottomila posti di lavoro in meno firmati da Di Maio
Anche il testo del decreto firmato dal ministro dello Sviluppo Economico segnala, come la relazione tecnica “incriminata” che il numero di contratti di lavoro è destinato a diminuire per effetto degli aumenti di tasse previste nel dispositivo. Il vicepremier nega, ma in calce al documento consegnato alla Camera c’è la sua firma. Ci sono altre due modifiche inserite all’ultimo minuto: Redditometro e Spesometro non vengono più aboliti ma “rimodulati”, lo split payment vale sono per i professionisti e non per tutte le imprese. Pure sulle scommesse sportive c’è una novità: l’entrata in vigore del divieto slitta a giugno 2019 e dunque le società potranno continuare a prendere sponsorizzazioni fino al 2022, cioè al prossimo governo. Per approvarlo presto Commissione Bilancio lavorerà anche sabato e forse domenica.

La “famosa” tabella che sta facendo traballare la poltrona del presidente dell’Inps e che ha portato il ministro dell’Economia Giovanni Tria sull’orlo delle dimissioni si trova a pagina 14. Il file di Excel prevede 3300 contratti in meno per il prossimo anno e 8000 rinnovi in meno da qui al 2028. Che si sia trattato dell’imboscata di un anonimo, che la colpa sia di qualche ex ministro, dei tecnici dell’Inps o della Ragioneria dello Stato, fatto sta però che Luigi Di Maio quel testo lo ha firmato. Adesso assicura: “Cercheremo e troveremo la manina”, ma a l’unica certa è la sua. A pagina cinquanta del decreto di conversione giunto ieri alla Camera dei deputati - non nella Relazione ma nel testo stesso - c’è infatti un altro articolo che contiene la stessa, brutta, notizia per i lavoratori italiani e che certamente non è stata scritta da altri se non dal suo ministero, tanto è vero che, due pagine sotto, compare proprio la firma del suo titolare. L’articolo 14, quello che individua la copertura finanziaria delle misure contenute nel decreto, ammette espressamente che le modifiche ai contratti a tempo determinato e quelle ai contratti di somministrazione (gli articoli 1 e 2 del decreto) comporteranno minori entrate per lo Stato. Per la precisione, a causa della diminuzione dei contratti di lavoro che sarà causata dall’aumento delle tasse sui loro rinnovi, ci saranno in meno “17,2 milioni di euro per l’anno 2018, 136,2 milioni di euro per l’anno 2019, 67,10 milioni di euro per l’anno 2020, 67,80 milioni di euro per l’anno 2021” e così via. Di chi è allora la “manina”?
Storia di un "fantasma
Al ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, complice forse l’inesperienza nelle relazioni con la macchina amministrativa, sono sfuggiti anche altri commi inclusi all’ultimo minuto nel testo del provvedimento. Di Maio non si è accorto, per esempio, che dal primo atto che porta la sua firma, quello maggiormente simbolico, sono scomparse due misure che pure aveva promesso di voler varare proprio con il “Decreto dignità”. “Gli strumenti anti-evasione adottati finora come split payment, redditometro, spesometro e studi di settore hanno reso schiavo chi le tasse le ha sempre pagate e quindi vanno aboliti”, aveva proclamato nel corso del suo - applauditissimo - intervento all’assemblea di Confcommercio. Peccato che a pagina trenta del decreto su cui comincerà a lavorare questa mattina la Commissione Bilancio di Montecitorio si preveda tutt’altro. Niente abolizioni, niente interventi “salva aziende”. Ecco quello che c’è scritto: “Con riferimento alle misure (...) previste in materia di semplificazione fiscale sono previste: l’aggiornamento dell’istituzione del redditometro, (...) rimodulazioni nelle date di invio dei dati di fatturazione (cd. Spesometro) e l’abolizione dello split payment per le prestazioni dei servizi rese alle pubbliche amministrazioni i cui compensi sono assoggettati a ritenute alla fonte”. Ricapitolando: il redditometro resiste anche se viene “rimodulato”, lo spesometro idem pure se cambiano le date per l’invio delle fatture, e lo split payment viene sì abolito, ma soltanto per i liberi professionisti singoli e non per tutte le imprese.
L'analisi delle modifiche
Nel testo del decreto arrivato a Montecitorio, ci sono modifiche anche nella parte che contiene le norme contro la ludopatia. Il ministro ha annunciato di voler bloccare le sponsorizzazioni da parte delle società che si occupano di scommesse e, quando sono arrivate le proteste di Forza Italia, non si è creato nessun problema ad attaccare frontalmente Silvio Berlusconi. “Si preoccupa perché abbiamo tutelato gli interessi delle fasce più deboli e non quelli delle lobby del gioco d'azzardo tanto care alle sue TV”, scrisse in un tweet. E quei provvedimenti contro la ludopatia, piaciuti moltissimo alle associazioni del settore, occupano un intero paragrafo del decreto. Anche qui, però, le “manine” ci hanno messo del loro. Nel secondo paragrafo del capitolo in cui si trattano le misure di contrasto alla ludopatia e i divieti alle sponsorizzazioni delle squadre di calcio, si legge: “In ogni caso si prevede una disposizione transitoria volta a fare salvi i contratti di pubblicità in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del presente decreto (...), fino al 30 giugno 2019”. Per un anno esatto, dunque, le società di scommesse sportive potranno continuare tranquillamente a stipulare contratti con le squadre di calcio. Questo rinvio sembra una cosa da poco? Nient’affatto. Come aveva peraltro segnalato il direttore svedese di un’importante società di scommesse, le squadre abitualmente stipulano accordi commerciali che hanno una valenza pluriennale. La As Roma, per esempio, giusto la settimana scorsa, ha sottoscritto un contratto di sponsorizzazione con una società di scommesse fino alla stagione 2020-21. Ciò significa che anche altre squadre potranno stipulare contratti di sponsorizzazione nel 2019 e questi manterrebbero la loro validità fino al 2022, quando sarà iniziata un’altra legislatura e il nuovo ministro dello Sviluppo Economico potrebbe non essere più Luigi Di Maio.
Sarà diverso da come lo si è progettato
Il testo che ha iniziato il suo iter alla Camera è comunque destinato a uscire profondamente modificato dall’iter parlamentare avviato. Lo stesso firmatario del “Decreto dignità” si è impegnato a cambiarlo - come suggerivano leghisti e Confindustria - nella parte nella quale vietava i voucher in agricoltura e nel settore turistico. Per scoprire come cambierà, bisognerà intanto aspettare fino a dopodomani, quando è stato fissato il termine ultimo per la presentazione degli emendamenti. La presidente della Commissione Bilancio, l’ex capogruppo dei pentastellati Carla Ruocco, ha in mente di recuperare il tempo perduto convocando l’organismo a oltranza anche nel fine settimana, facendolo lavorare anche sabato e forse addirittura domenica.